Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23080 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2020, (ud. 11/09/2019, dep. 22/10/2020), n.23080

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7731-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EFFERRE MOTORI SRL, R.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 66/2015 della COMM. TRIB. REG. di CAMPOBASSO,

depositata il 17/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/09/2019 dal Consigliere Dott. D’AURIA GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dalla emissione dell’atto di accertamento n. (OMISSIS) emesso dalla Agenzia delle Entrate di Campobasso nei confronti della soc. Efferre Motori srl derivante sia dalla segnalazione della Guardia di Finanza, in cui si evidenziava l’utilizzazione di fatture emesse dalla ditta Autoimport di D.P. e dalla Import Car di D.D., da ritenere soggetti inesistenti, sia da una verifica fiscale effettuata. Proponeva ricorso la società Efferre Motori sostenendo che le operazioni commerciali sottese alle fatture erano realmente avvenute ed era stata, regolarmente versata, l’imposta iva sia al momento dell’acquisto che a seguito della rivendita delle autovetture.

La Commissione Tributaria provinciale accoglieva il ricorso relativamente alle operazioni ritenute inesistenti dalla Agenzia, confermando solo il recupero a tassazione dell’Iva per 316,67 per vendita erroneamente registrata a regime (su tale ultimo punto si formava giudicato non essendo stato oggetto di appello nè principale ne incidentale dal contribuente).

L’agenzia proponeva appello, deducendo che in presenza di operazioni inesistenti soggettivamente la detrazione dell’iva non era legittima ove l’operatore commerciale non avesse adottato tutte le misure che si possano richiedere ragionevolmente ad un imprenditore del settore per assicurarsi di non prendere parte ad un disegno criminoso diretto ad eludere la normativa Iva.

La Commissione Regionale di Campobasso confermava la decisione di primo grado in quanto non vi erano prove circa la consapevolezza della società Efferre di partecipare al meccanismo truffaldino posto in essere dai soggetti emittenti le fatture.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate, tramite l’Avvocatura dello stato, deducendo i seguenti motivi:

i) Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (difetto e /o mancanza di motivazione)

2) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17, 18, 19 e 21, dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Non si costituisce la società Efferre.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la parte ricorrente sostanzialmente assume che la motivazione era carente o apparente, con il secondo motivo si assume la violazione di legge. Entrambi i motivi vanno esaminati congiuntamente stante l’intima connessione e la reciproca interdipendenza.Tali motivi sono fondati.

In primo luogo va chiarito che la soluzione adottata dal giudice di secondo grado circa la mancanza di dolo del contribuente desunto dalla sentenza penale ha implicitamente, ma chiaramente considerato che l’elemento psicologico dell’illecito fiscale contestato fosse analogo alla fattispecie penale. In definitiva il giudice di secondo grado omette di esporre concisamente i motivi in fatto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire perchè la mancanza di prova del dolo nel processo penale avesse incidenza dirimente anche nel giudizio tributario in tal modo non consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata. Non appaiono corrette in punto di diritto le valutazioni operate dal giudice di secondo grado che ha ritenuto sufficiente per escludere la responsabilità del contribuente la circostanza che nel giudizio penale l’amministratore della Efferre Motori srl era stato assolto per mancanza di prova circa la partecipazione all’accordo diretto alla evasione dell’iva. Invero nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario non spiega automaticamente efficacia di giudicato, soprattutto quando si fonda sulla mancanza di prova dell’elemento soggettivo ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna ed in genere una diversa disciplina dell’onere probatorio. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, per mancanza del dolo può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario.

A tal fine va sottolineato che in tema di detrazioni dell’iva correlata ad operazioni soggettivamente inesistenti, (Cass. S.U. n. 21105/17- n. 13148/17 – n. 9851/18-n. 8146/19 n. 23214/19),la Corte di giustizia ha precisato che “le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme – come modificata dalla direttiva 2002/38/Ce del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale…, che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente, e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto”. Nel caso è indubbio che l’Amministrazione abbia fornito tale prova, anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, valorizzando nel quadro indiziario elementi quali: la circostanza che la prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante, perchè sfornito della sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione (la sede sociale era all’interno di un appartamento condominiale per il Di Minno, e nessuno dei due fornitori possedeva piazzali o locali di esposizione o officine di manutenzione, essenziale nella rivendita autovetture); il pagamento anticipato da parte dell’acquirente direttamente a volte al fornitore straniero, la consegna della autovettura direttamente al cessionario committente dall’esportatore straniero, il mancato pagamento dell’iva sistematicamente da parte del cedente, il prezzo vile. Tale quadro indiziario sulla base del quale l’Amministrazione contestato l’inesistenza delle operazioni, lascia intendere una complicità del destinatario delle forniture o perlomeno lascia desumere una colpa grave circa la diligenza nello svolgimento della attività professionale di imprenditore in campo automobilistico,in considerazione della sistematico omesso versamento dell’iva da parte dell’apparente importatore, che poi era stata ripartita con il cliente tramite vendite di favore, a prezzo fuori mercato. Proprio i molteplici contatti commerciali intercorsi tra le parti e le anomale modalità della vendita (pagamento anticipato) lascia intendere la piena consapevolezza del cessionario dell’operazione truffaldina o quantomeno il mancato esercizio del diligente controllo della operazione fiscale come richiesto ad ogni operatore commerciale.

Pertanto nel caso può statuirsi il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria contestando che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite nell’ambito di una frode carosello, sebbene abbia l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, comunque la dimostrazione dell’elemento psicologico può dedursi, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente fornitore”.

Poichè nel caso concreto, con riferimento alla detraibilità dell’Iva, l’Amministrazione finanziaria, ha assolto tale onere probatorio sia in ordine alla soggettiva fittizietà dei fornitori,che in ordine alla conoscibilità da parte del contribuente che l’operazione si inseriva in una evasione Iva sulla base delle presunzioni semplici sopra indicati e poichè tali circostanze, complessivamente valutate, sono sicuramente idonee a far ritenere provata, da parte dell’Amministrazione fiscale, la natura di “cartiere” delle società interposte, e non occorrendo alcun accertamento ulteriore ai fini iva,non solo va cassata la decisione impugnata (sentenza della CTR di Campobasso n. 66/2/2015), ma può anche emettersi decisione di merito ex art. 384 c.p.c. respingendosi il ricorso proposto dalla Efferre Motori avverso l’atto di accertamento. Le spese seguono la soccombenza nel presente giudizio stante il diverso esito dei gradi di merito le spese per gli stessi possono essere compensate

PQM

La Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso, cassa la decisione impugnata e decidendo nel merito respinge il ricorso originario del contribuente del 19 1 2007.Condanna La Efferre Motori srl al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida nella misura di Euro 6000 oltre spese prenotate a debito. Compensate le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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