Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23095 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 03/10/2017, (ud. 21/06/2017, dep.03/10/2017),  n. 23095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25580-2014 proposto da:

R.M., R.F., R.C., G.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI 39, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO LAURO, rappresentati e difesi dall’avvocato

MASSIMO ESPOSITO;

– ricorrenti –

contro

S.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 109,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA SEBASTIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ATTILIO SEBASTIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 461/2013 della CORTE D’APPELLO DI LECCE

sezione distaccata di TARANTO, depositata il 14/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

– E., A. e S.C. convennero R.F. innanzi al Tribunale di Taranto esponendo che costui aveva fatto pubblicare un testamento olografo con il quale la loro zia paterna S.J., deceduta il (OMISSIS), lo aveva nominato erede universale, e su loro denunzia era stato tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Torre Annunziata per rispondere del delitto di falsità del detto testamento e sua spendita; il giudizio era stato definito dal R. con sentenza di patteggiamento con la quale veniva dichiarata, ai sensi dell’art. 537 c.p.p., la falsità del testamento; gli attori chiesero pertanto che il R. fosse condannato a restituire loro i beni ereditari ed a risarcire i danni;

– R.F. si costituì chiedendo il rigetto della domanda in quanto gli attori non avevano provato la loro qualità di eredi, risultante dal testamento olografo da lui prodotto in giudizio che costoro non avevano disconosciuto;

– il Tribunale rigettò la domanda;

– interposto appello da parte di E., A. e S.C., costituitisi R.M., R.C. e R.G. quali eredi di R.F. – nel frattempo deceduto – con richiesta di conferma della decisione, la Corte d’Appello di Lecce accolse il gravame riformando integralmente la sentenza di primo grado ed ordinando agli appellati il rilascio dei beni ereditari;

– al riguardo rilevò che il testamento prodotto dal R. davanti al Tribunale era stato dichiarato apocrifo all’esito del giudizio penale- che ne aveva altresì disposte la confisca e distruzione – e non era pertanto necessario alcun disconoscimento;

– avverso tale decisione R.M., R.C., G.M. e R.F. (questi ultimi due quali eredi di R.G. deceduto nelle more) hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi; S.E. e S.C. hanno depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

– con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione di legge in relazione alla decisione della corte leccese di ritenere dimostrata la falsità del testamento per effetto della sentenza cd. di patteggiamento, pur non contenendo la stessa un accertamento pieno sulla responsabilità dell’imputato;

– con il secondo motivo, attinente alle medesime circostanze, denunziano poi “violazione del principio dell’autonomia del processo penale rispetto a quello civile”;

-entrambe le censure, che possono essere esaminate congiuntamente attenendo al medesimo tema, sono manifestamente infondate, giacchè la sentenza di patteggiamento conteneva, in conformità al disposto di cui all’art. 537 c.p.p., la prevista declaratoria di falsità del testamento, quale doverosa conseguenza del relativo accertamento, con piena efficacia probatoria (cfr. Cass. pen. n. 42406/2015; Cass. Pen. n. 7477/2014; Cass. Pen. n. 45861/2012; Cass. SS.UU. Pen. n. 20/1999).

La “ratio” cui si ispira la norma sopra citata, applicabile, come sopra evidenziato, anche alla sentenza di applicazione della pena su richesta delle parti, è infatti l’eliminazione dalla circolazione di un atto che potrebbe arrecare pregiudizio alla fede pubblica, nonchè l’esigenza di economia processuale nell’ambito dei rapporti tra giudizio penale e civile (Cass. pen. n. 712/1998; Cass. pen. n. 42162/2013).

In prossimità dell’udienza i contro ricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

ritenuto pertanto il ricorso meritevole di rigetto, con conforme statuizione sulle spese; ritenuta altresì la sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in 4.200,00 Euro di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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