Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23085 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 22/10/2020), n.23085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24598/2014 R.G. proposto da:

S.I.L.P. Società Industriale Lavorazioni Plastiche SUD S.r.l., C.F.

(OMISSIS), con sede in Ceccano, Via Callami n. 5, rapp.ta e difesa,

giusta procura a margine del ricorso, dall’avv. Laila Perciballi del

Foro di Roma, elett. dom.ta presso il di lei studio in Roma, Via T.

Campanella n. 41/G;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, C.F. (OMISSIS), rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

Sez. Stacc. di Latina n. 1422/39/2014, depositata il 10 marzo 2014,

non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre

2019 dal Cons. Luigi Nocella.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La SILP Sud S.r.l. ricorre, con atto notificato a mezzo del servizio postale in data 21.10.2014, avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la CTR del Lazio, Sez. Stacc. di Latina, ha respinto l’appello dalla medesima proposto contro la sentenza n. 279/01/2010 della CTP di Frosinone che aveva respinto il ricorso avverso l’avviso di accertamento N. (OMISSIS) emesso dall’Agenzia delle Entrate di Frosinone per il pagamento di IVA risultata dovuta dalla Società all’esito di rettifica della denuncia dalla medesima presentata per l’anno 2005.

La CTR ha condiviso totalmente la statuizione della CTP, della quale richiama l’argomentazione decisiva: alla stregua delle complete, accurate e documentate indagini svolte dalla G.d.F., le quattro Società che avevano emesso le fatture di vendita di macchinari ed impianti, la cui IVA la SILP aveva portato in detrazione, avevano avuto significative vicende ed erano risultate prive di una benchè minima struttura materiale ed organizzativa; sicchè l’Agenzia aveva adeguatamente provato, mediante una molteplicità di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, la fattuale inesistenza di dette Società e, quindi, l’inesistenza soggettiva delle operazioni di vendita.

Il ricorso è articolato in tre motivi.

L’Agenzia si è costituita notificando controricorso.

All’esito della camera di consiglio del 13 dicembre 2019 la Corte ha deciso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Dopo aver ripercorso l’intera vicenda accertativa e processuale (pagg. 4-12), la Società ricorrente denuncia, nel primo motivo, nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19-21 e 54 e degli artt. 2697 e 2729 c.c. nonchè della Dir. N. 77/388/CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Premessa una serie di considerazioni circa l’accertata esistenza oggettiva delle operazioni documentate dalle fatture passive portate in detrazione (pagg. 13-21), lamenta l’omesso esame di una serie di documenti dai quali la CTR avrebbe dovuto evincere la concreta operatività di ciascuna delle Società ritenute cartiere e, quindi, la sussistenza anche soggettiva delle operazioni di fornitura, la cui IVA passiva era stata detratta; in particolare evidenzia che con la D&B s.r.l. e con la CME s.r.l. essa ricorrente avrebbe intrattenuto meri rapporti di leasing finanziati da primarie aziende di credito, in assenza di contatti diretti; che la CME sarebbe stata riconosciuta Società operativa dai giudici tributari del Veneto (sentenze della CTP di Vicenza e CTR del Veneto); che la PRO.FIM. s.r.l., appaltante dei lavori di costruzione dello stabilimento di Benevento e realizzatrice solo in parte degli stessi, aveva realizzato l’opera attraverso Società sub-appaltanti; che la s.r.l. Le Querce era stata dichiarata fallita ed era quindi Società esistente. Conclude quindi che la CTR avrebbe dovuto, in assenza di elementi conclamanti l’inoperatività di tutte le Società fornitrici, ed anzi in presenza di elementi attestanti che la SILP aveva ricevuto le rispettive prestazioni in buona fede e nella inconsapevolezza di meccanismi fraudolenti posti in essere dai fornitori, applicare i principi giuridici nazionali e comunitari (invocando giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e di questa Corte) che escludono l’indetraibilità dell’IVA effettivamente corrisposta per operazioni soggettivamente inesistenti, qualora il destinatario delle stesse fosse inconsapevole, ovvero non potesse essere consapevole con l’ordinaria diligenza, di frodi compiute dai fornitori medesimi.

L’Agenzia delle Entrate eccepisce l’inammissibilità del motivo, siccome contenente un cumulo di censure riconducibili a diverse tipologie di motivi di ricorso ed inseparabilmente commiste tra loro; e comunque l’infondatezza di quella relativa alla violazione della II Dir. CEE, avendo l’Agenzia fornito prova presuntiva dello stato soggettivo della Società accertata, a fronte della quale questa non ha minimamente provato la sua incolpevole inconsapevolezza.

Il motivo è inammissibile e comunque infondato.

Inammissibile in quanto la dedotta violazione di legge sarebbe il frutto non già di un’erronea interpretazione del contesto normativo regolante la fattispecie controversa, bensì di un’erronea, siccome inadeguata, valutazione delle prove documentali asseritamente prodotte ed idonee a sostenere la sussistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni fatturate regolarmente e contestate dall’Agenzia accertatrice.

