Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23082 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 22/10/2020), n.23082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 21712 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

F.lli Z. di Z.M. & M. s.n.c., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale a margine al ricorso, dall’avv.to Francesco d’Ayala Valva,

elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore in Roma, al

Viale Parioli 43;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 63/15/2011, depositata in data 27

giugno 2011, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 novembre 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 63/15/2011, depositata in data 27 giugno 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di F.lli Z. di Z. Mario & M. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 204/44/2009 della Commissione tributaria provinciale di Milano che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla suddetta società avverso cinque avvisi di accertamento con i quali, previo p.v.c. della Guardia di finanza – Compagnia di (OMISSIS), l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultima, esercente attività di commercio di animali vivi, per gli anni 20012005, indebita detrazione di Iva in relazione a fatture ritenute soggettivamente inesistenti emesse da società c.d. cartiere in un sistema di tipica c.d. frode carosello;

– il giudice di appello, in punto di fatto, premetteva che: 1) previo p.v.c. della Guardia di Finanza di (OMISSIS) del 30 gennaio 2008, sulla base di altri p.v.c. della G.d.F. di Treviso e di Savona, l’Agenzia delle entrate, con cinque avvisi di accertamento, aveva recuperato nei confronti di F.lli Z. di Z. Mario & M. s.n.c., quale impresa filtro, l’Iva indebitamente detratta, per gli anni 2001-2005, in relazione a fatture fittizie emesse da c.d. società cartiere (Bovins Import Export s.r.l.; Bovins Bovins Import Export s.r.l., Nord Est Allevamenti s.r.l., CA Import Export s.r.l.) nell’ambito di un sistema di frodi di Iva comunitaria in materia di commercializzazione di animali vivi; 2) avverso gli atti impositivi la contribuente aveva proposto separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano che, con sentenza n. 204/44/2009, previa riunione, li aveva accolti mancando la prova dell’effettiva partecipazione della società alla c.d. truffa carosello; 3) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello l’Agenzia e aveva resistito la contribuente chiedendone la conferma;

– in punto di diritto, la CTR ha osservato che:1) dai processi verbali della Guardia di finanza – contenenti una descrizione dettagliata delle operazioni compiute con accessi quotidiani e puntuali – erano emersi una serie di elementi gravi, precisi e concordanti- da cui si evinceva la conoscenza da parte della società contribuente del meccanismo fraudolento – ravvisabili: a) nella individuazione di una serie di società c.d. cartiere, tutte gestite da un unico soggetto ( S.R.) e formalmente amministrate da prestanomi, prive di strutture amministrative, di personale e di contabilità ed evasori totali di imposta; b) nella pratica da parte delle società c.d. cartiere di vendite sottocosto; c) con particolare riguardo ai rapporti intercorsi con la formale fornitrice “Nord Est Allevamenti s.r.l.”, oltre che nella qualificazione di evasore totale e nella totale assenza di strutture e di personale, nell’acquisto, nel 2001, di ingenti quantitativi di merci da contraenti comunitari, nel rinvenimento di lettere di vettura (CMR)-corrette verosimilmente dalla contribuente – caratterizzate dalla indicazione della società F.lli Z. di M. e M.Z. s.n.c., quale acquirente e destinatario della merce nonchè di corrispondenza (fax)intercorsa direttamente tra la contribuente e i cedenti comunitari, nella cessione di crediti, attuata nel 2001, in favore di una società di factoring, verso un controvalore – pari al 10% del valore nominale dei crediti ceduti- palesemente antieconomico; 2) a fronte di avvisi dai quali emergeva in modo chiaro l’iter logico seguito dall’Ufficio in sede di accertamento, con contestazione della indebita detrazione Iva relativamente a fatture soggettivamente fittizie emesse da società cartiere, la contribuente non aveva contrastato in modo sufficiente quanto rilevato dagli agenti verificatori non dimostrando fatti estintivi della vantata pretesa tributaria;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a diciannove motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– la società contribuente ha depositato memoria ex art. 380bis.1 c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine alla natura di “cartiera” delle società venditrici per avere la CTR desunto detta natura formale delle società venditrici (Bovins Import Export s.r.l.; Bovins Bovins Import Export s.r.l., Nord Est Allevamenti s.r.l., CA Import Export s.r.l.) ancorandosi al giudizio valutativo espresso dall’Ufficio nell’atto di appello e acriticamente alle risultanze del p.v.c. senza argomentare in ordine agli elementi addotti quali indici della natura fittizia delle medesime;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in combinato con la Dir. 2006/112/CE, artt. 2, 9, 167, 168, 178, 213, 220, 226 e 273, per avere la CTR caricato erroneamente la società contribuente-cessionaria dell’onere di provare la natura reale ed effettiva delle società cedenti, ancorchè quest’ultima fosse sfornita dei poteri investigativi dell’AF circa assunte frodi fiscali poste in essere da società estranee;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in combinato con la Dir. 2006/112/CE, artt. 2, 9, 167, 168, 178, 213, 220, 226 e 273, per avere la CTR erroneamente imputato alla società contribuente-cessionaria l’onere di contestare fatti esposti nel p.v.c. afferenti alle società terze cedenti, anche se sprovvista di poteri di indagine dell’A.F. circa fatti riguardanti terzi soggetti;

