Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23084 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 22/10/2020), n.23084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorso iscritti al n. 13606/2012 e n. 17899/2013 R.G. proposti

da:

Chimitex s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Marra e anche dall’Avv.

Francesca Marra (per il ricorso 17899/13) elettivamente domiciliata

presso lo studio dell’Avv. Roberto Folchitto, in Roma, via Monti

Parioli n. 28;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso le sentenze della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia rispettivamente depositate il 21 dicembre 2011, n.

145/43/11 e il 15 aprile 2013, n. 54/45/13.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre

2019 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Avuto riguardo al giudizio n. 13606/2012 R.G.N., giova rilevare che, con avviso di accertamento notificato il 7 giugno 2006 alla Chimitex s.p.a., esercente il commercio all’ingrosso di prodotti chimici, l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Busto Arsizio, rettificava, per l’anno di imposta 2004, il reddito imponibile ai fini Ires e ai fini Irap, recuperandone i maggiori importi dovuti ed effettuava, altresì, una ripresa dell’IVA non versata;

– L’atto impositivo s’incentrava su un processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di Finanza di Varese, che evidenziava: costi indebitamente dedotti per l’ammontare di Euro 10.336,00, relativi a fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società Servizi Amministrativi di C.F. & C. s.a.s. (già cancellata dal registro delle imprese in data 12 gennaio 2001); spese indebitamente dedotte, pari a Euro 11.836,99, afferenti manutenzione e riparazione di automezzi non individuati e/o concessi in locazione; spese indebitamente dedotte, pari a 1.457.500,00, relative a prestazioni di trasporto fatturate nei confronti della ricorrente dalla T.B.P s.r.l. di Olgiate Olona; costi indebitamente dedotti pari a Euro 105,30 per IVA riguardante cessioni di beni effettuate nei confronti di clienti nazionali; costi indebitamente dedotti per Euro 693,40 per IVA concernente cessioni di beni nei confronti di clienti extra CEE;

– La CTP di Varese accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente “ad eccezione delle riprese di cui agli importi per Euro 105,00, ad Euro 693,40 e a Euro 11.836,99”;

– La CTR della Lombardia accoglieva l’appello dell’Ufficio confermando la legittimità di tutte le riprese a tassazione ed accoglieva l’appello incidentale della Climitex relativamente alla su esposta ripresa di Euro 11.836,99;

– Contro la sentenza d’appello, la contribuente propone ricorso per Cassazione affidato a undici motivi, cui resiste l’Agenzia con controricorso; deposita anche memoria;

– Avuto riguardo al giudizio n. 17899/2013 R.G.N., mette in conto considerare che la su richiamata pronuncia della CTR della Lombardia n. 145/43/11 veniva impugnata, oltre che con il su riferito ricorso per cassazione, anche con ricorso contestuale per revocazione ordinaria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 64 e ss. ed ex art. 395 c.p.c., n. 5 e – in subordine – n. 4;

– Mediante detto ricorso la contribuente contestava l’omessa pronuncia sull’eccezione – rilevabile d’ufficio – di giudicato esterno sollevata con riferimento alla sentenza irrevocabile n. 139/36/09 del 22 settembre 2009, intervenuta tra le medesime parti in causa, in relazione alla questione dei trasporti effettuati da T.B.P. s.r.l. negli anni 2001, 2002 e 2003;

– La CTR definiva il giudizio con la sentenza n. 54/45/13 disponendo l’integrazione del dispositivo della sentenza impugnata per revocazione con la declatatoria di infondatezza dell’eccezione di giudicato esterno;

– La Chimitex ha preliminarmente richiesto la riunione del giudizio n. 17899/2013 al giudizio 13606/2012; ha quindi proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 54/45/13, affidandolo a cinque motivi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Deve essere preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., la riunione al procedimento n. 13606/2012 del più recente procedimento n. 17899/2013, nel quale l’Agenzia non si è costituita;

– Sussiste, invero, un’evidente connessione tra i due giudizi, pendenti fra le stesse parti ed aventi ad oggetto l’impugnazione, il medesimo nucleo decisorio;

– Questa Corte ha di recente ribadito il principio – mutuabile nel caso di specie – secondo il quale la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero appaiano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (Cass. n. 27550 del 2018; Cass., sez. un., n. 18050 del 2010; Cass., sez. un., n. 1521 del 2013);