Orbene, questa Corte, superando alcune contrastanti pronunce delle sezioni semplici (quali quelle invocate dalla difesa erariale), ha affermato che le censure di violazione o falsa applicazione di legge e quella di vizio motivazionale non sono pregiudizialmente incompatibili, laddove “evidenzino specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto”, e quindi possano essere, come è nel caso concreto, esaminate e trattate separatamente come se fossero due diverse ed autonome censure (Cass. sez. V ord. 5.10.2018 n. 24493, che segue il principio enunciato da Cass. SU 6.05.2015 n. 9100; e già prima di quest’ultima Cass. sez. II 23.04.2013 n. 9793; Cass. sez. I 18.01.2008 n. 976).

Tuttavia va subito evidenziato come la censura di difetto motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta con l’entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, applicabile al presente ricorso avverso sentenza pubblicata dopo l’11.09.2012, sia doppiamente inammissibile: sotto un primo profilo perchè potrebbe avere ad oggetto esclusivamente casi di omesso esame di un fatto decisivo e controverso, e cioè alle ipotesi di mancanza assoluta o assoluta carenza del c.d. minimo costituzionalmente garantito della motivazione, con esclusione di tutte le censure che si atteggiano come critiche di omessa o insufficiente valutazione di fonti probatorie o di omesso esame di argomentazioni o al procedimento inferenziale adottato dal Giudice del merito (cfr. Cass. sez. I 18.10.2018 n. 26305; Cass. sez. II 13.08.2018 n. 20721; Cass. sez. VI ord. 15.05.2018 n. 11863; Cass. sez.VI 16.07.2014 n. 16300); laddove il motivo in esame deduce, per singole operazioni, la pretermissione di fonti probatorie e conseguenti inferenze addotte dalla ricorrente a contrasto di quelle offerte dall’Agenzia e ritenute dalla CTR pienamente sufficienti a ritenere provata l’inesistenza soggettiva (ed in alcuni casi oggettiva) delle prestazioni. Del resto è innegabile che il Giudice dell’appello abbia espresso il proprio convincimento circa i medesimi fatti dei quali sostanzialmente la ricorrente chiede una nuova valutazione, riportando le ragioni espresse dalla CTP, riferibili a tutte le operazioni oggetto di ripresa a tassazione, e manifestandovi espressa adesione.

Sotto diverso profilo non può non rilevarsi che, per quanto si desume dalla motivazione della sentenza d’appello, sugli specifici fatti oggetto della censura di vizio motivazionale si sono conformemente pronunciate sia la CTP che la CTR, e la ricorrente non ha indicato eventuali differenze motivazionali tra le pronunce di

I e di II grado, come sarebbe stato suo onere (cfr. Cass. sez. L 24.08.2017 n. 20335; Cass. sez. V 26.02.2019 n. 5575; Cass. sez.VI-II ord. 19.11.2018 n. 29715); sicchè deve dichiararsi inammissibile il motivo, in applicazione del precetto dell’art. 348ter c.p.c., comma 5.

La censura di violazione di legge, d’altronde, non appare assolutamente motivata, in relazione alla pretesa violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19-21 e 54, secondo i criteri indicati nell’art. 366 c.p.c., n. 4, nel senso che non si rileva dall’illustrazione dei motivi quali sarebbero le ragioni di contrasto dell’interpretazione di esse adottata dalla CTR con quella ritenuta corretta (Cass. sez. I 29.11.2016 n. 24298; Cass. sez. L 15.12.2014 n. 26307; Cass. sez. III 28.02.2012 n. 3010; Cass. sez. I 8.03.2007 n. 5353); anzi si evince chiaramente come si tratti di censure che attengono alla diversa valutazione delle fonti probatorie sulla cui base la CTR aveva respinto l’appello. Quanto poi alla pretesa violazione “del principio di buona fede” e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 2,4 e 5, in relazione alla VI Dir. CE, la stessa è inammissibile in quanto prescinde dalla reale ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale il principio di diritto invocato dalla ricorrente è stato implicitamente applicato dalla CTR, che tuttavia ha ritenuto di poter escludere in fatto la “buona fede” della Società destinataria delle fatture in quanto “dalla documentazione esaminata non potevano non constatare che la puntuale ricostruzione (n. d.e.: dell’Agenzia) riguardante le vicende sociali delle società fornitrici dei macchinari appariva del tutto plausibile”, siccome evidenziante la totale inconsistenza operativa delle stesse, tale da dover far insorgere seri dubbi circa l’attendibilità delle fatture utilizzate.

Con il secondo motivo la SILP Sud denuncia nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 113c.p.c., comma 1 e dell’art. 115 c.p.c.: l’assenza nella motivazione di secondo grado di specifici documenti ed argomenti relativi a molte delle questioni già sollevate e documentate in entrambi i gradi di giudizio ed in particolare con molteplici motivi di appello (operazioni di leasing con noti gruppi bancari, prova di operazioni poste in essere da almeno due delle Società fornitrici, inconoscibilità da parte della SILP della pretesa assenza di strutture amministrative), integravano la totale carenza di pronuncia ex art. 112 c.p.c. e ne giustificherebbero l’annullamento.

