Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23072 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2011, (ud. 18/10/2011, dep. 07/11/2011), n.23072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE MAZZINI 114/A, presso lo studio dell’avvocato ZANNINI

GIUSEPPINA, rappresentata e difesa dall’avvocato CIMINO LUIGI, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1924/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

27.4.2010, depositata il 25/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. UMBERTO

APICE.

Fatto

FATTO e DIRITTO

Rilevato che il Consigliere relatore dott. G.A. Bursese con ordinanza del 12 luglio 2011 ha depositato la relazione ex art. 380 bis che qui si trascrive:

OSSERVA:

1. G.M. con citazione in data 29.5.2002 conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di S. Maria C.V., sez. distaccata di Piedimonte Matese, L.G. deducendo di essere proprietario di un fondo sito in (OMISSIS) e distinto in catasto a f. 10, particelle nn. 335 e 337, che confinava con la part. n. 64 appartenente agli eredi di G.B., su cui egli aveva il diritto di passaggio, diritto che proseguiva anche nella successiva particella n. 336 di proprietà della convenuta L.G., in modo da poter raggiungere la pubblica via, sottolineando peraltro che, in mancanza di tale passaggio, il suo terreno sarebbe intercluso. Aggiungeva che la convenuta aveva recintato il proprio fondo ed anche la zona su cui egli esercitava il passaggio, impedendogli in tal modo di raggiungere il proprio terreno, per cui chiedeva dichiararsi il proprio diritto di passaggio sulle menzionate particelle n. 336 e 64 con la condanna della L. al suo ripristino oltre la al risarcimento dei danni.

“Radicatosi il contraddittorio, la L. chiedeva il rigetto della domanda avversaria in quanto infondata e l’adito tribunale accoglieva la domanda attrice, ritenendo che nella fattispecie era configurabile una servitù di passaggio costituita per destinazione del padre di famiglia, per cui condannava la convenuta alla rimozione della rete in questione, compensando le spese processuali. Tale sentenza era appellata dalla L., secondo cui non si trattava di servitù di cui all’art. 1062 c.c. atteso che i fondi in origine non appartenevano ad un unico proprietario, ma a distinti soggetti, nè esistevano opere visibili destinate all’esercizio del passaggio;

inoltre la sentenza era nulla in quanto il giudice di prime cure aveva riconosciuto tale diritto di passaggio su una particella diversa da quella a cui aveva fatto riferimento la domanda attrice (la p. 64 di proprietà degli eredi G.B. anzichè la p. 336 di proprietà di essa L.).

L’adita Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 1924/2010 depositata in data 25.5.2010, previa correzione della sentenza impugnata per quanto concerneva il numero della particella (n. 336 al posto di n. 64) gravata da servitù, rigettava l’appello confermando l’impugnata sentenza così come corretta, e compensava le spese del grado.

Avverso la suddetta pronuncia L.G. propone ricorso per cassazione sulla base di 3 mezzi; l’intimato non ha svolto difese.

2. Con il primo motivo del ricorso la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 1062 c.c. in quanto la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti i requisiti richiesti per la configurazione della servitù per destinazione del padre di famiglia.

Si sostiene che non era esatto che i fondi in origine appartenevano ad un unico proprietario in quanto “basta leggere gli atti di trasferimento per rendersi conto che così non è”. Deduce poi che contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, non esistevano opere visibili destinate all’esercizio della pretesa servitù, in quando le dichiarazione dei testi escussi si riferivano ad un ponticello esistente tra la strada provinciale e la p. 336 del L., ma non anche opere che potessero mettere in relazione la p. 336 e la 64 del f. 10. Con il 2 motivo viene eccepito la nullità della sentenza per non aver dato risposta alle specifiche doglianze mosse con l’atto d’appello (violazione art. 112 c.p.c.). Ribadisce in specie che lo “scambio”, ad opera del 1 giudice, del numero della particella su cui l’attore pretendeva l’esistenza della servitù de qua, in realtà configurava un vero e proprio errore di diritto e non un mero errore materiale, come erroneamente ritenuto dal giudice d’appello che aveva proceduto, sulla base di tale non corretto presupposto, alla sua correzione. Non si trattava invero di un’indicazione errata della particella, in quanto l’attore in tutti gli atti processuali aveva indicato che ” la particella della L. fosse la n. 336 …e non la 64 …perchè appartenenti agli eredi G.B.”. Era dunque evidente la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte de giudice che così procedendo era incorso ne vizio di extrapetizione.