– Con il primo motivo del ricorso n. 13606/2012 R.G.N. viene censurata l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il giudice d’appello ritenuto, ignorando le prove della ricorrente, che le prestazioni di consulenza e assistenza svolte dalla società “Servizi amministrativi” fossero mancate;

– Con il secondo motivo viene lamentata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 3, n. 4, per avere il giudice d’appello omesso di motivare la decisione;

– Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR trascurato di pronunciarsi sulla contestazione mossa dalla contribuente alla ripresa dell’Ufficio concernente i costi dei trasporti affidati a T.B.P. s.r.l. e, quindi, sulla conseguente domanda di annullamento di tale ripresa e della parte relativa all’atto impugnato;

– Con il quarto motivo si censura la nullità della sentenza per violazione dei principi attinenti all’autorità ed agli effetti vincolanti del giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la pronuncia ha trascurato di considerare il giudicato formatosi sulle stesse questioni, con riguardo ad anni anteriori;

– Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione con riguardo a quanto si desume dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, comma 3, nonchè dal combinato disposto dell’art. 167 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e dell’art. 115 c.p.c., comma 1, nonchè l’ulteriore violazione dell’art. 88 c.p.c., dell’art. 167c.p.c., comma 1, dell’art. 111 Cost., commi 1 e 2 e dei principi regolatori del giusto processo, in quanto la CTR non ha valutato che nessuna contestazione era stata mossa sul contenuto del giudicato formatosi relativamente ad anni fiscali precedenti;

– Con il sesto motivo, viene contestata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo la CTR trascurato di pronunciarsi sulla contestazione mossa dalla contribuente relativamente alla ripresa dell’Ufficio concernente i costi dei trasporti affidati a T.B.D. s.r.l. e quindi sulla conseguente domanda di annullamento di tale ripresa e della parte relativa dell’atto impugnato;

– Con il settimo motivo, viene stigmatizzata la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 111Cost., dell’art. 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, poichè la CTR non ha “motivato idoneamente la sua determinazione”;

– Con l’ottavo motivo viene lamentata la nullità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il giudice d’appello omesso la motivazione “sul denunciato carattere di illazione implicito nei cosiddetti indizi indicati dalla controparte”, avendo, inoltre, “eluso radicalmente l’onere della prova legislativamente regolato” ed essendosi, infine, “contraddittoriamente avvalso dell’accertamento analitico per l’IVA e induttivo per il tributo reddituale”;

– Con il nono motivo di ricorso viene lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., perchè “la sentenza d’appello ha ritenuto che non incombesse all’Ufficio la prova dei suoi sospetti circa la correttezza economica dei prezzi praticati dalla fornitrice dei trasporti, quantunque ex adverso fosse stata riconosciuta l’effettività delle prestazioni e dei pagamenti e la beneficiaria dei servizi avesse provato la conformità dei corrispettivi ai prezzi correnti di mercato”;

– Con il decimo motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7, dell’art. 24 Cost., in quanto la sentenza impugnata “non ha rilevato l’inadeguatezza motivazionale dell’atto impugnato, dichiarandone la nullità, conformemente alle norme predette, di cui si è denunciata, appunto, la violazione”;

– Con l’undicesimo ed ultimo motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 4 e dell’art. 53 Cost. per avere il giudice d’appello “ritenuto apoditticamente indeducibili… costi (relativi alle prestazioni di trasporto rese da terzi) la cui asserita anormalità economica non è mai stata provata ex adverso”;

– Con il primo motivo del ricorso n. 17899/2013 R.G.N., parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 324 c.p.c. ed in generale dei principi attinenti all’autorità ed agli effetti vincolanti del giudicato sostanziale, avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR disconosciuto l’ultrattività del giudicato in relazione alla controversia relativa all’annualità 2004;

– Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente si duole della violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost. in tema di giusto processo e di effettività della tutela giurisdizionale, per avere la CTR ingiustamente escluso la portata vincolante della decisione passata in giudicato, determinando una situazione di conflitto e di incertezza;

– Con il terzo motivo, parte ricorrente assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la carenza di motivazione della sentenza, per averte la CTR, quale giudice della revocazione, omesso di motivare in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto la non incidenza del giudicato nella controversia sottopostale;

– Con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in quanto la sentenza è assistita da motivazione insufficiente;

– Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 4 e dell’art. 53 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR escluso la deducibilità di costi effettivamente sostenuti;

