Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23074 del 11/11/2016

Cassazione civile sez. I, 11/11/2016, (ud. 29/09/2016, dep. 11/11/2016), n.23074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25155-2011 proposto da:

ELETTROCOSTRUZIONI SAVILUX S.R.L., (c.f. (OMISSIS)), già

ELETTROMECCANICA SAVILUX S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA FREZZA 59, presso l’avvocato EMILIO PAOLO SANDULLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA ALESSANDRA

SANDULLI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE PER LA PROVINCIA DI POTENZA, – ASP;

– intimata –

Nonchè da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE PER LA PROVINCIA DI POTENZA – ASP (C.F./P.I.

(OMISSIS)), successore della già ASL N. (OMISSIS) LAGONEGRO, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 145, presso l’avvocato

GIUSEPPE TEPEDINO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI LO

SASSO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ELETTROCOSTRUZIONI SAVILUX S.R.L. (c.f. (OMISSIS)), già

ELETTROMECCANICA SAVILUX S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA FREZZA 59, presso l’avvocato EMILIO PAOLO SANDULLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA ALESSANDRA

SANDULLI, giusta procura a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 242/2010 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 11/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato SANDULLI EMILIO PAOLO che si

riporta al ricorso;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

LO SASSO che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 16 settembre 1996, l’USL n. (OMISSIS) di Lagonegro conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale della stessa città, la Elettromeccanica Savilux s.r.l., chiedendo dichiararsi l’inefficacia del contratto in data (OMISSIS), di manutenzione periodica degli impianti elettrici dell'(OMISSIS), per effetto di disdetta comunicata il (OMISSIS), ed in via subordinata dichiararsi l’avvenuto recesso dell’amministrazione dal medesimo contratto ex art. 1671 c.c.. Chiedeva, altresì, pronunciarsi la risoluzione per inadempimento, ex art. 1453 c.c., del diverso contratto di appalto per la realizzazione e ristrutturazione degli impianti elettrici del medesimo Ospedale, stipulato inter partes il (OMISSIS). La convenuta, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda e la declaratoria di efficacia del contrato di manutenzione per difetto di valida disdetta. Con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, l’attrice formulava, peraltro, anche l’ulteriore domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di manutenzione del (OMISSIS).

1.1. Con separato atto di citazione notificato l’8 febbraio 1997, la Elettrocostruzioni Savilux s.r.l. (già Elettromeccanica Savilux s.r.l.) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lagonegro, l’USL n. (OMISSIS) della stessa città, chiedendone la condanna al pagamento dei canoni di manutenzione, in relazione al contratto del (OMISSIS), per gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, e delle somme residue dovute in relazione all’atto aggiuntivo del 15 novembre 1994 ed al successivo contratto del (OMISSIS). La convenuta si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, il risarcimenti dei danni subiti.

1.2. Il Tribunale – riuniti i due giudizi – accoglieva parzialmente le domande di entrambe le parti con sentenza n. 150/2006.

2. Avverso tale decisione proponeva appello principale la ASL n. (OMISSIS) di Lagonegro (succeduta all’USL n. (OMISSIS)) e appello incidentale la Elettrocostruzioni Savilux s.r.l. Con sentenza n. 242/2010, depositata l’11 ottobre 2010, il giudice del gravame, accogliendo parzialmente il solo appello dell’ASL, disattendeva l’eccezione pregiudiziale di improcedibilità del gravame proposta dall’impresa appaltatrice, dichiarava la nullità dell’atto aggiuntivo del 15 novembre 1994 e del contratto in data (OMISSIS), per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c., e riteneva nuova – e quindi inammissibile – la domanda di risoluzione del contratto di manutenzione del (OMISSIS), proposta in primo grado dall’amministrazione solo nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5.

