Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23078 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 22/10/2020), n.23078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAGDA Cristiano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Mari – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO di NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12371/2013 R.G. proposto da:

Mealrossetti spa in liquidazione in concordato in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dalli avv. Calì

Rosario, con domicilio eletto in Roma, via Ludovisi n. 35 presso lo

studio dell’avv. Pappalardo Marisa;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

R

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 141/42/2012 del 24 ottobre 2012, depositata il 6

novembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno

2019 dal Consigliere Manzon Enrico.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva parzialmente il ricorso proposto da Metalrossetti s.p.a. contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2005 notificatole dall’Agenzia delle entrate di Milano, confermando la ripresa fiscale di costi indeducibili, per l’importo di Euro 1.823.605,94, basata sulla contestazione dell’inesistenza delle operazioni passive correlate ed invece annullando quella relativa alle perdite su crediti, per l’importo di Euro 588.295, basata sull’assenza di “definitività e certezza” di tali sopravvenienze passive.

L’appello della contribuente avverso la pronuncia è stato respinto dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (che ha erroneamente dichiarato, anche in dispositivo, il parziale accoglimento del gravame in ragione della ritenuta fondatezza di una censura di nullità della prima sentenza ininfluente sulla decisione).

Per quanto in questa sede rileva, la CTR ha osservato che:

– pur dovendosi accogliere il motivo d’appello con il quale Metalrossetti aveva dedotto la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione sulle eccezioni di invalidità dell’avviso di accertamento proposte con il ricorso introduttivo della lite (nullità della notifica dell’atto impositivo, violazione degli artt. violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 4,), le eccezioni, riproposte dall’appellante nel grado, erano infondate;

– in particolare era infondato l’assunto della ricorrente secondo cui l’avviso, in quanto basato su circostanze presuntive, non avrebbe potuto essere emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis;

– nel merito, la prova dell’inesistenza delle operazioni in contestazione e della consapevolezza di tale circostanza da parte dei legali rappresentanti della società contribuente doveva, per l’appunto, ritenersi raggiunta in via presuntiva, in ragione degli esiti delle indagini condotte dalla GdF, trasfuse nei verbali del

9.5.2006, 28.6.2007 e del 16/21.10.2008; per contro, la contribuente non aveva fornito alcuna prova idonea a vincere la presunzione, non potendo ritenersi rilevante in tal senso, stante il diverso regime probatorio del processo penale e di quello tributario, che il GIP avesse disposto l’archiviazione del procedimento penale promosso, per i medesimi fatti, a carico del legale rapp.te della società.

Avverso la decisione Metalrossetti spa propone ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1) Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-5, – la ricorrente lamenta violazione di legge (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 132 c.p.c.) e vizio motivazionale, per aver la CTR rigettato il motivo d’appello con il quale essa aveva eccepito la nullità della sentenza di primo grado, per mancanza di un’effettiva motivazione, (anche) con riguardo al capo che aveva ritenuto fondata la pretesa erariale relativa ai costi indeducibili.

2)11 motivo non merita accoglimento.

E’ principio cardine del nostro ordinamento che, salve le ipotesi di inammissibilità, improcedibilità o improponibilità del gravame, la sentenza d’appello ha effetto sostitutivo di quella di primo grado (nelle parti non coperte da giudicato) non solo in caso di sua riforma, ma anche in caso di sua conferma integrale o parziale (fra molte, Cass. nn. 29021/018, 9202/018, 9161/013).

L’appellante che abbia denunciato un vizio di nullità della sentenza impugnata non comportante la rimessione della causa al primo giudice (quale quello di violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), non ha pertanto interesse a dolersi, col ricorso per cassazione, del rigetto del relativo motivo: infatti, stante l’effetto sostitutivo della sentenza d’appello, ciò che unicamente rileva nel giudizio di legittimità è il se e il come il giudice di secondo grado (che non può limitarsi ad accertare la nullità, ma deve decidere nel merito) abbia esaminato le questioni rispetto alle quali il vizio era stato dedotto ed abbia pronunciato sulle stesse (cfr. Cass. n. 1323/018).

Si deve, in conclusione, ribadire e dare seguito al principio secondo cui “E’ inammissibile, per difetto di interesse, il motivo di ricorso in cassazione avverso la sentenza di appello che abbia omesso di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado, qualora il vizio di questa, laddove esistente, non avrebbe comportato la rimessione della causa al primo giudice, in quanto estraneo alle ipotesi tassative degli artt. 353 e 354 c.p.c., ed il giudice di appello abbia deciso nel merito su tutte le questioni controverse, senza alcun pregiudizio per il ricorrente conseguente alla omessa dichiarazione di nullità” (Cass., n. 18578 del 21/09/2015, Rv. 637095 – 01).

3) Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia/illegittimo assorbimento di motivi di ricorso, poichè la CTR non ha espresso alcuna argomentazione nè comunque assunto alcuna statuizione in ordine alla questione, devolutale come mezzo di gravame, del recupero dei costi (Euro 526.278,26) afferenti ai rapporti con le società 2Q srl, Metal Center srl unipersonale, V.T. Alluminio srl ed ha erroneamente dichiarato assorbiti altri motivi.