– Il primo motivo del ricorso n. 13606/12 è privo di pregio e va disatteso;

– Suo tramite si censura la carenza di motivazione in punto di ritenuta indebita deduzione dei costi, pari a Euro 10.336,00, in ragione dell’inesistenza soggettiva delle operazioni asseritamente rese da Servizi Amministrativi di C.F. & C. s.a.s. e riconducibili a consulenza in ambito gestionale svolta, per assunto, da tale P.G., già socio accomandante della stessa;

– La ricorrente deduce nel mezzo di censura: di avere dimostrato che “le fatturazioni ed il corrispondente esborso erano reali”; che “aveva regolarmente affrontato e debitamente annotato nelle scritture contabili i costi per il pagamento delle prestazioni in questione e che gli stessi erano stati imputati al conto profitti e perdite”; che nulla aveva fatto sospettare che la società emittente le fatture “fosse stata cancellata dal Registro Imprese dal gennaio 2001”; che non è stata svolta “alcuna argomentazione in ordine alle ragioni che avrebbero portato a non attribuire rilevanza agli elementi probatori offerti dalla ricorrente, elementi il cui esame è stato del tutto omesso”; che la sentenza non esplicita il criterio logico posto a base dell’assunto “secondo il quale, a fronte di fatture emesse da soggetto diverso dal reale prestatore d’opera, si dovesse sicuramente arguire la totale mancanza della prestazione, nonchè la simulazione assoluta del corrispondente debito”; che il compimento delle prestazioni fatturate era stato dimostrato anche “producendo dichiarazioni asseverate di dipendenti che avevano collaborato con la prestatrice di servizi”; che erano state trascurate le “prove documentali prodotte dalla ricorrente”;

– Con riferimento alla deduzione di costi per consulenze amministrative che sarebbero state rese, nella prospettazione della contribuente, dalla Servizi Amministrativi, la CTR ha incisivamente osservato che: detto ente “aveva da tempo cessato l’attività ed era stata cancellata dal Registro delle Imprese” il che costituiva grave indizio in punto di inesistenza delle operazioni; era sintomatica anche “la descrizione generica dei servizi che sarebbero stati resi”; non meno rilevanti erano “la mancanza di un contratto di consulenza” e la “mancata verifica periodica dell’esistenza del soggetto”; aveva, inoltre, fatto difetto l’esibizione ai verbalizzanti di documentazione attestante i servizi che sarebbero stati resi”; la contribuente si è limitata a contrapporre “a questi indizi la sua completa inconsapevolezza della cessazione della Servizi Amministrativi”, senza, peraltro, curarsi di dimostrare “l’effettiva esecuzione delle prestazioni”; andava sottolineato che “in tema di IVA, è indebita la detrazione di imposta relativa a fatture per operazioni inesistenti”; andava soggiunto che non possono essere dedotti costi “rappresentati da pagamenti a favore di soggetto inesistente e per prestazioni di cui non è stata provata l’effettuazione”;

– Va ricordato che spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti. Conseguentemente per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (con riferimento ai limiti del sindacato di legittimità nel regime precedente alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, cfr., tra le altre, Cass. n. 21223 del 2018; Cass. n. 24092 del 2013; Cass. n. 15355 del 2004; Cass. n. 9245 del 2007; Cass. n. 14752 del 2007);

– Il ricorrente, nel dedurre l’omessa valutazione delle prove asseritamente fornite, ha trascurato, peraltro, di precisare quali fossero, il che rende la censura, sotto questo profilo, palesemente inammissibile;

– In linea con il sedimentato avviso di questa Corte, giova semplicemente rammentare che non può assurgere a circostanza idonea ad infirmare la “ratio decidendi” il riferimento di parte ricorrente alla “registrazione di quelle fatture passive” e alla “loro confluenza nella contabilità aziendale”, posto che la mera regolarità della documentazione contabile, delle scritture e delle evidenze contabili del pagamento non sono profili concludenti, trattandosi “di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Cass. n. 11873 del 2018; Cass. n. 428 del 2015);

– Il secondo motivo è infondato;

– Esso adombra la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in virtù di una lamentata omessa motivazione della sentenza;

– In tema di processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, mentovato art. 36, esclusivamente la sentenza della CTR completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, solo in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo, non potendo ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (v. Cass. n. 28113 del 2013; Cass. n. 15884 del 2017);