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in combinato con la Dir. 2006/112/CE, artt. 2, 9, 167, 168, 178, 213, 220, 226 e 273, sulla perdita del diritto alla detrazione Iva, per frode comunitaria Iva, avendo la CTR presunto la consapevolezza in capo alla contribuente del meccanismo fraudatorio in base ad elementi riguardanti le cedenti nazionali – che vadano oltre la legittima apparenza (iscrizione alla camera di commercio e partita Iva) – ovvero elementi incerti non sintomatici della frode carosello inidonei come tali a tipizzare una partecipazione attiva della cessionaria (accordo fraudolento) o l’omessa attivazione dinanzi a situazioni sospette per il normale imprenditore;

– con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illogicità della motivazione sul disconoscimento del diritto alla detrazione Iva fondato su fatti riguardanti le società nazionali venditrici;

– con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione sul disconoscimento del diritto a detrazione Iva fondato sulla presunta colpevolezza della società contribuente nella frode a monte ravvisata, in violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nella rilevata corrispondenza (fax) con le cedenti comunitarie e nel rinvenimento di CMR corretti (senza conoscere da chi), quali elementi inidonei a fondare la presunta responsabilità fiscale della cessionaria;

– con il settimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contraddittoria motivazione in ordine al titolo (dolo o colpa) del coinvolgimento psicologico della contribuente alla frode fiscale Iva;

– con l’ottavo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione in ordine alla asserita partecipazione della società cessionaria all’accordo fraudolento ai fini del disconoscimento dell’Iva detratta;

– con il nono motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in combinato con la Dir. n. 2006/112/CE, per avere la CTR fondato la presunzione di colpevolezza della cessionaria circa la frode fiscale su fatti riguardanti società terze non già su elementi oggettivi di collegamento riguardanti la contribuente;

– con il decimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere la CTR, utilizzando indebitamente il principio di non contestazione, fatto assumere al p.v.c. il carattere di prova in sè senza analizzarne compiutamente il relativo contenuto;

– con l’undicesimo motivo, la contribuente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contraddittoria motivazione per avere il giudice di appello dapprima affermato la “non contestazione del p.v.c.” e poi la contestazione dell’accertamento;

– con il dodicesimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa motivazione su fatti che non sarebbero stati contestati dalla società cessionaria, ex art. 115 c.p.c.;

– con il tredicesimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la CTR escluso il diritto alla detrazione Iva da parte della contribuente, mal gestendo i principi dell’onere della prova, e, in particolare, fondando la decisione su elementi riguardanti la vita delle cedenti nazionali nonchè elementi (come il rinvenimento di fax con le cedenti comunitarie e i CMR corretti da qualcuno) soggettivamente interpretabili, insuscettibili di prova diretta contraria;

– con il quattordicesimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la CTR applicato non correttamente le regole di giudizio non verificando se l’intero thema probandum e decidendum compresi i fatti incontestati fosse idoneo a dimostrare l’assunto di partecipazione dolosa o colposa della contribuente alla frode;

– con il quindicesimo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in combinato con l’art. 2697 c.c., per avere la CTR applicato erroneamente il principio di non contestazione escludendo elementi obiettivi ai fini della disamina della frode fiscale facenti parte – quali fatti incontestati (legittimazione delle società cedenti ad operare nel settore stante la iscrizione CCIA e partita Iva, l’assenza di acquisto in sottoprezzo da parte di F.lli Z. e l’assenza di un accordo fraudolento)- del thema decidendum;

– i primi quindici motivi- da trattare congiuntamente per connessione-presentano alcuni profili di inammissibilità e altri di infondatezza;