Con il 3 motivo rileva ancora il vizio di violazione di legge (art. 112 c.p.c.) in relazione al fatto che il giudice di merito non avrebbe esaminato con puntualità e motivato giuridicamente e completamente su tutte le censure ed argomentazioni svolte nell’atto d’appello”,.

3 – Osserva il relatore che le suddette censure – esaminate congiuntamente stante la loro connessione – non sono fondate. Intanto le stesse non sono conformi al principio di autosufficienza del ricorso, perchè non indicano in modo completo nè trascrivono nei tratti salienti : “gli atti di trasferimento” da cui risulterebbe che i fondi non appartenevano allo stesso proprietario; le dichiarazione dei testi e la relazione del CTU che si assumono male interpretate dalla Corte di merito, e neppure, infine tutte le censure ed argomentazioni svolte nell’atto d’appello che si ritengono non esaminate da giudice. Secondo questa Corte regolatrice, “il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorie o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato da giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire a giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integratile”. (Cass. Sez. 6 – ordinanza n. 17915 de 30/07/2010; Cass. sentenza n. 5886 del 14/04/2003 ; Cass. n. 15808 del 12/06/2008). “Può peraltro osservarsi, in particolare, quanto al 2 motivo, che l’erronea indicazione del numero della particella costituisce al di là di ogni possibile dubbio, un errore materiale in cui è incorso il primo giudice (un evidentissimo lapsus calami come lo definisce la Corte napoletana), giustamente corretto dalla medesima, che non è certamente incorsa, così operando, in alcun vizio di ultrapetizione o extrapetizione come pretende l’esponente, non essendo necessaria una formale istanza dell’interessato.

Secondo questa Corte di legittimità, infatti, nell’ipotesi in cui la sentenza contro la quale è stato proposto gravame contenga un errore materiale, l’istanza di correzione dello stesso, non essendo rivolta ad una vera e propria riforma della decisione, non deve necessariamente formare oggetto di uno specifico motivo di impugnazione, neppure in via incidentale, ma può essere proposta in qualsiasi forma e può anche essere implicita nel complesso delle deduzioni difensive svolte in appello. (Cass. n. 7706 del 16/05/2003).

Si osserva ancora che le suddette censure si risolvono esclusivamente nella valutazione dei mezzi istruttori espletati, come tale riservata al giudice di merito e non denunciabile in sede di legittimità, stante la congrua motivazione della sentenza, immune da vizi logici e giuridici. Secondo la giurisprudenza di questa S.C. l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni dei proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. (Cass. n. 12362 dei 24/05/2006; Cass. n. 5328 del 8.3.2007)”.

3) Si ritiene pertanto di avviare la causa a decisione in camera di consiglio per valutare l’infondatezza del ricorso.

Il COLLEGIO, tanto premesso, osserva:

La relazione sopra riportata può essere condivisa, atteso che nessuna apprezzabile argomentazione in senso contrario è portata dalla memoria prodotta ex art. 378 c.p.c. In modo particolare è di tutta evidenza, quanto al 2 motivo del ricorso, che trattasi di mero errore materiale e non di error in iudicando come insiste a ritenere immotivatamente la ricorrente; si ribadisce ancora la carenza di autosufficienza evidenziata nella relazione di cui sopra, ed infine che le altre doglianze dell’esponente si sostanziano in inammissibili questioni di merito.

Il ricorso dev’essere dunque rigettato; nulla per le spese.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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