Con il terzo ed ultimo motivo la SILP Sud s.r.l. lamenta nullità della sentenza o violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (sic) dell’art. 139 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.: per un verso la sentenza di II grado, motivando per relationem a quella della CTP, avrebbe motivato in modo generico circa la natura di cartiera delle D&B s.r.l. e CME s.r.l., fornitrici dei macchinari industriali, senza nulla argomentare circa le altre fornitrici, PRO.FIM. s.r.l. e LE QUERCE s.r.l.; sotto diverso profilo la CTR, non richiamando o facendo in alcun modo riferimento agli elementi probatori offerti in punto di operatività, fin dal 2014, dello stabilimento produttivo di Benevento, nel quale erano stati alloggiati i macchinari industriali acquistati, avrebbe omesso di valutarli o di palesare adeguatamente l’iter logico-giuridico attraverso il quale detti elementi sarebbero stati “svalutati”.

L’Agenzia controricorrente eccepisce poi l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del secondo motivo di ricorso, per cumulo di doglianze logicamente incompatibili, e del terzo motivo, siccome contenente una richiesta di rivalutazione del merito della causa.

Anche tali motivi, nei quali sono sviluppati identici argomenti ancorchè diversamente prospettati, si rivelano prima facie inammissibili: infatti nel primo si lamenta “il mancato esame della documentazione” prodotta dalla parte, “la carenza motivazionale della sentenza di II grado”, “il difetto di pronuncia sulle operazioni relative alle due Società PRO.FI.M. s.r.l. e LE QURCE s.r.l. di cui si è fornita ampia documentazione”, che a dire della ricorrente avrebbero dovuto condurre ad una opposta conclusione, con conseguente pretesa violazione del principio di sufficienza di motivazione, considerandosi inadeguata la ripetizione ed il richiamo di quella adottata dalla CTP; nel secondo si lamenta la parzialità dell’esame delle fonti probatorie, sempre con specifico riferimento a queste ultime, con obliterazione delle operazioni relative a due delle società fornitrici nonchè delle prove circa la funzionalità dello stabilimento realizzato fin dal 2004 dalla ricorrente.

In realtà la critica di omessa pronuncia, nei sensi su riportati, è dedotta in senso improprio, con riferimento cioè non a domande o capi di sentenza non esaminati, ma a meri fatti secondari alla cui stregua è stata valutata la fittizietà delle operazioni imponibili, laddove l’art. 360 c.p.c., n. 4, può essere invocato esclusivamente “qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile)” (Cass. sez. VI-III ord. 25.09.2018 n. 22598); del resto è da escludere radicalmente che in detto vizio possano essere ricomprese censure, come quelle in esame, tendenti a denunciare l’inadeguato esercizio del potere di valutazione delle fonti di prova (Cass. sez. III 10.06.2016 n. 11892) o vizi, riconducibili al previgente parametro di controllo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “della motivazione in fatto, dovendo il sindacato della Corte fondarsi esclusivamente sul giudizio di fatto già compiuto con la sentenza impugnata” (Cass. sez. I 13.05.2016 n. 9883).

Quanto poi al richiamo del contenuto della sentenza di primo grado, va ricordato che tale metodo di motivazione soddisfa il principio di garanzia del c.d. minimo motivazionale “purchè resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica” (Cass. sez. VI-V ord. 8.01.2015 n. 107; Cass. SU 4.06.2008 n. 14814); e d’altra parte il motivo è formulato senza il rispetto dei canoni indicati nell’art. 366 c.p.c., n. 4, laddove è richiesto di indicare gli specifici motivi di gravame obliterati dal Giudice dell’appello e non solo mediante generico rinvio agli atti del giudizio d’appello (Cass. sez. VI-V ord. 22.01.2018 n. 1479; Cass. sez. I 21.10.2005 n. 20454; Cass. sez. III 1.10.2002 n. 14075).

L’ultimo motivo, invece, pur deducendo apparentemente ipotesi di violazione di legge, richiama il parametro di controllo di legittimità di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 ed in effetti sviluppa ancora una volta censure relative alla completezza e congruità della valutazione delle prove, che, come già evidenziato in riferimento al primo motivo, sono inibite a seguito della novella introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54.

Il ricorso deve quindi essere rigettato, con la conseguente condanna della Società ricorrente al rimborso in favore dell’Agenzia controricorrente delle spese di questo giudizio, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto altresì che sussistono le condizioni processuali per determinare, a carico della ricorrente soccombente, l’obbligo di versamento del contributo unificato in misura doppia rispetto a quella già versata con l’iscrizione a ruolo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la Società ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ai sensi dello stesso art. 13, ex comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

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