– la ricorrente aggredisce la sentenza di appello sotto il duplice profilo della violazione di legge (motivi nn. 2, 3, 4, 9, 10, 13, 14 e 15) e della insufficienza motivazionale (motivi nn. 1, 5, 6, 7, 8, 11, 12) quanto all’asserito disconoscimento del diritto alla detrazione da parte della contribuente, in particolare, con riguardo: a) alla affermata partecipazione dolosa o colposa della società cessionaria all’accordo fraudatorio sulla base non già di elementi obbiettivi di collegamento alla contribuente ma bensì di elementi riconducibili alle società venditrici terze (c.d. cartiere) ovvero di elementi irrilevanti (fax e lettere di vettura) soggettivamente interpretabili e insuscettibili di prova diretta contraria; b) la valutazione nell’impianto motivazionale – ai fini della configurazione della c.d. frode carosello – di fatti afferenti a società venditrici terze che andavano oltre la legittima apparenza (iscrizione alla camera di commercio e partita Iva) e dunque non direttamente verificabili dalla contribuente; c) la mancata disamina di “fatti incontestati” ai fini dell’accertamento della frode fiscale; d) la rilevanza attribuita al p.v.c. quale fonte di prova in sè, senza l’analisi del relativo contenuto;

– va premesso che secondo condivisibile orientamento di questa Corte “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. Sez. 5, n. 27566 del 2018; Cass. n. 9851 del 2018); “Nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto (nella specie di leasing immobiliare), il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5873 del 28/02/2019);

– quanto alla denunciata insufficienza motivazionale sotto il profilo della inidoneità degli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio a fondare il giudizio del giudice a quo di inesistenza soggettiva delle operazioni intercorse, va ribadito che “La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione” (tra le molte, Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del 2017; n. 3077 del 2019);pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass.n. 30372/18; Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014);

– nella specie, la formulazione delle censure in oggetto urta contro i limiti di deducibilità del vizio motivazionale come configurati in detto consolidato arresto giurisprudenziale; in particolare, il giudice a quo, con una motivazione sufficiente e scevra da vizi logici-giuridici attenendosi ai principi in materia, ha, correttamente, verificato l’assolvimento da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’onere probatorio sia in ordine alla soggettiva fittizietà delle società nazionali fornitrici, desunta, oltre che dall’omesso versamento delle imposte, dalla mancanza da parte di queste ultime di ogni struttura amministrativa/operativa, di personale dipendente e di contabilità/ che in ordine alla conoscibilità da parte della contribuente che l’operazione si inseriva in una evasione Iva desunta in base ad elementi presuntivi obiettivi quali la vendita sottocosto della merce da parte delle società interposte, la pluri-annualità (2001-2005) di rapporti con una pluralità di soggetti aventi la qualità di cartiera, l’ingente quantitativo delle operazioni in questione, il rinvenimento di lettere di vettura – poi corrette – recanti l’indicazione dei F.lli Z. s.n.c. come acquirente e destinatario della merce nonchè la corrispondenza (fax) intercorsa direttamente tra la contribuente e le cedenti comunitarie; tale giudizio della CTR è stato, peraltro, formulato secondo le modalità di legge in tema di valutazione della prova indiziaria, in piena conformità all’ulteriore principio di diritto secondo cui “La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perchè equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Sez. 3, Sentenza n. 5787 del 13/03/2014);

– quanto poi al fatto che il giudice di appello abbia tratto il completo e complesso quadro indiziario- circa la natura di cartiere delle società nazionali e l’intero sistema di frode carosello relativo alle operazioni soggettivamente inesistenti con il coinvolgimento delle effettive cedenti comunitarie (francesi)- esclusivamente dall’esame dei verbali della Guardia di finanza, quest’ultimo, sul punto, ha affermato che “il processo verbale della G.d.F. conte(eva) una dettagliata descrizione delle operazioni compiute e risult(ava) realizzato in modo assolutamente trasparente e dettagliato, con accessi quotidiani e puntuali dai quali par(eva) difficile discostarsi, in assenza di altrettanto puntuali contestazioni della società contribuente”; con ciò uniformandosi al principio di diritto secondo cui “In tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione redatto dai funzionari dell’Ufficio IVA ha natura di atto pubblico, assistito da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., anche rispetto a quegli atti richiamati esplicitamente nel medesimo processo verbale, che siano stati posti pure in essere da pubblici ufficiali. Ne deriva che, qualora l’interessato voglia contestare la veridicità dell’atto richiamato nel processo verbale, dovrà necessariamente proporre querela di falso” (Sez. 5, Sent. n. 15311 del 10/06/2008; ord. n. 3077 del 2019);

– quanto alla denunciata omessa motivazione su fatti che non sarebbero stati contestati dalla società cessionaria, va ribadito che “Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017);

