Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23083 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 22/10/2020), n.23083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 25954 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

F.lli Z. di Z.M. & M. s.n.c., in persona del legale

rappresentante pro tempore, Z.M. e Z.M. nella qualità

di soci, rappresentati e difesi, giusta procura speciale a margine

al ricorso, dall’avv.to Raffaello Lupi e dall’avv.to Claudio

Lucisano, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’ultimo

difensore in Roma, Via Crescenzio n. 91;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 1800/15/2014, depositata in data 7

aprile 2014 non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 novembre 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 1800/15/2014, depositata in data 7 aprile 2014 non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, previa riunione, accoglieva in parte l’separati appelli proposti da F.lli Z. di Z.M. & M. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Z.M. e Z.M. nella qualità di soci, nei confronti della Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rispettivamente avverso le sentenze n. 173, 174 e 175 dell’8 maggio 2013 della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva dichiarato inammissibili per tardività i ricorsi proposti: 1) dalla suddetta società avverso rispettivamente l’avviso di accertamento (OMISSIS) con cui previo p.v.c. della Guardia di finanza – Compagnia di (OMISSIS), l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultima, esercente attività di commercio di animali vivi, per l’anno 2006, l’indebita detrazione di Iva in relazione a fatture ritenute soggettivamente inesistenti emesse da società c.d. cartiere in un sistema di tipica c.d. frode carosello; 2) dai due soci avverso i rispettivi avvisi di accertamento (OMISSIS) e (OMISSIS) emessi per il recupero a tassazione di maggiori redditi di partecipazione imputati ad essi pro quota;

– il giudice di appello, in punto di fatto, premetteva che: 1) previo p.v.c. della Guardia di Finanza di (OMISSIS) del 30 gennaio 2008, sulla base di altri p.v.c. della G.d.F. di Treviso e di Savona, l’Agenzia delle entrate con l’avviso di accertamento (OMISSIS) aveva recuperato nei confronti di F.lli Z. di Z.M. & M. s.n.c., quale impresa filtro, l’Iva indebitamente detratta, per l’anno 2006, in relazione a fatture fittizie emesse da c.d. società cartiere (Bovins Import Export s.r.l.; Bovins Bovins Import Export s.r.l., Nord Est Allevamenti s.r.l., CA Import Export s.r.l.) nell’ambito di un sistema di frodi Iva comunitaria in materia di commercializzazione di animali vivi; 2) dalla medesima attività ispettiva erano scaturiti anche gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci per reddito da partecipazione; 3) avverso i suddetti atti impositivi la società contribuente e i soci avevano proposto separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano che, con sentenze n. 173, 174 e 175 dell’8 maggio 2013, li avevano dichiarati inammissibili per tardività; 3) avverso le sentenze di primo grado avevano proposto separati appelli la società e i soci e aveva resistito l’Agenzia chiedendo il rigetto dei gravami;

– in punto di diritto, la CTR, pur dichiarando ammissibili perchè tempestivi i ricorsi in primo grado li ha rigettati nel merito osservando che:1) dai processi verbali della Guardia di finanza – contenenti una descrizione dettagliata delle operazioni compiute con accessi quotidiani e puntuali – erano emersi una serie di elementi gravi, precisi e concordanti- da cui si evinceva la conoscenza da parte della società contribuente del meccanismo fraudolento – ravvisabili: a) nella individuazione di una serie di società c.d. cartiere, tutte gestite da un unico soggetto ( S.R.) e formalmente amministrate da prestanomi, prive di strutture amministrative, di personale e di contabilità ed evasori totali di imposta; b) nella pratica da parte delle società c.d. cartiere di vendite sottocosto; c) con particolare riguardo ai rapporti intercorsi con la formale fornitrice “Nord Est Allevamenti s.r.l.”, oltre che nella qualificazione di evasore totale e nella totale assenza di strutture e di personale, nell’acquisto, nel 2001, di ingenti quantitativi di merci da contraenti comunitari, nel rinvenimento di lettere di vettura (CMR) – corrette verosimilmente dalla contribuente-caratterizzate dalla indicazione della società F.lli Z. di M. e M.Z. s.n.c., quale acquirente e destinatario della merce nonchè di corrispondenza (fax)intercorsa direttamente tra la contribuente e i cedenti comunitari, nella cessione di crediti, attuata nel 2001,in favore di una società di factoring, verso un controvalore – pari al 10% del valore nominale dei crediti ceduti – palesemente antieconomico; 2) a fronte di avvisi dai quali emergeva in modo chiaro l’iter logico seguito dall’Ufficio in sede di accertamento, con contestazione della indebita detrazione Iva relativamente a fatture soggettivamente fittizie emesse da società cartiere, la contribuente non aveva contrastato in modo sufficiente quanto rilevato dagli agenti verificatori non dimostrando fatti estintivi della vantata pretesa tributaria;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente e i soci hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito, con “atto di costituzione”, l’Agenzia delle entrate;

