Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23077 del 18/08/2021

Cassazione civile sez. II, 18/08/2021, (ud. 09/07/2020, dep. 18/08/2021), n.23077

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35079-2018 proposto da:

Q.B., rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO

TREDICINE, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE n. 4,

presso lo studio dell’avvocato MARIO TUCCILLO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4275/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione ritualmente notificato Unipolsai Spa proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 11099/2012 emesso dal Giudice di Pace di Napoli in favore di Q.B., per il pagamento della somma di Euro 317,89 a titolo di compenso per l’attività finalizzata alla definizione di un sinistro automobilistico.

Si costituiva in giudizio il Q. resistendo all’opposizione.

Con sentenza n. 7643/2015 il Giudice di Pace di Napoli rigettava l’opposizione condannando Unipolsai Spa alle spese del grado.

Interponeva appello la società originariamente ingiunta e si costituiva in seconde cure il Q., resistendo al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 4275/2018, il Tribunale di Napoli accoglieva l’impugnazione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando il Q. alle spese del doppio grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Q.B. affidandosi a otto motivi. Resiste con controricorso Unipolsai Spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 339 c.p.c. perché il Tribunale avrebbe erroneamente omesso di ravvisare l’inammissibilità dell’appello, in considerazione del fatto che la domanda proposta dal Q. aveva un valore inferiore ad Euro 1.100.

La censura è manifestamente infondata, dovendosi ribadire il principio secondo cui “Il frazionamento del credito si pone in contrasto tanto con il principio di correttezza e buona fede, quanto con il principio costituzionale del giusto processo sicché, ove si contesti l’avvenuta parcellizzazione della domanda, la sentenza pronunziata in prime cure del giudice di pace secondo equità, ex art. 113 c.p.c., è appellabile ai sensi dell’art. 339 c.p.c., comma 3, disposizione che per l’appunto include, tra i casi in cui è esperibile detto mezzo di impugnazione, anche la violazione delle norme costituzionali” (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 15398 del 06/06/2019, Rv. 654137; cfr. anche Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 19898 del 27/07/2018, Rv. 650068, secondo cui il frazionamento del credito operato dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale, che con il criterio del giusto processo e costituisce abuso del mezzo processuale.

Nel caso di specie il Tribunale di Napoli ha dichiarato l’improponibilità della domanda proposta dal Q., accogliendo il motivo di gravame proposto dalla Unipolsai proprio in relazione all’abusivo frazionamento del credito. Illuminante, in tal senso, il passaggio motivazionale contenuto a pag. 5 della decisione, laddove il giudice di secondo grado afferma che “Nel caso di specie, benché la compagnia assicuratrice abbia fondato la propria linea di difesa sulla improponibilità della domanda per abusivo frazionamento del credito, negando l’esistenza di un interesse meritevole di tutela alla base di tale modalità di esercizio del diritto di azione, il Q. non ha addotto alcun elemento di fatto idoneo a giustificare la promozione di un separato giudizio per ognuno degli incarichi peritali svolti nell’arco di un decennio la quale, considerata la natura tendenzialmente documentale delle controversie, nemmeno può ritenersi motivata dall’esigenza di procedere a distinte e complesse attività istruttorie”.

E’ quindi evidente che il giudice di appello ha deciso la causa proprio sul punto relativo alla frazionabilità del credito, e quindi alla violazione dei principi generali del giusto processo e di correttezza e buona fede processuale; l’impugnazione, pertanto, era perfettamente ammissibile.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del giudicato esterno derivante dalla sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575 del 2016, passata in giudicato. Il Tribunale di Napoli non avrebbe tenuto conto che in detta pronuncia – che, ai fini della specificità, è allegata in copia al fascicolo del ricorso – sarebbe stato affermato che il Q. non avrebbe operato alcun frazionamento della sua pretesa creditoria.

La censura è manifestamente infondata per diversi e concorrenti profili.