– La sentenza impugnata non rientra paradigmaticamente nell’applicazione di tale principio di diritto, posto che sviluppa in apprezzabile modo un’autonoma valutazione sul meritum causae, come gli era stato richiesto con i motivi dell’appello;

– In effetti, il giudice d’appello non si è affatto astenuto dal procedere ad una propria autonoma valutazione della materia del contendere ed in particolare delle questioni relative alla effettività delle operazioni, ai presupposti di deducibilità dei costi e a quelli di detraibilità dell’IVA;

– Il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso n. 13606/2012 R.G.N., e il primo e il secondo motivo del riunito ricorso n. 17899/2013 R.G.N. – afferendo tutti alla portata de giudicato esterno asseritamente riconducibile alla sentenza n. 139/36/09 della CTR della Lombardia – sono intimamente connessi e si prestano ad una trattazione unitaria che ne rivela l’infondatezza;

– Mediante il terzo mezzo del ricorso n. 13606/2012 R.G.N. la ricorrente lamenta l’omesso esame dell’eccezione di giudicato esterno, sollevata con memoria depositata il 5 novembre 2010, con la quale la ricorrente evidenziava che relativamente agli anni 2001, 2002 e 2003, era passata in giudicato la sentenza n. 139/36/09, con la quale la CTR di Milano si era pronunciata a favore della contribuente in relazione alle prestazioni di trasporto della T.B.P. s.r.l.;

– Attraverso il quarto mezzo del ricorso n. 13606/2012 R.G.N. la ricorrente si duole della mancata rilevanza ascritta al giudicato esterno correlato all’evocata sentenza;

– Tramite il quinto mezzo del ricorso n. 13606/2012 R.G.N. la ricorrente agita la pretesa di vedere accolta l’eccezione di giudicato sulla base dell’asserita non contestazione al riguardo da parte dell’Ufficio, nel giudizio di merito; in altri termini, la non contestazione del giudicato esterno a cura della parte vincolerebbe il giudice ai fini della decisione;

– Mediante il primo motivo del ricorso n. 17899/2013 la ricorrente denuncia la disattesa vincolatività del giudicato di cui alla sentenza n. 139/36/09 della CTR della Lombardia;

– Attraverso il secondo motivo del ricorso n. 17899/2013 R.G.N. la ricorrente deduce la violazione dell’art. 111 Cost. e dei principi del giusto processo e dell’effettività della tutela giurisdizionale, i quali sarebbero preservati solo dal riconoscimento dell’efficacia ultrattiva dell’invocato giudicato esterno;

– Il terzo e il quarto motivo di cui al ricorso n. 17899/2013 R.G.N. adombrano un deficit della motivazione, con riferimento al ritenuto profilo di inestendibilità del giudicato, l’uno in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’altro in rapporto al n. 3 della medesima disposizione, avuto riguardo agli artt. 111 Cost., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e all’art. 132 c.p.c.;

– Orbene, l’asserzione della contribuente in punto di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. risultava in realtà contraddetta dal testo della sentenza n. 145/43/11, avendo osservato la CTR, in apertura della parte motiva, che: la memoria che la conteneva “avrebbe dovuto avere contenuto illustrativo”; “la copia autentica della sentenza, sulla quale si afferma essersi formato il giudicato, non contiene attestazione del passaggio in giudicato”; “il rilascio “per uso ricorso in Cassazione” farebbe semmai ritenere che almeno la parte richiedente non avesse fatto acquiescenza alla decisione”;

– La circostanza che dell’eccezione non si facesse menzione nel dispositivo non comporta alcun vizio della sentenza, dal momento che non impedisce di comprendere appieno l’esatto contenuto della pronuncia, che, invero, va individuato, come numerose volte questa Corte ha avuto modo di chiarire, non alla stregua del solo dispositivo, ma integrando il dispositivo con la motivazione nella parte in cui questa rivela l’effettiva volontà del giudice (Cass. n. 360 del 2005; Cass. n. 1323 del 2002); in effetti, la portata precettiva della sentenza si presta ad essere individuata tenendo conto non solo del dispositivo ma anche integrando questo con la motivazione, sicchè, ove manchi un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, deve ritenersi prevalente la statuizione contenuta in una delle due parti del provvedimento, che va interpretato secondo l’unica statuizione in esso contenuta (Cass. n. 1241 del 2016; Cass. n. 15088 del 2015);