– la società contribuente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, i ricorrenti denunciano: 1) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia in merito alla questione della deducibilità o meno dei costi ai fini delle IIDD e dell’IRAP; 2) subordinatamente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14-comma 4bis, e dell’art. 109 TUIR per avere la CTR – in adesione a quanto addotto dall’Ufficio – qualificato gli acquisti in esame erroneamente come “costi da reato”; al riguardo, i ricorrenti invocano, altresì, l’applicazione retroattiva della novella di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito dalla L. n. 44 del 2012 in forza della quale sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, allorquando ricorrano i requisiti generali per la loro deducibilità;

– il motivo – articolato in due sub-censure – è inammissibile per novità della questione dedotta e per violazione del principio di autosufficienza, evidenziandosi, sotto il primo profilo, che dal contenuto della sentenza impugnata non emerge essere stata eccepita dai contribuenti, in sede di gravame, la deducibilità dei costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, ai fini delle IIDD e dell’IRAP, in forza della novella di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito dalla L. n. 44 del 2012, e, sotto il secondo profilo, che è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione di quella questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 17831 del 2016, n. 23766 e n. 1435 del 2013, n. 17253 del 2009);

– con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa molteplici fatti decisivi e controversi per il giudizio, per avere la CTR fondato la decisione su pretese “fonti di prova” relative all’anno 2001 e non già al 2006 e, con riferimento alla “Nord Est Allevamenti s.r.l.” con cui la società contribuente aveva avuto rapporti solo nel 2001, senza considerare che quest’ultima aveva verificato tutte le circostanze indici della effettività delle società venditrici- quali l’iscrizione delle stesse alla CCIAA, la inserzione nel sistema informativo del servizio veterinario, la presentazione di regolare bilancio etc – e non aveva consapevolmente partecipato al meccanismo fraudatorio;

– il motivo si profila inammissibile, posto che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 7 aprile 2014) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un “fatto storico”, ma peraltro di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

– con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulle “rilevanti argomentazioni difensive dei contribuenti” basandosi su indizi addotti dall’Amministrazione con riferimento a controparti e periodi di imposta diversi da quello oggetto di verifica;

– il motivo è inammissibile e, comunque, nel merito, infondato;

– va premesso che, con specifico riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, è stato più volte ribadito che l’attribuzione al giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito non è sufficiente a consentire il vaglio del denunciato vizio procedurale essendo, invece, necessario e preliminare a quell’esame, la verifica dell’ammissibilità del motivo di censura sotto il profilo della sua specificità ed autosufficienza, perchè “solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali” (Cass. n. 1266 del 2012; Cass. n. 896 e n. 8008 del 2014)i pertanto, quando viene denunciato un vizio procedurale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, riguardante atti dei precedenti gradi di giudizio di merito, la Corte, che è anche giudice del fatto, può accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito se in tal senso sollecitato dalla parte, ma non in base ad qualsiasi generica deduzione di nullità, formulata in termini meramente assertivi, ma – in conformità al requisito di autosufficienza del ricorso che trova fondamento normativo nell’art. 366 c.p.c” comma 1, n. 6) – soltanto a seguito di una specifica allegazione dei fatti processuali e, dunque, di una completa ricostruzione della vicenda processuale attraverso la trascrizione del contenuto di quegli atti che, in relazione alla sequenza processuale, consentono di fornire una chiara rappresentazione del vizio denunciato (Cass. n. 12664 del 2012; Cass., sez. 5, n. 25950 del 2017); nella specie, i ricorrenti, in difetto del principio di autosufficienza, hanno omesso di riportare gli atti di appello, nelle parti rilevanti, quanto ai capi di domanda sui quali sarebbe stata omessa la pronuncia della CTR, con ciò non consentendo a questa Corte di verificare la fondatezza della relativa censura;

– invero, anche a volere ritenere sufficiente ai fini della disamina del detto motivo, il rinvio operato dai ricorrenti alle deduzioni svolte nel secondo motivo, la censura si profila comunque infondata in quanto, premesso che “costituisce violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e configura il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22759 del 2014; n. 6835 del 2017); in particolare, il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto” (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012), nella specie, la CTR ha espresso il proprio avviso circa la legittimità dell’accertamento in questione fondato sulle risultanze del verbale della G.d.F. di (OMISSIS) del 30 gennaio 2008 relativo agli anni 2001-2006, valutando complessivamente i molteplici elementi presuntivi in ordine non solo alla soggettiva fittizietà delle società nazionali fornitrici (quali l’omesso versamento delle imposte, la mancanza da parte di queste ultime di ogni struttura amministrativa/operativa, di personale dipendente e di contabilità) ma anche alla conoscibilità da parte della contribuente dell’inserzione delle operazioni in una evasione Iva (quali la vendita sottocosto della merce da parte delle società interposte, i rapporti pluriennali dal 2001- 2006, con una pluralità di soggetti aventi la qualità di cartiera, il rinvenimento di lettere di vettura – poi corrette – recanti l’indicazione dei Fili Z. s.n.c. come acquirente e destinatario della merce nonchè la corrispondenza intercorsa direttamente tra la contribuente e le cedenti comunitarie), elementi a fronte dei quali alcuna prova contraria era emersa; ogni altra argomentazione sottende ad una inammissibile rivalutazione di accertamenti di fatto operati dal giudice di merito;

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– nulla sulle spese essendo rimasta intimata l’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

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