Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23087 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 07/11/2011), n.23087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27369/2007 proposto da:

D.F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato BRUSCHI FLAVIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DE JACO Francesco, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato SIGILLO’ MASSARA Giuseppe che la rappresenta

e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1630/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 16/10/2006 R.G.N. 1921/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega SIGILLO’GIUSEPPE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21-4-2005 il Giudice del lavoro de Tribunale di Lecce rigettava la domanda proposta da D.F.S. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso per il periodo dal 3 al 31 agosto 1999, con le pronunce consequenziali.

In particolare il primo giudice affermava la legittimità del termine apposto al contratto de quo.

Sull’appello del D.F., resistendo la società, la Corte di Appello di Lecce, con sentenza depositata il 16-10-2006, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale, pur ritenendo illegittimo il termine essendo stato concluso il contratto in epoca successiva al 30- 4-1998, limite temporale ultimo fissato dalle parti collettive con gli accordi attuativi dell’accordo 25-9-97, accoglieva la eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, tempestivamente avanzata in primo grado dalla società e ribadita in appello.

Per la cassazione di tale sentenza il D.F. ha proposto ricorso con due motivi.

La società ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, senza denunciare alcun vizio dell’impugnata sentenza ed anzi aderendo appieno alla “corretta ed esatta applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c., e segg.”, contenuta nella motivazione della stessa a sostegno della nullità del termine, ribadisce che “l’eccezionalità della situazione originata dal processo di ristrutturazione era stata contemplata dagli accordi come causa giustificativa dell’adozione del tipo contrattuale solo ed esclusivamente fino al 30-4-1998”.

Il motivo è inammissibile perchè non contiene alcuna censura rivolta contro la sentenza impugnata e tanto meno lamenta alcun vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. da 1 a 5.

Peraltro, in mancanza di una soccombenza del ricorrente, anche solo parziale, sul capo impugnato, nel giudizio di merito, l’impugnazione sarebbe comunque inammissibile per difetto di interesse (cfr. fra le altre Cass. 27-10-2004 n. 20813. Cass. 27-7-2005 n. 15705, Cass. 6/3/2007 n. 5133. Cass. 10-11-2008 n. 26921).

Con il secondo motivo, il ricorrente denunciando vizio di motivazione e violazione dell’art. 1772 c.c., comma 2, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto la eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito.

In particolare il ricorrente lamenta che a riguardo “la società convenuta datrice, a carico della quale, per opinione consolidata, incombeva l’onere di provare l’intervento del mutuo consenso allo scioglimento del rapporto, ha invocato, a tal fine, unicamente l’inerzia del lavoratore ricorrente senza indicare alcun altro comportamento significativo tenuto dal medesimo o alcuna altra specifica circostanza; e proprio su tale motivazione (sola ed esclusiva) si fonda la sentenza” impugnata.

Tale carenza, secondo il ricorrente, “appare tanto più grave”, ai lini della possibilità di ipotizzare una sua “volontà chiara e precisa di voler porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, se si considera che l’inerzia …si è protratta in un contesto normativo tutt’altro che chiaro (come si evince dai ripetuti interventi delle parti sociali)”.

Il motivo è fondato.

Come questa Corte ha costantemente affermato, e va qui ribadito, “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo: la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-1 1-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554. Cass. 11/12/2001 n. 15628. Cass. 2-12-2000 n. 15403. da ultimo v. anche Cass. 11-11-2009 n. 23872).

In particolare, come pure è stato precisato “e suscettibile di una qualificazione in tal senso il comportamento delle parti che, in relazione alla scadenza del termine illegittimamente apposto al contratto, determinino la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto per una durata e con modalità tali da evidenziare il loro completo disinteresse alla sua attuazione” v. Cass. 11-9-2003 n. 13370. Cass. 15-6-2001 n. 8106. Cass. 29-3-1995 n. 3753).

E’ quindi tale comportamento concludente, in base alle relative modalità e circostanze concrete, che può essere utilmente valutato dal giudice del merito, non essendo all’uopo di per sè sufficiente la mera inerzia o il semplice ritardo nell’esercizio del diritto (cfr. Cass. 28-9-2007 n. 20390. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 1/2/2010 n. 2279).

Orbene nella fattispecie la Corte di merito, in contrasto con tali principi e con motivazione insufficiente, ha in sostanza fondato il proprio giudizio soltanto sul “notevole lasso di tempo trascorso dal 31-8-1999 al tentativo di conciliazione del giugno 2004”.

La ulteriore considerazione, infatti, secondo cui “la rinuncia, da un lato, ad avvalersi della prestazione lavorativa e la assai significativa inerzia, dall’altro, a (ri)mettere a disposizione le energie lavorative comporta, difatti, un diverso atteggiarsi della volontà degli originari contraenti rispetto al dato rapporto di lavoro pur se a tempo indeterminato, con la dedizione ad altri impieghi delle energie personali (lavorative e non) del lavoratore e con l'”organizzazione in modo differente…da parte del datore di lavoro” appare del tutto astratta e priva di qualsiasi riferimento a circostanze concrete (al di là della mera citata inerzia), significative di una chiara e certa comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.

Il motivo va pertanto accolto e la impugnata sentenza va cassata con rinvio alla stessa Corte di Appello di Lecce in diversa composizione, la quale attenendosi ai principi sopra richiamati procederà al relativo riesame, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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