3. Per la cassazione di tale decisione ha proposto, quindi, ricorso la Elettrocostruzioni Savilux s.r.l. nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale per la Provincia di Potenza (succeduta ex lege all’ASL n. (OMISSIS) di Lagonegro), sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

4. La resistente ha replicato con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, la Elettrocostruzioni Savilux s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 348 e 358 c.p.c., artt. 3, 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. La ricorrente lamenta che la Corte di Appello abbia ritenuto di disattendere la sua eccezione di improcedibilità dell’appello dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 348 c.p.c., comma 1, per essere stato notificato dall’ASL n. (OMISSIS) di Lagonegro un secondo atto di gravame avverso la sentenza di prime cure in data 16 ottobre 2006 (lunedì), dopo che il 15 settembre 2006 era stato notificato dalla medesima un primo atto di appello, non seguito dalla costituzione dell’appellante. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che la spontanea notifica – nei trenta giorni dalla notificazione del primo atto di appello ex art. 325 c.p.c. – di un nuovo atto di impugnazione varrebbe ad escludere la declaratoria di improcedibilità del gravame per difetto di tempestiva costituzione in giudizio, ai sensi dell’art. 348 c.p.c., comma 1, se il primo appello non sia stato dichiarato improcedibile prima della notifica del secondo, ai sensi dell’art. 358 c.p.c.. Siffatta interpretazione del combinato disposto delle due norme succitate finirebbe, invero, per vanificare del tutto, a parere della ricorrente, la previsione del citato comma 1 dell’art. 348 che, nella formulazione – applicabile alla fattispecie concreta – introdotta dalla L. n. 353 del 1990, art. 54 sarebbe diretta ad imprimere una rigorosa accelerazione dei tempi del processo, sancendo, come “effetto automatico, inderogabile e rilevabile ex officio”, l’improcedibilità del gravame. Ne deriverebbe, ad avviso della deducente, la violazione dei principi costituzionali della ragionevole durata del processo, del diritto di difesa, della certezza del diritto e della inviolabilità del giudicato, con conseguente necessità per questa Corte, ove si intendesse seguire l’opzione interpretativa prescelta dal giudice di seconde cure, di sollevare la questione di legittimità costituzionale del disposto dell’art. 358 c.p.c..

1.2. La doglianza è infondata.

1.2.1. Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte – al quale si intende dare seguito in questa sede – la regola dettata dall’art. 348 c.p.c., comma 1, nel testo sostituito dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 54 secondo cui la mancata costituzione dell’appellante nel termine di cui all’art. 165 medesimo codice (richiamato dal precedente art. 347), determina automaticamente l’improcedibilità dell’appello, non esclude che sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 358 c.p.c. – la parte costituitasi tardivamente possa proporre una seconda impugnazione, purchè tempestiva, sempre che non sia già intervenuta una declaratoria di improcedibilità od inammissibilità. Il principio di consumazione dell’impugnazione, secondo un’interpretazione conforme ai principi costituzioni del giusto processo (art. 111 Cost.), che sono diretti a rimuovere, anche nel campo dei gravami, gli ostacoli alla compiuta realizzazione del diritto di difesa, rifuggendo formalismi rigoristici, impone, invero, di ritenere che, fino a quando non intervenga una declaratoria di improcedibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva e si sia svolto regolare contraddittorio tra le parti (cfr. Cass. 23220/2005; 15721/2011; 23585/2013; 2165/2016). Al riguardo si è, dipoi, precisato che la tempestività del secondo gravame deve valutarsi, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve ex art. 325 c.p.c. decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante (cfr. Cass. 9569/2000; 9265/2010; 20898/2010; e, da ultimo, Cass. S.U. 12084/2016; Cass. 2478/2016).