– Ad ogni buon conto, la sentenza n. 54/45/13, emessa nel giudizio di revocazione della decisione or ora ridetta, ha integrato il dispositivo di quest’ultima, icasticamente accludendovi la “declaratoria di infondatezza dell’eccezione di giudicato esterno”;

– L’eccezione di giudicato esterno è stata quindi certamente scrutinata; essa si mostra, peraltro, del tutto infondata, essendo a tal fine sufficiente evidenziare che, pur relativa ad una controversia insorta tra le medesime parti, per i medesimi tributi e con medesime questioni giuridiche, la sentenza da cui il giudicato dovrebbe promanare (n. 139/36/09 della CTR della Lombardia) afferisce differenti anni d’imposta, per la deduzione di costi distinti, perchè distinte erano le fatture e le prestazioni offerte, sicchè del tutto estranei sono i presupposti di fatto e diversa è l’identità del rapporto tributario per i due anni d’imposta;

– Costituisce infatti principio reiterato quello secondo cui, in materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche deve essere riconosciuto nei casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (Cass. n. 32254 del 2018; Cass. n. 21395 del 2017);

– D’altronde, persino quando si tratti di imposte periodiche come l’ICI, si è affermato che la sentenza che abbia deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità fa stato anche per annualità diverse solo in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente ma non con riferimento ad elementi variabili (cfr. Cass. n. 1300 del 2018);

– Nel caso che ci occupa, trattandosi di costi relativi a prestazioni di servizi che possono mutare per qualità, modalità e quantità di anno in anno, la fattispecie esula dalla possibilità di riconoscere l’efficacia espansiva del giudicato formatosi in una controversia relativa ad annualità differenti;

– Giova soggiungere, con riguardo specifico al quinto mezzo del ricorso n. 13606 R.G.N., che il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario, ma attesa (‘indisponibilità dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori di un fatto rilevante ai fini della decisione e che si palesi non contestato, semprechè il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza (Cass. n. 12287 del 2018; Cass. n. 2196 del 2015);

– Nel caso di specie il “fatto” che parte ricorrente assume come probatoriamente rilevante in quanto incontestato attiene al computo delle imposte in relazione ad anni diversi e, come tali, eccentrici rispetto al thema decidendum proprio dell’odierna controversia;

– Con riferimento alla carenza di motivazione, lamentata nel terzo e nel quarto motivo di cui al ricorso n. 17899/2013, giova evidenziare che per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (con riferimento ai limiti del sindacato di legittimità nel regime precedente alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, cfr., tra le altre, Cass. n. 21223 del 2018; Cass. n. 24092 del 2013; Cass. n. 15355 del 2004; Cass. n. 9245 del 2007; Cass. n. 14752 del 2007);

– La CTR della Lombardia, nella sentenza n. 54/45/13, ha puntualmente evidenziato che: era stata riconosciuta l’effettività dei trasporti fatturati negli anni 2001, 2002, 2003, “perchè effettivamente eseguiti e pagati”; non poteva estendersi detta statuizione “ai trasporti fatturati nel 2004 in quanto l’effettiva esecuzione di ciascuno di essi costituisce una fattispecie a sè stante che il giudice deve stabilire valutando discrezionalmente le prove fornite dalle parti per ognuno e scegliendo, tra esse, quelle ritenute pià idonee”;

– Il ricorrente, nel dedurre l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, non ha adombrato nè la mancata valutazione di prove asseritamente fornite, nè si è peritata di chiarire quale fosse il fatto pretermesso dal giudice idoneo a condurlo ad una diversa decisione; piuttosto, a fronte di una argomentata valutazione di inestendibilità del giudicato, ne ha contrapposto un’altra;

– Ciò rende la censura, sotto questo profilo, palesemente inammissibile;

– Il sesto motivo e il settimo motivo di cui al ricorso n. 13606/2012 R.G.N. sono intimamente connessi e si offrono ad un esame unitario che ne evidenzia l’infondatezza;

– Con il sesto mezzo si censura l’insufficiente motivazione della sentenza in ordine alla ripresa dell’Ufficio concernente i “costi dei trasporti affidati a T. B. P. s.r.l.”;

