Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2307 del 06/02/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2307 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:

del

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona

Ministro

pro

tempore,

rappresentato

e

difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi 12, è domiciliato per legge;
– ricorrente –

contro
GRECO Alfio (GRC LFA 39D25 G75120 e MARINI Marcello
MCL 33T03 C070V),

(CRN

rappresentati e difesi, per procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avvocato Piera
Giardina, elettivamente domiciliati in Roma, via Serpieri
n. 8, presso lo studio dell’Avvocato Gaetano Buscami;
controricorrenti –

Vele

)0

Data pubblicazione: 06/02/2015

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di
L’Aquila n. 874/2013, depositato in data 15 maggio 2013
(R.G. 380/2012 V.G.).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di

Dott. Stefano Petitti;
sentito,

per i controricorrenti, l’Avvocato Piera

Giardina.
Ritenuto che la Corte d’appello di L’Aquila, con
decreto depositato il 15 maggio 2013, ha accolto la
domanda di equa riparazione proposta da Greco Alfio e
Marini ~ceno nei confronti del Ministero dell’economia
e delle finanze, con ricorso depositato nel 2012, in
relazione ad un giudizio amministrativo iniziato dinnanzi
al TAR Marche con ricorso del 18 aprile 1996, definito con
dichiarazione di perenzione con decreto del 17 gennaio
2012;
che la Corte d’appello ha ritenuto che la domanda
fosse proponibile in quanto risultava depositata istanza
di prelievo in data 18 aprile 2000; quindi, rigettata
l’eccezione di prescrizione formulata dalla difesa
erariale e detratto il periodo di tre anni di durata
ragionevole, ha riconosciuto una durata irragionevole di
tredici anni, in relazione alla quale ha liquidato, in
favore di ciascuno dei ricorrenti, un indennizzo di euro

-2-

consiglio del 17 dicembre 2014 dal Presidente relatore

12.750,00, applicando il criterio di 750,00 euro per i
primi tre anni di ritardo e di 1.000,00 euro per ciascuno
degli anni successivi;
che per la cassazione di questo decreto il Ministero

a due motivi;
che gli intimati hanno resistito con controricorso;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la
trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata
redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ., che è stata comunicata alle parti.
Considerato che il relatore designato ha formulato la
seguente proposta di decisione:
«[_.] Con il primo motivo di ricorso il Ministero denuncia
violazione dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112
del 2008, convertito, con modificazioni, nella legge n.
133 del 2008, e dal codice del processo amministrativo,
dolendosi che la Corte d’appello non abbia dichiarato
Improponibile la domanda per il periodo del giudizio
presupposto compreso tra il 25 giugno 2008 e la
dichiarazione di perenzione.
Il motivo è infondato.
Quanto al quadro normativo di riferimento, deve precisarsi
quanto segue: a) l’art. 54, comma 2, del decreto legge 25
giugno 2008, n. 112 – in vigore dal 25 giugno 2008 (art.

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dell’economia e delle finanze ha proposto ricorso affidato

85) -, convertito in legge, con modificazioni, dall’art.
1, comma l, della legge 6 agosto 2008, n. 133 – in vigore
dal 22 agosto 2008 -, nella sua versione originaria,
disponeva: «La domanda di equa riparazione non è

amministrativo in cui si assume essersi verificata la
violazione dell’art. 2, comma l, non è stata presentata
un’istanza ai sensi del secondo comma dell’articolo 51 del
regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, nei sei mesi
antecedenti alla scadenza dei termini di durata di cui
all’art. 4, comma 1-ter, lettera b)»; b) in sede di
conversione in legge, sono state apportate all’art. 54 le
seguenti modifiche: «al comma 2, dopo le parole “articolo
2, comma 1” sono inserite le seguenti: “della legge 24
marzo 2001, n. 89” e le parole “nei sei mesi antecedenti
alla scadenza dei termini di durata di cui all’art. 4,
comma

1-ter,

lettera

h)

Il

sono

soppresse»;

c)

conseguentemente, il testo definitivo dell’art. 54, comma
2, del d.l. n. 112 del 2008, quale convertito in

legge

dalla legge n. 133 del 2008, risulta il seguente: «La
domanda di equa riparazione non è proponibile se nel
giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si
assume essersi verificata la violazione dell’art. 2, coma
1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è stata
presentata un’istanza ai sensi del secondo comma

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proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice

dell’articolo 51 del regio decreto 17 agosto 1907, n.
642»; d) successivamente, l’art. 3, comma 23,
dell’Allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 – in
vigore dal 16 settembre 2010 -, ha stabilito che, all’art.