1.2.2. Tale consolidata interpretazione del combinato disposto degli artt. 348 e 358 c.p.c. è stata, da ultimo, ribadita dalle Sezioni Unite, le quali hanno affermato in materia il seguente principio di diritto: “Nel rito ordinario, la notifica della citazione in appello, non seguita da iscrizione della causa a ruolo o seguita da un’iscrizione tardiva e, dunque, determinativa dell’improcedibilità dell’appello da essa introdotto, non consuma il potere di impugnazione, perchè l’art. 358 c.p.c. intende riferirsi, nel sancire la consumazione del diritto di impugnazione, all’esistenza – al tempo della proposizione della seconda impugnazione – della già avvenuta declaratoria della improcedibilità del primo appello. Ne segue che, quando tale declaratoria non sia ancora intervenuta, è consentita la proposizione di un nuovo appello (di contenuto identico o diverso) in sostituzione del precedente viziato, purchè il termine per l’esercizio del diritto di appellare non sia decorso. Per la verifica della tempestività del secondo appello occorre aver riguardo non al termine cd. lungo di cui all’art. 327 c.p.c. ma a quello breve di cui all’art. 325 c.p.c., il quale, solo in difetto di notificazione della sentenza appellata anteriormente a quella del primo appello in modo idoneo a farlo decorrere (art. 285 c.p.c.), decorre dalla data di perfezionamento per il destinatario della notificazione della prima impugnazione, che equivale alla conoscenza legale della decisione impugnata idonea a determinare il decorso del termine breve” (cfr. Cass. S.U. 16598/2016).

1.2.3. Orbene, è del tutto evidente che – ben al contrario di quanto sostenuto dall’ostante – alla stregua dell’ormai consolidato indirizzo di questa Corte, sarebbe proprio un’interpretazione del combinato disposto del’art. 348 c.p.c., comma 1, e art. 358 c.p.c. diversa da quella operata dalla Corte di Appello a tradursi in una chiara violazione dei principi costituzionali del giusto processo, della certezza del diritto e del diritto di difesa, la cui considerazione ha imposto una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 358 c.p.c., da parte di questa Corte, nel senso opposto a quello propugnato dalla ricorrente. Del tutto incongruo si palesa, poi, il riferimento al principio di inviolabilità del giudicato, atteso che la premessa del ragionamento seguito dalla Corte territoriale è proprio la mancanza di una pronuncia di improcedibilità dell’appello, all’atto della notifica del secondo atto di impugnazione.

1.2.4. Tutto ciò premesso, va rilevato che, dall’impugnata sentenza e dallo stesso ricorso della Elettrocostruzioni Savilux s.r.l. (pp. 52 e 53), si evince che l’ASL n. (OMISSIS) di Lagonegro ha notificato alla controparte un secondo atto di gravame avverso la sentenza di prime cure in data 16 ottobre 2006 (lunedì), del quale ha curato l’iscrizione a ruolo, dopo che il 15 settembre 2006 era stato notificato un primo atto di appello, non seguito dalla rituale costituzione dell’appellante. Se ne deve inferire che la notifica del secondo gravame è avvenuta nei trenta giorni dalla notifica del primo, equivalente a conoscenza legale della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 325 c.p.c., dovendo tenersi conto della proroga della scadenza del termine (nella specie al 15 ottobre 2006, domenica) al primo giorno seguente non festivo, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 4, e del fatto che tale seconda impugnazione è stata notificata prima che fosse intervenuta una declaratoria di improcedibilità del gravame ex art. 358 c.p.c.. Deve, di conseguenza, escludersi che l’appello possa essere considerato improcedibile, come correttamente ha ritenuto la Corte territoriale.

1.2.5. E tuttavia, va rilevato che, solo nella memoria ex art. 378 c.p.c., la ricorrente ha ulteriormente dedotto che, prima della notifica della seconda impugnazione – avvenuta, come detto, il 16 ottobre 2006 – sarebbe stata notificata, in data 31 luglio 2006, al difensore della Elettrocostruzioni Savilux s.r.l., la sentenza di primo grado, con la conseguenza che il termine breve per l’appello sarebbe iniziato a decorrere il 31 luglio 2006, e – per effetto della sospensione feriale dall’1 agosto al 15 settembre 2006, L. n. 742 del 1969, ex art. 1 (nel testo applicabile ratione temporis) – avrebbe ripreso a decorrere il 16 settembre 2006, venendo, quindi, definitivamente a scadere il 14 ottobre 2006, ossia di sabato, giorno non ancora equiparato ai giorni festivi, stante la non applicabilità retroattiva della L. n. 69 del 2009, art. 58 – che ha introdotto tale equiparazione – entrato in vigore quando il termine in questione era ormai spirato. Se ne dovrebbe dedurre – a parere dell’istante – la tardività della notifica del secondo atto di appello e, di conseguenza, l’improcedibilità del gravame.