– La ricorrente deduce col mezzo di censura in discorso: che in sede di gravame di merito essa aveva dedotto come si trattasse di un “recupero operato in via meramente cautelativa sulla base unicamente di “forti dubbi”; che “nell’atto di appello relativo agli anni 2001, 2002, 2003…si legge testualmente: “tutti gli elementi sopra individuati non assumono singolarmente presi valore di prova certa”; che “la ricorrente deduceva: “Nel settore dei trasporti, al fine di valorizzare il costo dei servizi resi e, quindi, di stabilirne la congruità, si fa riferimento alle tariffe ministeriali cosiddette a forcella previste dalla legge sui trasporti 6 giugno 1974, n. 298”;

– Con riferimento alla deduzione di costi per prestazioni fatturate da T.B.P, la CTR ha incisivamente osservato che gli elementi indiziari a sostegno dell’effettuata ripresa fiscale erano rappresentati: dalla “contiguità dei locali in cui operano” la TBP e l’odierna ricorrente; dalla circostanza che “per quasi cinque anni, le due società abbiano avuto lo stesso amministratore unico”; dalla circostanza che “la T.B.P ha in locazione automezzi della Chimitex e ne è il principale fornitore”; dalla circostanza che “la fatturazione avveniva mensilmente, in forma generica e in misura fissa, nonostante… il contratto prevedesse che il consuntivo fosse determinato mese per mese in base alle percorrenze”; dal fatto che “due targhe di automezzi indicati come autoarticolati… appartengono a vetture per trasporto di persone, intestati a privati”;

– Va ricordato che spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti. Conseguentemente per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (con riferimento ai limiti del sindacato di legittimità nel regime precedente alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, cfr., tra le altre, Cass. n. 21223 del 2018; Cass. n. 24092 del 2013; Cass. n. 15355 del 2004; Cass. n. 9245 del 2007; Cass. n. 14752 del 2007);

– Il ricorrente, nel dedurre l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, non ha adombrato nè la mancata valutazione di prove asseritamente fornite (avendo la CTR esplicitamente escluso che la contribuente le avesse offerte), nè si è peritata di chiarire quale fosse il fatto pretermesso dal giudice idoneo a condurlo ad una diversa decisione;

– Ciò rende la censura, sotto questo profilo, palesemente inammissibile;

– A fronte, del resto, della contestata indeducibilità dei costi, parte ricorrente ha abdicato all’onere di provare la realtà e l’entità specifica delle prestazioni rese in suo favore dal fatturante e dell’effettività dei pagamenti in favore di quest’ultimo, limitandosi ad evidenziare la circostanza – probatoriamente neutra e sterile a tal fine – della congruità delle somme riportate nelle fatture in quanto entro i limiti delle c.d. “tariffe a forcella” ex L. n. 298 del 1974;

– Su queste evidenze frana anche il settimo motivo di ricorso, dovendosi osservare che per i provvedimenti giudiziari l’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, è violato unicamente qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile), in tal caso concretandosi in una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 22598 del 2018);

– D’altronde, come già constatato in sede d’esame del secondo motivo di ricorso, in tema di processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, mentovato art. 36, esclusivamente la sentenza della CTR completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, solo in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo, non potendo ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (v. Cass. n. 28113 del 2013; Cass. n. 15884 del 2017);

– L’ottavo, il nono e l’undicesimo motivo di cui al ricorso n. 13606/2012 R.G.N. e il quinto motivo di cui al ricorso n. 17899/2013 R.G.N., mostrano un’intima connessione che ne suggerisce la trattazione unitaria;

– Essi sono infondati;

– Tramite l’ottava censura parte ricorrente adduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ancora una volta denunciando l’omessa motivazione in ordine a talune censure, che individua: nella violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in materia di presunzioni; nell’inosservanza del vincolo dell’onere della prova”; nell’errata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c) e d)”;

– Tramite la nona censura la ricorrente lamenta d’aver assolto ai propri oneri probatori in funzione della deducibilità dei costi sostenuti per i trasporti asseritamente effettuati da T.B.P., mentre la CTR si è limitata a mutuare valutazioni della Guardia di Finanza, senza il supporto di alcuna prova;

– Tramite l’undicesimo motivo di cui al ricorso n. 13606/2012 R.G.N. si lamenta che la sentenza d’appello avrebbe “apoditticamente” ritenuto indeducibili i costi sostenuti; analoga connotazione apodittica la ricorrente denuncia con il quinto motivo di cui al ricorso n. 17899/2013;