Innanzitutto, va osservato che la sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575 del 2016 è antecedente alla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 4090 del 2017, a tenore della quale “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c. riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4090 del 16/02/2017, Rv. 643111). Successivamente a tale pronuncia, la giurisprudenza di questa Corte si è sempre espressa nel senso che, in difetto di allegazione di uno specifico motivo che possa legittimare il ricorso parcellizzato alla giurisdizione, il frazionamento del credito va ritenuto contrario ai principi del giusto processo, da un lato, e della correttezza e buona fede processuale, dall’altro lato (ex multis, cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 26621 del 22/10/2018; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 26794 del 23/10/2018; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27918 del 31/10/2018, tutte non massimate). In tal modo è stato superato l’iniziale orientamento espresso dalle pronunce di questa Corte, sezione 6 civile, n. 18808, n. 18809 e n. 18810 del 2016, rese – peraltro – in fattispecie in cui il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’odierna controricorrente non aveva consentito, al contrario di quanto avvenuto in tutti i successivi giudizi (incluso il presente), di identificare la riconducibilità delle diverse controversie, separatamente instaurate dall’odierno ricorrente, al medesimo ambito oggettivo, e dunque, in buona sostanza, in assenza di un apprezzabile interesse al frazionamento, l’esistenza di una pratica abusiva, in ordine alla quale in ogni caso i giudici di rinvio di quei giudizi dovranno svolgere le proprie valutazioni.

Peraltro, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente avuto agio di chiarire che le predette tre decisioni della sesta sezione civile si erano limitate a escludere che i crediti azionati in quei tre singoli giudizi fossero assimilabili agli altri oggetto delle distinte azioni promosse dal Q. nei confronti della convenuta per diverse obbligazioni contrattuali, senza nulla statuire in ordine ai caratteri di tali diversi rapporti obbligatori (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020, Rv. 657198, pag.8).

In secondo luogo va evidenziato che lo stesso Q., nell’azionare diversi procedimenti giudiziari per ciascun singolo compenso asseritamente dovutogli, ha inteso prospettare la natura autonoma di ciascuna prestazione. Di conseguenza, poiché i limiti del giudicato vanno individuati con riferimento al rapporto dedotto in giudizio e considerato che nel giudizio definito con la sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575 del 2006 si discuteva di altro decreto ingiuntivo relativo a diverso incarico per diversa perizia e diverso sinistro automobilistico, è solo in riferimento a quell’ambito che il giudicato può spiegare effetto. Va invece esclusa l’ultrattività del giudicato ad altri rapporti, sia pure tra le stesse parti, che siano fondati su titoli diversi: nella specie, su conferimenti di incarico peritale autonomi e distinti. Il ricorrente, infatti, ha sempre contestato la natura unitaria del rapporto, sostenendo – con precisa scelta processuale – l’autonomia di ciascun singolo incarico dagli altri, onde gli è preclusa la possibilità di invocare la sussistenza del giudicato esterno con riferimento a contesti che egli stesso, per primo, ha configurato come assolutamente autonomi l’uno dall’altro.

Infine, va anche considerato che l’eventuale giudicato formatosi su una frazione del complessivo credito non è idoneo a spiegare effetti sul successivo giudizio avente ad oggetto diversa frazione del credito, non potendosi configurare né giudicato interno, trattandosi di diverso processo, né giudicato esterno o implicito, trattandosi non di rapporto presupposto, ma di autonoma porzione del medesimo rapporto obbligatorio vertente tra le stesse parti (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7400 del 08/08/1997, Rv. 506621; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18205 del 03/07/2008, Rv. 605007).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 274 c.p.c. perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile l’impugnazione sulla mancata riunione dei giudizi.

La censura è inammissibile, innanzitutto per carenza di interesse concreto in capo al ricorrente. La riunione dei giudizi era stata infatti richiesta, nei gradi di merito, da Unipolsai, non dal Q., per cui egli, sul punto, non ha alcun interesse a ricorrere (principio affermato da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2047 del 27/01/2017, Rv. 642458, secondo la quale “E’ inammissibile, per difetto d’interesse, il ricorso con il quale si deduca il vizio di omessa pronuncia relativamente ad una domanda proposta dalla controparte, in quanto non è configurabile al riguardo una soccombenza del ricorrente, che non può subire alcun concreto pregiudizio da una siffatta carenza di decisione”; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11012 del 09/05/2013, Rv. 626336).

