Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23088 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 07/11/2011), n.23088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26833/2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.A.;

– intimato –

e sul ricorso 28495/2007 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4206/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/10/2006 R.G.N. 5513/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO LUIGI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 15-3-2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da F.A. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1944 e acc. az.

25/9/97 per il periodo 10-12-1997/31-1-1998, con le pronunce consequenziali.

Sull’appello del F. la Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 25-10-2006, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava la nullità del termine apposto al citato contratto con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato dal 10/12/1997. Dichiarava altresì la prosecuzione giuridica del rapporto e rigettava nel resto l’appello, condannando la società al pagamento della metà delle spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con ire motivi.

Il F. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con un unico complesso motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale la società, denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 2697, 1427, 1431 c.c. e art. 100 c.p.c., lamenta che la Corte d’Appello avrebbe “erroneamente valutato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso prospettata con riferimento al contegno assunto dal lavoratore nei tre anni successivi alla scadenza del contratto a termine dedotto in giudizio (contratto scaduto il 31/1/1998 e impugnativa avvenuta a mezzo raccomandata in data 22/10/2002”.

In particolare, al riguardo, la ricorrente principale deduce anche la breve durata del rapporto e la accettazione del t.f.r., senza contestazione alcuna ed assume che, stante il prolungato disinteresse dimostrato, incombeva sul lavoratore l’onere di provare le circostanze atte a contrastare la presunzione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Con il secondo motivo la società, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 e della L. n. 56 del 1987, art. 23, lamenta che la sentenza impugnata avrebbe “erroneamente affermato che il potere riconosciuto ai contraenti collettivi di introdurre nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle previste dalla legge sarebbe soggetto a pretesi limiti temporali”.

Con il terzo motivo, denunciando violazione della citata L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 1362 c.c., e segg., e vizio di motivazione, la ricorrente principale in sostanza sui duole che erroneamente la Corte di merito ha “subordinato la legittimità del contratto a termine in oggetto alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione dei singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico ufficio di applicazione”.

Orbene va innanzitutto rilevato che la sentenza impugnata ha affermato la nullità del termine apposto al contratto de quo in base alla considerazione che “l’appellata, in sostanza, non ha dato alcuna dimostrazione che la complessa ed estesa ristrutturazione e riorganizzazione aziendale avesse reso necessario, in attesa della definizione ultimativa del riassetto in corso di attuazione, il ricorso a quella specifica assunzione a termine di cui il lavoratore, in questa sede si duole”. Peraltro la Corte di merito ha affermato la intercorrenza di un rapporto a tempo indeterminato e la prosecuzione giuridica dello stesso, ma, nel contempo, ha escluso qualsiasi pretesa risarcitoria, ex art. 1227 c.c., comma 2, avendo il F. provveduto alla messa in mora “oltre il triennio dalla scadenza del contratto”.

Ciò posto, del tutto inconferente con il decisum, e pertanto inammissibile, risulta il secondo motivo, non avendo affatto la Corte di merito ritenuto la necessità che la clausola collettiva prevedesse un limite temporale per la conclusione dei contratti a termine previsti dalla nuova ipotesi introdotta ai sensi dell’art. 23 citato. Di tale questione, del resto, non vi è traccia nel l’impugnata sentenza.

Peraltro nella detta sentenza neppure vi è alcun accenno all’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, che sarebbe stata sollevata dalla società e che è oggetto del primo motivo, sennonchè occorre esaminare dapprima, in ordine logico, il terzo motivo, con il quale, puntualmente, la società in sostanza censura la (unica) ratio decidendi posta a base della affermazione della nullità della clausola di apposizione del termine al contratto de quo.

Tale ultimo motivo è fondato e va accolto, in conformità con l’indirizzo ormai consolidato affermato da questa Corte in casi analoghi.

Come questa Corte ha costantemente affermato con specifico riferimento alle assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25-9-1997, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 (v.

fra le altre Cass. 26-7-2004 n. 14011, Cass. 8-7-2000 n. 15981), l’attribuzione alla contrattazione collettiva del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine, rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per il loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in concreto affidate e le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a termine).

La Corte di merito, quindi, in violazione di tale principio, erroneamente ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo, sulla base della considerazione che la società non aveva offerto alcuna dimostrazione che la complessa ed estesa ristrutturazione e riorganizzazione aziendale avesse reso necessario il ricorso alla specifica assunzione del F..

Alla base della motivazione della decisione è l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali; la sentenza, quindi, si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 (in contrasto, quindi, con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza 2-3-2006 n. 4588).

Peraltro, come pure è stato ripetutamele affermato “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998” (v., fra le altre. Cass. 1-10-2007 n. 20608. Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 23-8-2006 n. 18378), per cui il contratto in esame, anteriore a tale data, rientra, anche temporalmente, nella previsione collettiva, che legittima la apposizione del termine L. n. 56 del 1987, ex art. 23.

A seguito, pertanto, dell’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, con il riconoscimento della legittimità del termine apposto al contratto de quo, vanno, poi, dichiarati assorbiti il primo motivo dello stesso ricorso principale (riguardante la asserita eccezione di risoluzione per mutuo consenso tacito) e il ricorso incidentale con il quale il F. ha censurato la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha “escluso qualsiasi pretesa risarcitola” ex art. 1227 c.c., comma 2.

La sentenza impugnata va così cassata in relazione alla censura accolta e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda del F..

Infine in considerazione dell’esito nettamente diverso dei giudizi di merito le spese dell’intero processo vanno compensate tra le parti, ex art. 92 c.p.c., comma 2 (nel testo vigente ratione temporis).

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il secondo e assorbiti il primo del medesimo ricorso, nonchè il ricorso incidentale; cassa la impugnata sentenza in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del F.; compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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