Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23089 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 03/10/2017, (ud. 28/04/2017, dep.03/10/2017),  n. 23089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.R., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il

29/10/2015, procedimento RG.n. 3478/2011+Altri, Cron.n. 3317/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

Con separati ricorsi proposti ante D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, gli odierni ricorrenti, tutti pubblici dipendenti, adivano in riassunzione la Corte d’appello di Perugia per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 per l’eccessiva durata di un giudizio svoltosi innanzi al TAR Lazio, per il riconoscimento di qualifiche funzionali corrispondenti alle mansioni svolte, dal 1992-1993 al 2010-2012.

Con decreto del 29.10.2015 la Corte adita, riuniti i ricorsi, riconosceva in favore di ciascuno dei ricorrenti somme variabili, secondo la durata per ciascuno del giudizio presupposto, ed operando un’unica liquidazione delle spese, che distraeva in favore del comune difensore.

La cassazione di tale decreto è chiesta dai ricorrenti meglio specificati in epigrafe, sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato un “atto di costituzione”.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1 inserito, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per l’omessa pronuncia sulla domanda accessoria di condanna del Ministero anche al pagamento degli interessi legali sulla somma da liquidare a titolo d’equo indennizzo.

1.1. – Il motivo è fondato.

Il carattere indennitario dell’equa riparazione per la durata irragionevole del processo comporta che gli interessi legali sul relativo importo decorrono dalla data della domanda giudiziale di equa riparazione, semprechè, tuttavia, essi siano stati richiesti (cfr. ex multis, Cass. nn. 26206/16, 15732/16 e 24962/11).

Richiesta nella specie espressamente formulata in ciascuno dei vari ricorsi poi riuniti.

2. – Il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la violazione degli artt. 91 e 274 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c., per aver la Corte di merito, previa riunione dei vari ricorsi successivamente all’udienza della loro discussione (rectius, all’adunanza camerale di trattazione), liquidato le spese senza motivazione e in violazione dei parametri del D.M. n. 55 del 2014 e dell’art. 4, comma 2 detto D.M.

2.1. – Il motivo è infondato in ciascuna delle censure in cui si articola.

2.1.1. – Premesso che la riunione di cause connesse può avvenire anche con il provvedimento decisorio (cfr. Cass. n. 4033/88) e che essa non è sindacabile in sede di legittimità (v. Cass. n. 19840/04), va rilevato che in tema di equa riparazione, configura abuso del processo la condotta di coloro che, avendo agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse a diversificare le rispettive posizioni, propongano contemporaneamente, con identico patrocinio legale, distinti ricorsi per ottenere l’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, così da instaurare cause inevitabilmente destinate alla riunione in quanto connesse per oggetto e titolo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, a seguito della riunione di distinti ricorsi presentati dal medesimo difensore, per conto di soggetti aventi la stessa posizione nel processo a quo, ha ritenuto il giudizio come unitario ab origine, liquidando le spese di lite con un importo unico) (Cass. n. 2587/16).

2.1.1. – Di riflesso, non ricorre alcuna violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, non senza osservare che il secondo periodo di tale norma non è esplicativo del primo – come vorrebbe l’interpretazione propostane da parte ricorrente – ma estende quest’ultimo alla fattispecie speculare in cui, per effetto della riunione, un medesimo avvocato si trovi a difendere il proprio unico patrocinato contro più soggetti.

2.1.3. – Relativamente al quantum delle spese liquidate, infine, deve osservarsi che in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Cass. n. 2386/17); e che, nella specie, non è nè allegato nè dimostrato che la liquidazione delle spese operata nel decreto impugnato sia inferiore al minimo previsto dalla citata fonte secondaria.

3. – Il terzo mezzo d’annullamento allega, in relazione alla posizione processuale del solo C.L., l’omesso esame di atti e documenti decisivi, poichè anche per lui il giudizio presupposto ha avuto una durata eccedente di 16 anni, e non di soli 2 anni e 9 mesi, come invece ritenuto dalla Corte distrettuale.

3.1. – Il motivo è fondato.

Dalla motivazione del decreto impugnato emerge che la Corte distrettuale ha inteso riconoscere quale ritardo indennizzabile solo quello successivo alla proposizione dell’istanza di prelievo, avvenuta nel 2009. Il che, però, contrasta con l’indirizzo di questa Corte, in base al quale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54,comma 2, come modificato dall’art. 3, comma 23, dell’allegato 4 al D.Lgs. n. 104 del 2010, in base al quale nei giudizi pendenti alla data del 16 settembre 2010 la presentazione dell’istanza di prelievo condiziona la proponibilità della domanda di indennizzo anche per il periodo anteriore alla presentazione medesima, non implica che detta istanza costituisca il momento a partire dal quale assume rilievo la pendenza giudiziale e si debba calcolare, di riflesso, la durata ragionevole. Al contrario, l’istanza di prelievo, una volta presentata, assolve ed esaurisce la propria funzione di presupposto processuale del procedimento di equa riparazione, mentre, ai fini del computo della durata ragionevole, occorre aver riguardo all’intera durata del processo e non solo a quella successiva al deposito dell’istanza predetta (v. Cass. nn. 2172/17 e 13554/16).

4. – Il decreto impugnato va, dunque, cassato in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che si atterrà ai principi di diritto anzi detti e provvederà anche sulle spese di cassazione.

PQM

 

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, respinto il secondo, e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che provvederà anche sulle spese di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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