– Orbene, questa Corte ha affermato che in materia di operazioni inesistenti, assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, è compito dell’Amministrazione provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate (Cass. n. 24426 del 2013); che detta prova – proprio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, di cui si contesta la violazione nel corpo del motivo – può essere fornita anche mediante presunzioni (Cass. n. 9108 del 2012);

che in presenza di una siffatta prova “è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili” (Cass. n. 12802 del 2011; Cass. 8999 del 2014);

– In altri termini, l’Ufficio, ogni qualvolta ritenga, che la fattura sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, assolve al proprio onere probatorio, semplicemente fornendo elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata; a quel punto passa sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate e quest’ultima prova non potrà consistere nella esibizione delle fatture (v., tra le altre, Cass. n. 15228 del 2001 e Cass. n. 12802 del 2011), vieppiù in ipotesi in cui dette fatture siano generiche, non descritte e inespressive, come sottolineato dall’erario nel caso di specie;

– Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria ha fornito, sulla scorta degli elementi desunti dal processo verbale di constatazione, ed esposti sopra in sede d’esame del sesto e del settimo motivo – senza affatto violare il precetto dell’art. 112 c.p.c. validi elementi di prova presuntiva circa il carattere fittizio delle operazioni intercorse tra fatturante e odierna ricorrente, con l’ovvia riflessa ricaduta sul piano probatorio che, di fronte ad un quadro di riferimento fortemente indiziante nel senso dell’inesistenza delle operazioni, il compito di dimostrare il contrario, per i principi che governano più in generale l’onere della prova, doveva e non poteva che essere assolto dall’odierna ricorrente;

– Il decimo motivo di cui al ricorso n. 13606/2012 è infondato;

– Parte ricorrente lamenta mediante detto mezzo “l’inadeguatezza motivazionale dell’atto impugnato”;

– Come chiarito condivisibilmente da questa Corte, in tema di imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, richiede l’indicazione nell’avviso di accertamento non soltanto degli estremi del titolo e della pretesa impositiva, ma anche dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, al fine di porre il contribuente in condizione di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente ran” ed il “quantum debeatur”. Tali elementi conoscitivi devono essere forniti tempestivamente (“ab origine” nel provvedimento) e con un grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta all’interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa (Cass. n. 16836 del 2014; Cass. n. 15842 del 2006);

– Anche in materia di IVA, la motivazione dell’avviso di accertamento deve ritenersi adeguatamente espressa ogni qualvolta l’atto renda comprensibili – come nel caso di specie – i presupposti della pretesa tributaria; in tal senso, la verifica dell’effettiva osservanza dell’obbligo, imposto all’Amministrazione finanziaria, di indicare i presupposti di fatto e le “ragioni giuridiche” che sorreggono un proprio atto, in difetto di ulteriore specificazione normativa, va riscontrata assumendo a parametro di riferimento le finalità reiteratamente evidenziate da questa sezione (Cass. n. 22200 del 2011; Cass. n. 26498 del 2008; Cass. n. 24193 del 2006), proprie di ciascun atto tipico impositivo, di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria per approntare idonea difesa;

– L’obbligo motivazionale dell’accertamento è, allora, adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere – come nel caso di specie, avuto riguardo alla divaricazione fra situazione reale e situazione documentalmente esposta nelle fatture emesse da T.B.P. s.r.l. – la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, tanto da poterla contrastare;

– In particolare, il requisito motivazionale consta nel caso di specie in quanto esige in astratto, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti giustificativi di essa e suscettibili di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (v. anche sul punto, con motivazioni mutuabili e condivisibili, Cass. n. 9008 del 2017; Cass. n. 26431 del 2017; Cass. n. 7284 del 2001);

– Ove, pertanto, l’accertamento specifichi – come nel caso che occupa – gli estremi del rapporto sostanziale, la motivazione deve ritenersi correttamente resa, perchè ciò già salvaguarda l’esigenza di permettere al contribuente di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali onde poterla efficacemente contrastare (Cass. n. 4989 del 2003; Cass. n. 1034 del 2002; Cass. n. 1209 del 2000), come del resto accaduto ancora nella presente sede con ben undici motivi di ricorso;

– Entrambi i ricorsi vanno in ultima analisi rigettati;

– Le spese dei due giudizi riuniti vanno regolate secondo soccombenza e liquidate nella misura espressa in dispositivo;

– Con riferimento al ricorso n. 17899/2013 sussistono, altresì, i presupposti per la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo.

PQM

La Corte rigetta i ricorsi; condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente – con riferimento al solo ricorso riunito n. 17899/2013 – dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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