1.2.4.1. Tanto premesso, va osservato che, nel giudizio civile di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. possono essere sollevate questioni nuove rilevabili d’ufficio – come potrebbe essere considerata quella relativa ad un diverso profilo di improcedibilità dell’appello, rispetto a quello denunciato con il ricorso – a condizione, però, che il rilievo “ex officio” sia già possibile sulla base degli atti interni del processo, quali la sentenza impugnata o le specifiche autosufficienti deduzioni contenute nel ricorso o controricorso (Cass. 8662/2005; 14710/2006). Nel caso di specie, la precedente – rispetto alla quella del primo appello, ai fini del decorso del termine breve ex art. 325 c.p.c.- notificazione della sentenza di primo grado non risulta in alcuno modo nè dall’impugnata sentenza, nè – tanto meno – dal ricorso, e neppure la relata di notifica di detta decisione è stata riprodotta o allegata alla memoria ex art. 378 c.p.c. della ricorrente. Talchè la deduzione in parola si palesa inammissibile.

1.2.4.2. Ad ogni buon conto, va osservato che l’eccezione in esame è da reputarsi, altresì, del tutto infondata. La lettera dell’art. 326 c.p.c. secondo cui i termini per le impugnazioni indicati nel precedente art. 325 “decorrono dalla notificazione della sentenza”, deve essere, invero, interpretata in correlazione con la disciplina generale dell’art. 155 c.p.c., comma 1, da cui si desume che il decorso del termine ha inizio il giorno successivo a quello della notifica della sentenza. D’altronde, la funzione del principio “dies a quo non computatur”, attiene all’esigenza di dare rilievo (quando il termine è a giorni), a giorni interi, trascurando le frazioni di giorno relative al momento in cui si sia verificato l’atto che costituisce il punto di riferimento del termine, nonchè l’effetto giuridico di quell’atto. Sarebbe, pertanto, contrario alla ratio dell’art. 155 c.p.c., comma 1, lasciare fuori dal computo un giorno intero (il 16 settembre) in cui l’atto di riferimento non si è verificato, giorno che si aggiungerebbe illogicamente a quelli interi del termine, allungandolo senza alcuna logica giustificazione. Nello stesso tempo, però, il giorno che non deve essere computato nel termine, secondo il principio dell’art. 155 c.p.c., comma 1, è il giorno (con riferimento specifico alle impugnazioni) in cui si è verificato un atto avente un determinato effetto giuridico, ossia la notifica della sentenza dalla quale decorre, ma solo a partire dal giorno successivo, il termine per l’impugnazione (cfr., ex plurimis, Cass. S.U. 3668/1995; Cass. 7757/2007; 13973/2011; 19874/2012).

Alla stregua di tali rilievi, dunque, anche a voler considerare che la notifica della sentenza di primo grado sia avvenuta il 31 luglio 2006, come dedotto dalla ricorrente, tale giorno, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 1, non deve essere computato nel computo dei trenta giorni ex art. 325 c.p.c., con la conseguenza che il termine, iniziando a decorrere dal 16 settembre 2006, è scaduto il 15 ottobre 2006 (domenica), per cui l’appello notificato il 16 ottobre 2006 è da ritenersi tempestivo, stante la proroga ex art. 155 c.p.c., comma 4.

1.3. Il motivo in esame va, pertanto, rigettato.

2. Con il secondo motivo di ricorso, la Elettrocostruzioni Savilux s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1362 c.c., della L. n. 2248 del 1865, allegato F, artt. 330 e 343, art. 2691 c.c., art. 117 c.p.c., art. 111 Cost., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

2.1. L’istante censura la decisione di appello nella parte in cui ha ritenuto fondato il motivo di gravame proposto dall’ASL n. (OMISSIS) di Lagonegro, con il quale l’ente, con riferimento ai compensi richiesti dall’impresa in relazione all’atto aggiuntivo del 15 novembre 1994 ed al successivo contratto del (OMISSIS), aveva eccepito la nullità di detti atti “per mancanza dell’oggetto contrattuale”, ai sensi dell’art. 1346 c.c.. La doglianza è articolata sotto il duplice profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1362 e ss. e delle norme in materia di pubblici appalti (L. n. 2248 del 1865, all. F, artt. 330 e 343), nonchè dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia.

