Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2309 del 31/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/01/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 31/01/2020), n.2309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7021-2018 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO

FATTORI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il

25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA

ACIERNO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Trieste ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino pakistano C.A., il quale aveva narrato davanti la Commissione territoriale di aver causato un incidente stradale nel quale rimaneva vittima un motociclista. A causa delle gravi tensioni occorse con i familiari del motociclista e della loro volontà di uccidere il ricorrente per vendetta, lo stesso decideva di lasciare il paese dopo essere andato a Lahore per le cure dovute alle ferite subite nell’incidente.

A sostegno della decisione di rigetto, il Tribunale ha affermato che il ricorrente non è affatto credibile a causa della rilevante contraddizione tra quanto dichiarato al momento della presentazione della domanda alla questura e quello che ha dichiarato davanti la Commissione, rimasta evidente anche dopo le spiegazioni fornite al riguardo dal ricorrente. Non è stato, inoltre allegato o chiarito perchè a causa delle minacce ricevute il ricorrente non si sia rivolto alle autorità statuali. Infine dalle informazioni assunte mediante l’esame dei rapporti EASO non si riscontrano profili di persecuzione e pericolo per i sunniti dovuti agli sciiti che costituiscono una minoranza poco influente. Anche la situazione generale del paese si può escludere un rischio generalizzato di violenza diffusa interna equiparabile ad un conflitto.

Infine, in relazione alla protezione umanitaria, il Tribunale esclude l’incidenza dell’integrazione lavorativa e sociale sul riconoscimento del diritto ad ottenere tale tipologia di permesso, dovendosi valutare esclusivamente la sussistenza di particolari condizioni di vulnerabilità.

Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso per cassazione da parte del cittadino straniero.

Nel primo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per avere il Tribunale ritentuo incoerente e contraddittoria la vicenda narrata senza procedere all’accertamento officioso della veridicità di essa anche in relazione alla situazione generale aggiornata, in particolare in relazione ai rapporti di forza tra sunniti e sciiti e in ordine alla mancata protezione statuale.

La censura non supera il vaglio di ammissibilità sia in relazione alla contestazione del difetto di credibilità, essendo tale valutazione, con riferimento alla credibilità soggettiva, non sindacabile in quanto attinente al merito. Non risultano nella specie violati i criteri di esame della credibilità indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, dal momento che la valutazione negativa si fonda su una pluralità di elementi e non soltanto sulla sulla comparazione con le dichiarazioni rese in questura. IN relazione alla situazione generale, la valutazione è stata svolta dal Tribunale sulla base di fonti puntualmente richiamate ed aggiornate. Infine in relazione alla mancata protezione statuale non è stata colpita la ratio decidendi dell’omessa allegazione del fatto nel giudizio di merito.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere il Tribunale osservato il principio di non refoulement in relazione alla condizione di vulnerabilità rappresentata mediante la vicenda narrata ed il rischio di vendette e ritorsioni cui lo stesso sarebbe esposto oltre che per la gravità della situazione generale.

Il motivo è inammissibile perchè fonda la vulnerabilità sulla vicenda narrata ritenuta insindacabilmente non credibile e su un esame della situazione generale non condiviso dal Tribunale con accertamento di fatto non sindacabile per le ragioni già esposte nel primo motivo.

Il ricorso, in conclusione è inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso non consegue l’applicazione del principio della soccombenza in mancanza di difese della parte intimata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in relazione all’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso principale, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2020

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