Va infatti ribadito che “L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice…” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv.605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv.616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv.622515). Infatti “… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv.611498).

Inoltre, va ribadito che i provvedimenti sulla riunione non hanno carattere decisorio e quindi non sono impugnabili (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9906 del 20/07/2001, Rv. 548348), salvo quando si configuri una violazione dell’art. 335 c.p.c., ovverosia nel caso di impugnazioni separate avverso la medesima sentenza: ma non è questo il caso.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1375 c.c. e art. 111 Cost. perché il Tribunale avrebbe errato nel configurare l’unitarietà del rapporto tra perito e compagnia assicurativa.

La censura è inammissibile, in quanto essa verte su una valutazione di fatto che e’, in sé stessa, sottratta al sindacato della Cassazione, quando essa si fondi su una motivazione coerente e non apparente. Come già detto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c.”(Cass. Sez. U, Sentenza n. 4090 del 16/02/2017, Rv. 643111; in termini, cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20714 del 13/08/2018, Rv. 650013).

Nel caso di specie il Tribunale ha rispettato questi principi, svolgendo un accertamento in punto di fatto sulle modalità del rapporto -il cui contenuto non è sindacabile perché la sua censura si risolve in istanza di riesame del merito- e pervenendo alla conclusione che il Q. non avesse “… addotto alcun elemento di fatto idoneo a giustificare la promozione di un separato giudizio per ognuno degli incarichi peritali svolti nell’arco di un decennio…” (cfr. ancora pag.5 della decisione impugnata).

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. 4 dicembre 2017, n. 172, art. 19-quaterdecies perché il suo compenso avrebbe dovuto essere parametrato in base alla quantità e qualità del lavoro svolto, nel rispetto del criterio del cd. “equo compenso”.

La censura è inammissibile per due diversi e concorrenti profili.

Innanzitutto il ricorrente non deduce di aver proposto la questione nei precedenti gradi di merito, né riporta le sue conclusioni in appello, e quindi non consente al Collegio di verificare se il tema della “equità” del compenso, o comunque della sua dignità o sufficienza rispetto all’opera in concreto svolta, fosse stato dedotto anche in seconde cure. A nulla rileverebbe, a contrario, il fatto che la L. n. 172 del 2017 sia intervenuta dopo la proposizione del gravame, poiché era onere del Q. prospettare la questione nella prima difesa disponibile, anche in corso di causa, facendo eventualmente valere l’argomento dello ius superveniens.

Inoltre la censura si risolve ancora una volta in una richiesta di riesame del merito della controversia, posto che il tema del diritto al compenso, sia quanto all’aspetto dell’an che sotto il profilo del quantum, è stato affrontato e deciso dal Tribunale con corretta applicazione dei criteri sul divieto del frazionamento del credito. Nel momento in cui il giudice di merito ha affermato, con statuizione tenuta ferma da questo Collegio, che non sussisteva, nel caso concreto, alcun motivo idoneo a legittimare il frazionamento della pretesa, ha evidentemente ritenuto ingiustificato l’importo specificamente richiesto dal Q. per ciascuna singola prestazione. In tal modo, la questione del quantum del compenso è stata, nella prospettazione del giudice di merito, esaminata unitamente al profilo dell’an debeatur.

Con il sesto motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatto storico perché il Tribunale, nell’affermare che il Q. aveva accettato per facta concludentia un importo inferiore a quello previsto dalle tariffe professionali in vigore, non avrebbe considerato la documentazione prodotta dal ricorrente, dalla quale emergerebbe la prova che lo stesso percepiva importi differenti per ciascun singolo sinistro, e non invece lo stesso importo per ogni incarico.

La doglianza è inammissibile. L’omesso esame deve infatti vertere su un fatto storico, non su una prova; peraltro il Tribunale non afferma affatto che il Q. percepisse lo stesso importo per ciascun sinistro, ma valorizza la circostanza che quegli avesse collaborato con Unipolsai per dieci anni accettando, di fatto, la determinazione del compenso fissata dalla compagnia. Anche in questo caso viene in rilievo un accertamento di fatto, scaturente dalla valutazione delle prove, che non è censurabile in quanto tale in Cassazione.

Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione del giudicato implicito scaturente dalle sentenze n. 18808/2016, n. 18809/2016 e n. 18810/2016 perché la Cassazione dovrebbe decidere uniformemente ai suoi primi pronunciamenti.

Anche questa censura è manifestamente infondata, per i motivi già esposti in occasione dello scrutinio del primo motivo. In particolare, a seguito della Sentenza n. 4090 del 2017 delle Sezioni Unite di questa Corte, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che, in difetto di allegazione di uno specifico motivo che possa legittimare il ricorso parcellizzato alla giurisdizione, il frazionamento del credito va ritenuto contrario ai principi del giusto processo, da un lato, e della correttezza e buona fede processuale, dall’altro lato (ex multis, cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 26621 del 22/10/2018; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 26794 del 23/10/2018; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27918 del 31/10/2018, tutte non massimate). In tal modo è stato superato l’iniziale orientamento espresso dalle pronunce richiamate dal ricorrente, ormai -peraltro – da ritenere definitivamente superato alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 4315 del 2020.

Infine, con l’ottavo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione dei principi nomofilattici posti dalle pronunce della Cassazione n. 23726/2007 e n. 4090/2017, perché il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l’abusivo frazionamento del credito, sia pure in presenza di distinti incarichi, ravvisando la natura unitaria del rapporto.

Anche questa censura è inammissibile, poiché essa si risolve in una istanza di riesame del merito. La questione circa la sussistenza, o meno, di un rapporto di natura unitaria è stata risolta dal giudice di secondo grado all’esito di un accertamento del fatto e delle prove, che (in quanto tale) non è censurabile in questa sede. Ne’ risultano violati i principi affermati dalla sentenza n. 4090/2017 delle Sezioni Unite di questa Corte, poiché il Tribunale – che peraltro ha espressamente richiamato detta decisione nella motivazione della sentenza impugnata – ha ritenuto che nella fattispecie il Q. non avesse dimostrato alcun valido motivo idoneo a legittimare la separata proposizione delle domande.

Il Q. deduce, al contrario, che nella specie vi sarebbero due motivi idonei a giustificare detto frazionamento, e precisamente: 1) il fatto che la cessazione del rapporto con Unipolsai gli aveva causato una rilevante perdita degli introiti; 2) la sua esigenza di ottenere quanto prima il pagamento delle somme che, secondo lui, gli erano dovute.

A parte il rilievo che anche in questo caso si discute di aspetti inerenti il merito della controversia, nessuno dei due argomenti presenta la necessaria decisività a favore della tesi del Q.: il primo di essi, infatti, avvalora l’argomento della natura unitaria del rapporto, e quindi conferma la tesi fatta propria dal giudice di merito; il secondo, invece, avrebbe dovuto suggerire al ricorrente di attivare un unico giudizio, e non una molteplicità di procedimenti, posto che solo in tal caso sarebbe stato possibile assicurare la esigenza di ottenere sollecitamente il pagamento del compenso rivendicato dal Q..

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Considerata la manifesta infondatezza e la palese inammissibilità di tutti i motivi di ricorso, il Collegio ravvisa nella condotta processuale del ricorrente – che anche dopo le pronunce delle Sezioni Unite ha continuato a coltivare la propria domanda, senza rinunciare ai ricorsi già proposti – gli estremi della colpa grave e dell’abuso dello strumento processuale, secondo la nozione enucleata da questa Corte (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 22405 del 13/09/2018, Rv. 650452; cfr. anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29462 del 15/11/2018, Rv. 651481; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17814 del 03/07/2019, Rv. 654845 e Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 29812 del 18/11/2019, Rv. 656160) e pertanto ritiene sussistenti i presupposti per la comminatoria della sanzione prevista dall’art. 96 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis al presente giudizio. Il ricorrente va quindi condannato al pagamento, in favore della controricorrente, di una somma equitativamente determinata in Euro 1.000.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 900 di cui Euro 200 per compensi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge. Condanna altresì il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente dell’ulteriore importo di Euro 1.000, a tenore dell’art. 96 c.p.c., u.c.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione seconda civile, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2021

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