2.2. La censura è infondata sotto entrambi gli aspetti.

2.2.1. Per quanto concerne la violazione di legge, va osservato, invero, che il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (cfr., ex plurimis, Cass. 16038/2013; 25419/2014; 287/2016).

2.2.1.1. Qualora, peraltro, venga allegata l’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze della causa di merito, tale deduzione è da ritenersi esterna all’esatta interpretazione delle norme di legge e sconfina nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è ammissibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione ma non sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge (Cass. 13066/2007; 15604/2007).

2.2.1.2. Per quanto concerne, poi, la dedotta violazione di criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., va osservato che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Peraltro, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 13242/2010; 17168/2012). Ne consegue che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto, nonchè il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (Cass. 15798/2005; 25728/2013).

2.2.1.3. Tutto ciò premesso in via di principio, va rilevato che, nel caso concreto, la ricorrente non ha in alcun modo dedotto l’erronea applicazione alla fattispecie esaminata delle norme succitate da parte della Corte di Appello, evidenziando i passaggi interessati da tale eventuale errore, alla stregua dell’interpretazione delle stesse fornite dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, ma – anche con riferimento alla pretesa violazione dei canoni ermeneutici succitati ha incentrato la doglianza sostanzialmente sull’omessa o erronea valutazione delle risultanze probatorie in atti da parte della Corte di merito. La deducente, invero, dopo avere compiutamente elencato e riprodotto nel ricorso i diversi documenti sui quali fonda la censura (Delib. n. 51 del 1990, allegato atto di sottomissione, successivo atto di sottomissione del 18 aprile 1986, atto aggiuntivo del 15 novembre 1994, contratto del (OMISSIS)) ha, dipoi, fondato la contestazione dell’impugnata sentenza essenzialmente sull'”omesso esame compiuto dei documenti essenziali e decisivi” (p. 87) e, segnatamente, del contenuto della seconda perizia di variante e dell’allegato atto di sottomissione, costituenti le premesse dei patti aggiuntivi del (OMISSIS) e del (OMISSIS). Ed anche sotto il profilo della violazione dei parametri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c., la ricorrente ha finito per sostituire alli interpretazione degli atti in questione, operata dal giudice di seconde cure, la propria interpretazione sulla base degli atti di causa. Ma tutto ciò è certamente estraneo al vizio di violazione o falsa applicazione di legge, essendo piuttosto riconducibile all’ambito del vizio motivazionale.

2.2.2. Ed, in effetti, la deducente incentra la censura in esame in special modo sull’insufficiente motivazione della sentenza di appello, ritenuta “di oggettiva gravità, incidenza e dirimenza”, per avere la Corte territoriale – a suo avviso – omesso l’esame del contenuto della seconda perizia di variante e dell’atto di sottomissione, allegato alla Delib. Comitato di Gestione 7 febbraio 1990, n. 51 costituenti le premesse dei successivi patti aggiuntivi del (OMISSIS) e del (OMISSIS), e suscettibili di integrarne le pattuizioni. E tuttavia, anche sotto il profilo in esame, la doglianza, a giudizio della Corte, si palesa destituita di fondamento.

2.2.2.1. Ed invero, correttamente la Corte di Appello (p. 10) ha limitato l’esame ai patti integrativi del (OMISSIS) e del (OMISSIS), solo in relazione ai quali l’appaltatrice aveva sostenuto di non avere ricevuto il corrispettivo pattuito, reputandoli carenti di oggetto, in quanto limitatisi ad effettuare la sola indicazione del compenso in relazione a, non meglio definite, “quote parte” di lavori non identificati, in violazione del principio sulla forma scritta ad substantiam dei contratti della p.a., sancito dal R.D. n. 2440 del 1973, art. 17. E tale valutazione di merito in ordine all’interpretazione dei contratti in parola – per le ragioni di diritto suesposte – non è sindacabile in questa sede.