– ugualmente circa l’assunta violazione/falsa applicazione degli artt. 115,116 c.p.c., – individuando così un “versante” di illegittimità della sentenza impugnata strettamente correlato ai vizi di motivazione – in ordine alla denunciata mancata valutazione da parte del giudice di appello dei c.d. fatti incontestati va questa Corte ha chiarito che “In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016); “In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012” (Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017). Fatta applicazione di tali arresti giurisprudenziali, cui il Collegio intende senz’altro dare seguito, si profila l’inammissibilità delle censure de quibus;

– con il sedicesimo motivo, la ricorrente chiede a questa Corte se la fattispecie del disconoscimento del diritto a detrazione disancorata da elementi obbiettivi di collegamento sia contraria ai principi del diritto di difesa, ponendo questione di costituzionalità del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in combinato con la Dir. 2006/112/CE in relazione all’art. 24 Cost;

– con il diciassettesimo motivo, la ricorrente pone la questione di costituzionalità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, in combinato con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, e la Dir. Iva, in relazione all’art. 24 Cost. laddove in fattispecie di frode fiscale fondate sulla presunzione di colpevolezza del contribuente sulla base di elementi riguardanti la vita imprenditoriale del terzo o di elementi fumosi e soggettivamente interpretabili di collegamento, non permetta a quest’ultimo una difesa anche a mezzo prove testimoniali;

– con il diciottesimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del principio del favor rei, D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 3, nella misura in cui la perdita del diritto a detrazione Iva, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in combinato con la direttiva Iva, quale sanzione per il coinvolgimento psicologico (dolo o colpa) del contribuente alla frode fiscale sia cumulabile con la sanzione tributaria ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997 (artt. 5 e 6) in combinato con il D.Lgs. n. 472 del 1997;

– con il diciannovesimo motivo, la ricorrente pone la questione di costituzionalità della perdita del diritto a detrazione Iva quale sanzione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, in combinato con la Dir. Iva, e quale sanzione D.Lgs. n. 471 del 1997, ex artt. 5 e 6, in combinato con il D.Lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 3 Cost. nella misura in cui rappresenti un cumulo di sanzioni rispetto ad un unico presupposto qual è la illegittima detrazione Iva in relazione a operazioni partecipi di una frode comunitaria;

– il diciottesimo motivo è infondato, in quanto premesso che il principio del favor rei si applica solo alla materia sanzionatoria (v., in tal senso, Cass., sez. 5, n. 13420 del 2016), il mancato riconoscimento del diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA pagata su fatture soggettivamente fittizie (emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio) non assume carattere sanzionatorio ma è la conseguenza della mancata configurabilità del presupposto della detraibilità dell’Iva qual è l’effettività delle prestazioni; infatti “Nella determinazione dell’IVA, la detrazione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, non si relaziona alla formale corresponsione dell’imposta, che il soggetto passivo afferma a sua volta assolta o dovuta per l’acquisto di beni o servizi nell’esercizio dell’impresa, ma richiede che l’IVA sia effettivamente dovuta e cioè corrispondente ad operazioni effettivamente poste in essere e ad essa soggette, in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 17 e 20 sesta Dir. del Consiglio CEE n. 77/388 e del principio affermato dalla Corte di giustizia CEE con sentenza 13 dicembre 1989 (causa C-342/87); a tal fine e secondo la previsione del citato D.P.R., art. 54, pur a fronte della regolarità formale della contabilità, l’amministrazione può contestare la fittizietà delle operazioni e l’inattendibilità delle scritture contabili e delle fatture utilizzate dal contribuente per le operazioni passive, ancorchè sulla base di presunzioni semplici (quali, nella specie, il carattere simulato della vendita di merce e del contratto di locazione del magazzino in cui la stessa era depositata), spettando perciò al contribuente la prova sulla verità e inerenza delle medesime operazioni”.(Cass., sez. 5, Sentenza n. 17959 del 24/07/2013);

– infine le questioni di legittimità costituzionale, poste con i motivi sedici, diciassette e diciannove, sono inammissibili e, in particolare:

1) la questione di cui al motivo diciannove, alla luce del rigetto del motivo diciotto – con il quale è stata esclusa la natura sanzionatoria del disconoscimento del diritto alla detrazione – si profila irrilevante;

2) le questioni di cui ai motivi sedici e diciassette si profilano, altresì, irrilevanti in quanto, da un lato, attengono a motivi già dichiarati inammissibili e, dall’altro, sono poste in forma ipotetica e con finalità meramente esplorative;

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 20.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

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