Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23078 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/10/2017, (ud. 06/09/2017, dep.03/10/2017),  n. 23078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26992/2013 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, (OMISSIS), in

persona del Ministro e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

S.M., P.D., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA M. PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI,

rappresentate e difese dall’avvocato KATIA MONCERI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 520/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA

depositata il 31/5/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 06/09/2017 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto dal Ministero della Istruzione, della Università e della Ricerca contro la sentenza di primo grado che aveva condannato l’appellante al pagamento, in favore delle odierne parti intimate, assunte con reiterati contratti a tempo determinato nel settore scolastico, delle differenze stipendiali conseguenti agli scatti di anzianità maturati nel limite della prescrizione quinquennale;

la Corte territoriale ha così riqualificato il petitum della domanda ritenendo che essa fosse stata proposta non solo a titolo risarcitorio in conseguenza del carattere asseritamente abusivo dei contratti a tempo determinato stipulati bensì anche alla luce del principio di non discriminazione rispetto al personale assunto in ruolo;

contro la sentenza propone il Ministero propone ricorso per cassazione, articolando un unico complesso motivo, cui resistono con controricorso le lavoratrici;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata;

il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. con l’unico motivo il MIUR denuncia la violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 6; D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 9, comma 18, come convertito con modificazioni nella L. 12 luglio 2011, n. 106; L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4; D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 526; dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEE del 18/3/1999, recepito con Direttiva 1999-70-CE;

1.1. assume che: – i rapporti di lavoro a tempo determinato del settore scolastico sono assoggettati ad una normativa speciale di settore, sicchè agli stessi non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001; – il principio di non discriminazione è correlato all’abuso del contratto a termine, che nella specie deve essere escluso in quanto il ricorso alla supplenza e alla stipula di contratti a termine del personale scolastico trova giustificazione in ragioni oggettive e non è maliziosamente finalizzato a consentire al datore di lavoro un risparmio di spesa; – il lavoratore assunto a tempo determinato nel settore scolastico non è comparabile al docente di ruolo, perchè ogni singolo rapporto è distinto ed autonomo rispetto al precedente;

2. il ricorso, che deve comunque ritenersi ammissibile dal momento che le censure sono specifiche ed investono il decisum della corte territoriale, è manifestamente infondato e va pertanto rigettato;

2.1. la censura, nella parte in cui insiste sulla legittimità dei contratti a termine, sulla specialità del sistema di reclutamento scolastico, sulla esistenza di ragioni oggettive legate alla necessità di assicurare la continuità didattica, sovrappone e confonde il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale – CES, CEEP e UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), con il divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo;

2.2. essa si rivela comunque infondata, in quanto la sentenza impugnata, nel riconoscere l’anzianità di servizio ai fini retributivi, si pone in linea con il principio di diritto recentemente affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”;

2.3. a dette conclusioni, ribadite da ultimo da Cass. ord. 12/7/2017, n. 17168, la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del tetinine apposto al contratto;

2.4. il ricorso del MIUR non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

3. in conclusione, il ricorso va respinto, con conseguente assorbimento delle questioni pregiudiziali e preliminari sollevate dalla controricorrente;

4. la novità e la complessità della questione, diversamente risolta dalle Corti territoriali e solo di recente composta da questa Corte di legittimità, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità;

5. infine, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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