2.2.2.2. Per contro, l’atto di sottomissione allegato alla Delib. Comitato di Gestione 7 febbraio 1990, n. 51 e la seconda perizia di variante relativa all’intero complesso dei lavori di completamento, di ampliamento e di ristrutturazione dell'(OMISSIS), si limitano ad un generico riferimento a maggiori lavori di tale specie “da affidarsi con un unico o più contratti aggiuntivi”. Tra questi rientrano – per l’appunto – il suindicato patto aggiuntivo del (OMISSIS), recante la generica indicazione di una “quarta quota parte”, non meglio identificata, ammontante a Lire 480.000.000, senza alcuna indicazione delle opere e delle categorie dei lavori che l’impresa avrebbe dovuto svolgere, e del (OMISSIS), recante la generica indicazione della “quinta quota parte” dei lavori in questione, senza alcuna altra indicazione idonea ad identificare l’oggetto del contratto. In altri termini la seconda perizia di variante ed il relativo atto di sottomissione nulla aggiungono ai suddetti contratti del (OMISSIS), in termini di determinazione dell’oggetto del contratto, limitandosi ad un generico rinvio a successivi accordi da concludere tra le parti, sicchè la loro considerazione non avrebbe potuto indurre la Corte di merito ad una decisione diversa da quella adottata. Anche sotto il profilo del vizio di motivazione, dunque, l’impugnata sentenza non merita censura.

2.3. Il mezzo in esame va, pertanto, disatteso.

3. Resta assorbito il terzo motivo, avente ad oggetto la riproposizione delle domande, concernenti le opere accessorie e complementari a quelle oggetto del motivo che precede, rimaste assorbite in appello per effetto del rigetto della domanda della Elettrocostruzioni Savilux s.r.l. concernente il pagamento dei corrispettivo per le suddette opere principali.

4. Con il quarto motivo di ricorso, la Elettrocostruzioni Savilux s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2697 c.c., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

4.1. L’istante si duole del fatto che la Corte di Appello abbia rigettato nel merito la domanda ex art. 2041 c.c., dopo averla dichiarata inammissibile, poichè proposta solo in appello in via subordinata, e censura tale pronuncia di rigetto, ritenendo sussistenti agli atti idonei elementi di prova in ordine alla fondatezza di tale domanda.

4.2. Senonchè, va osservato, al riguardo, che le affermazioni contenute nella motivazione della sentenza di appello impugnata con ricorso per cassazione, relative al merito della domanda azionata che abbia ritenuto inammissibile una domanda, o un capo di essa, o un singolo motivo di gravame, così spogliandosi della “potestas iudicandi, devono ritenersi, qualora effettuate nella riconosciuta carenza di potere giurisdizionale, estranee all’unica “ratio decidendi” della sentenza, e, perciò, svolte “ad abundantiam”, con argomentazioni meramente ipotetiche e virtuali, che la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare in sede di legittimità. Ne consegue che gli eventuali motivi proposti in proposito devono essere dichiarati inammissibili (cfr. Cass. 9973/1998; 15234/2007; S.U. 8087/2007; 3229/2012; S.U.24469/2013). Nel caso concreto, la Corte di merito, dopo avere dichiarato l’inammissibilità del motivo di appello in questione, lo ha poi, esaminato anche nel merito per mera completezza espositiva (“anche a voler poi ritenere ammissibile la subordinata domanda ex art. 2041 c.c.”, p. 14), disattendendolo; sicchè la statuizione, resa solo ad abundantiam, non poteva costituire oggetto di ricorso per cassazione per difetto di interesse.

4.3. La censura è, pertanto, inammissibile.

5. Passando all’esame dell’unico motivo di ricorso incidentale, va rilevato che, con la censura in esame, l’Azienda Sanitaria Locale per la Provincia di Potenza denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5, (nel testo applicabile ratione temporis), artt. 1418 e 1421 c.c. nonchè l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

5.1. L’ASL ricorrente lamenta che la Corte di Appello abbia ritenuta tardiva la domanda di risoluzione, per inadempimento della Elettrocostruzioni Savilux, del contratto di manutenzione periodica degli impianti elettrici, stipulato in data (OMISSIS), in quanto proposta in primo grado solo nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5. Si tratterebbe, per contro, di “problematica assorbita al rapporto contrattuale ed al contraddittorio intervenuto sullo stesso”, e comunque conseguente alle difese spiegate in giudizio dall’impresa in relazione a detto contratto (p. 58). In ogni caso, la Corte territoriale, ad avviso della deducente, avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità del contratto, per violazione della Direttiva CEE n. 50/1992, applicabile alla fattispecie concreta.