3.1) La censura è infondata nella sua prima parte, avendo la CTR esaminato e respinto il motivo d’appello con il quale Metalrossetti aveva lamentato che dall’imponibile non fossero stati detratti i ricavi dichiarati in relazione alle operazioni fittizie, con argomentazioni (tipicità dell’atto di accertamento; esistenza di altri strumenti finalizzati alla riduzione del debito; vantaggio economico conseguito dalla contribuente) che, giuste od errate che siano, non sono investite dalla doglianza della contribuente; per il resto è inammissibile per difetto assoluto di specificità, avendo la ricorrente omesso sia di richiamare i motivi che sarebbero stati ritenuti assorbiti sia di illustrare le ragioni per le quali la CTR (che peraltro non ha emesso un’espressa pronuncia di assorbimento) avrebbe dovuto esaminarli.

4)Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3-5 – la ricorrente denuncia violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 4, nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la CTR affermato la legittimità dell’accertamento parziale, fondato su circostanze presuntive generiche e prive di qualsivoglia riscontro, e non aver tenuto conto degli elementi di segno contrario da essa addotti, fra cui, in particolare, l’avvenuta archiviazione del procedimento penale intentato, per i medesimi fatti, a carico del suo legale rappresentante.

Il motivo è infondato sotto il profilo di diritto, posto che “L’accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto a quello previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39 e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, bensì una modalità procedurale che ne segue le medesime regole, sicchè il relativo oggetto non è circoscritto ad alcune categorie di redditi e la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva …” (Cass. n. 8406 del 04/04/2018, Rv. 647574 – 01) e che “Nel processo tributario, l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio” (Cass. n. 19786 del 27/09/2011).

E’ invece inammissibile laddove volto a contestare in via del tutto generica la valenza presuntiva delle circostanze sulle quali il giudice a quo ha fondato la decisione.

5) Con il quarto e quinto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -5, – la ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione dell’ art. 2697 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), artt. 41 e 42, e vizio motivazionale, poichè la CTR ha ritenuto adeguatamente suffragate sul piano probatorio, e perciò fondate, le riprese per costi indeducibili riferiti a fatture per operazioni inesistenti.

I motivi che (laddove non ripetitivi di doglianze già svolte col precedente mezzo, e dunque assorbiti dal rigetto delle stesse) possono essere esaminati congiuntamente per connessione, non meritano accoglimento.

In primo luogo va rilevata l’inammissibilità delle censure prospettate sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012) con le quali ricorrente chiede sostanzialmente una nuova valutazione dei fatti, onde trarne un accertamento diverso da quello cui è pervenuto il giudice del merito, insindacabile nella presente sede di legittimità, ma non chiarisce su quale punto decisivo della controversia la motivazione sarebbe omessa, insufficiente o contraddittoria.

Va peraltro sottolineato che l’impianto complessivo della motivazione della sentenza impugnata offre una puntuale e compiuta ricostruzione del percorso argomentativo, in fatto ed in diritto, che ha condotto il giudice tributario di appello alle statuizioni assunte sul gravame della società contribuente.

La CTR lombarda infatti ha esposto l’articolato quadro probatorio/indiziario emergente dalle attività istruttorie di polizia tributaria effettuate dalla GdF e compendiate in più PVC dal 2006 al 2008, giungendo ad una valutazione complessiva di coerenza e consistenza dei fatti costitutivi delle pretese creditorie erariali de quibus.

In particolare la CTR ha evidenziato che plurimi, gravi e concordanti elementi indiziari inducevano a ritenere fondata la tesi agenziale di inesistenza economica delle società emittenti delle fatture (c.d. “cartiere”) e quindi di inesistenza sia oggettiva che soggettiva delle operazioni oggetto delle medesime.

Specificamente in tal senso ha valorizzato:

– l’assenza di strutture organizzative (sede, depositi materiali, beni strumentali, personale) delle società Metalberio s.a.s., 2Q s.r.l. e VT Alluminio s.r.l., emittenti delle fatture, nonchè la loro pacifica qualità di “evasori totali”;

– la falsità o l’incompletezza dei documenti relativi al trasporto delle merci;

– la frequente triangolazione delle operazioni commerciali (con le quali una delle predette società, attraverso l’interposizione fittizia di un’altra, finiva con l’acquistare merce già in suo possesso);

– la contestualità fra messa all’incasso degli assegni emessi a pagamento delle fatture e prelievo delle somme in essi accreditate (fatto che lasciava supporre l’immediata restituzione di tali somme, in contanti e previo trattenimento di una provvigione, a M eta I rossetti).

Sempre su tale profilo della decisione, più in generale i giudici regionali hanno osservato che i rapporti illeciti così accertati hanno avuto notevole ripetitività e sono durati anni, senza che risultasse alcuna attività di verifica dell’effettività delle prestazioni da parte di Metalrossetti, che comunque non aveva assolto all’onere di provare la propria estraneità agli illeciti consumati da dette “società cartiere”.

Le censure articolate sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sono invece infondate.

Va al riguardo ribadito che:

-“In tema d’I.V.A., l’Amministrazione finanziaria, che contesti la cd. “frode carosello”, deve provare, anche a mezzo di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, gli elementi di fatto attinenti al cedente (la sua natura di “cartiera”, l’inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’I.V.A.) e la connivenza da parte del cessionario, indicando gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell’irregolarità delle operazioni, mentre spetta al contribuente, che ha portato in detrazione l’1.V.A, la prova contraria di aver concluso realmente l’operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l’impiego della dovuta diligenza, di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni, non essendo a tal fine sufficiente la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti” (Cass. n. 17818 del 09/09/2016, Rv. 640767 – 01);

-“In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Cass., n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01).

Nei suoi snodi argomentativi, come sopra sintetizzati, la sentenza impugnata è pienamente rispettosa dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.000 oltre spese prenotate a debito. Ricorrono i presupposti per l’applicazione D.P.R. 125 del 2002, art. 1, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

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