5.2. La censura è infondata.

5.2.1. Ed invero, l’art. 183 c.p.c. consente che l’attore possa introdurre una nuova domanda, oltre che a seguito di eccezione o domanda riconvenzionale del convenuto, anche in dipendenza di una mera difesa “in iure” o “in facto” che alleghi l’infondatezza della domanda originaria. E’ tuttavia, è necessario che la nuova domanda assuma carattere consequenziale e, dunque, che la mera difesa svolga rispetto ad essa funzione di elemento costitutivo (cfr. Cass. 17708/2013). Nel caso di specie, dall’impugnata sentenza si evince che, nel giudizio proposto ad istanza dell’USL, a fronte della domanda dell’amministrazione, la convenuta Elettromeccanica Savilux si era limitata a chiedere il rigetto della domanda e la dichiarazione di attuale efficacia del contratto di manutenzione per difetto di valida disdetta. La convenuta non aveva chiesto, pertanto, l’adempimento di detto contratto, sì da legittimare la proposizione di una consequenziale domanda di risoluzione del contratto da parte dell’USL attrice. E neppure la proposizione della domanda di risoluzione del contratto del (OMISSIS), in aggiunta di quello del (OMISSIS), proposta dall’USL nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, potrebbe essere ritenuta legittima in base al recente arresto nomofilattico delle S.U., secondo cui la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla “vicenda sostanziale” dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (Cass. S.U. 12310/2015). Deve, per vero, escludersi che due contratti aventi oggetto diverso, stipulati a distanza di dodici anni l’uno dall’altro (nel (OMISSIS)), e che nell’esecuzione hanno avuto esiti diversi, possano ritenersi facenti parte di una “vicenda sostanziale” unitaria, sicchè alla domanda di risoluzione dell’uno possa liberamente aggiungersi, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., la domanda di risoluzione dell’altro.

Ed è certamente significativo, in tal senso, il fatto che la citata sentenza delle S.U. concerne mutamenti della domanda operati con riferimento ad un unico contratto.

5.2.2. Quanto al profilo di nullità del contratto del (OMISSIS) – dedotto dalla ricorrente solo in questo grado del giudizio, nel ricorso incidentale – è ben vero che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione offi-ciosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (Cass. S.U. 26242/2014). E tuttavia, la rilevabilità d’ufficio della nullità di un contratto prevista dall’art. 1421 c.c. non comporta che il giudice sia obbligato ad un accertamento d’ufficio in tal senso, dovendo invece detta nullità risultare “ex actis”, ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, essendo i poteri officiosi del giudice limitati al rilievo della nullità e non intesi perciò ad esonerare la parte dall’onere probatorio gravante su di essa (Cass. 10530/1998; 1552/2004; S.U. 26242/2014).

Nel caso di specie, per contro, la ricorrente in via incidentale non ha nè trascritto, nè allegato al ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il contratto del (OMISSIS) – del quale assume la nullità, poichè si tratterebbe di un appalto di servizi del quale sarebbe vietato il tacito rinnovo, ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 6 -, in modo da consentire alla Corte di accertare, sulla base del solo controricorso, il contenuto dei relativi patti contrattuali, l’oggetto del contratto e la disciplina pattizia inerente la durata del rapporto ed il relativo rinnovo. Sotto tale profilo, pertanto, la censura in esame si palesa inammissibile per violazione dei principio di autosufficienza.

5.3. Il motivo va, pertanto, disatteso.

6. Per tutte le ragioni suesposte, il ricorso principale e quello incidentale vanno, di conseguenza, entrambi rigettati.

7. Concorrono giusti motivi, tenuto conto della reciproca soccombenza, per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2016

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