“un’istanza ai sensi del secondo comma dell’articolo 51
del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642” sono sostituite
dalle seguenti: “l’istanza di prelievo di cui all’articolo
81, comma 1, del codice del processo amministrativo, né
con riguardo al periodo anteriore alla sua
presentazione”»; e) ancora successivamente, l’art. 1,
comma 3, lettera a), numero 6), del d.lgs. 15 novembre
2011, n. 195 (Disposizioni correttive ed integrative al
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice
del processo amministrativo, a norma dell’articolo 44,
comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69) – in vigore
dall’a dicembre 2011 -, ha disposto che: «al comma 23, le
parole “81, comma l” sono sostituite dalle seguenti “71,
comma 2″»; f) conclusivamente, la disposizione dell’art.
54, comma 2, del d. l. n. 112 del 2008 – in vigore dal 16
settembre 2010 – risulta del seguente testuale tenore: “La
domanda di equa riparazione non è proponibile se nel
giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si
assume essersi verificata la violazione dell’art. 2, comma
1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è stata

-5-

54, coma 2, dal d.l. n. 112 del 2008, «le parole

presentata l’istanza di prelievo di cui all’articolo 71,
coma 2, dal codice del processo amministrativo, né con
riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione”».
Questo essendo il quadro normativo di riferimento, è del
principio tempus regit

actum: 1) ai procedimenti per equa riparazione,

promossi a

far data dal 25 giugno 2008, si applica l’art. 54, comma
2, del del. n. 112 del 2008 nel seguente testo: «La
domanda di equa riparazione non è proponibile se nel
giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si
assume essersi verificata la

violazione dell’art. 2,

comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è stata
presentata un’istanza ai sensi del secondo comma
dell’articolo 51 del regio decreto 17 agosto 1907, n.
642»; 2) ai procedimenti per equa riparazione, promossi a
far data dal 16 settembre 2010, si applica – invece l’art. 54, comma 2, dello stesso d.l. n. 112 del 2008 nel
seguente testo: «La domanda di equa riparazione non è
proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice
amministrativo in cui si assume essersi verificata la
violazione dell’art. 2, comma l, della legge 24 marzo
2001, n. 89, non è stata presentata l’istanza di prelievo
di cui all’articolo 71, comma 2, del codice del processo
amministrativo, né con riguardo al periodo anteriore alla
sua presentazione».

-6-

tutto evidente che in base al

,

Alla fattispecie in esame – concernente una domanda di
equa riparazione presentata prima del 16 settembre 2010 è applicabile l’art. 54, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008
nel testo dianzi riprodotto sub 1), vale a dire nel testo

133 del 2008.
In relazione a tale ipotesi, la Corte di cassazione ha
avuto modo di affermare che “in tema di equa riparazione
per l’irragionevole durata di un processo amministrativo
(nella specie iniziato nel 1996), la mancata proposizione
dell’istanza di prelievo rende improponibile la domanda di
equa riparazione (nella specie proposta nel 2009) nella
parte concernente la durata del giudizio presupposto
successiva alla data (del 25 giugno 2008) di entrata in
vigore dell’art. 54 del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv.
in legge 6 agosto 2008 n. 133, che, avendo configurato la
suddetta istanza di prelievo come “presupposto
processuale” della domanda di equa riparazione, deve
sussistere al momento del deposito della stessa, ai fini
della sollecita definizione del processo amministrativo in
tempi più brevi rispetto al tempo già trascorso, fermo
restando che l’omessa presentazione dell’istanza di
prelievo non determina la vanificazione del diritto
all’equa riparazione per l’irragionevole durata del

-7-

risultante dalle modificazioni apportate dalla legge n.

processo con riferimento al periodo precedente al 25
giugno 2009″ (Cass. n. 5914 del 2012).
La medesima Corte ha però chiarito che l’avvenuta
presentazione della istanza di prelievo prima della

l’obbligo di rinnovare la presentazione della istanza,
potendo rilevare la condotta omissiva unicamente sul piano
della liquidazione dell’indennizzo.
Il decreto impugnato ha quindi correttamente fatto
applicazione dell’art. 54, camma 2, nel caso di specie.
Con il secondo motivo il Ministero deduce violazione
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, in combinato
disposto con l’art. 2056 cod. civ., dolendosi del fatto
che la Corte d’appello non abbia apprezzato in senso
riduttivo il ritardo nel deposito della istanza di
prelievo.
Il motivo è fondato.
Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato il
principio per cui,

se

è vero che il giudice nazionale

deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che
la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore ad euro

-8-

entrata in vigore dell’art. 54, comma 2, non comportava

750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in

peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 dal 2010; Cass.
17922 del 2010).
Sulla base dei criteri elaborati dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo (decisioni Volta et autres c. Italia,
del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia, del 6
aprile 2010), si è anche ritenuto(Cass., 18 giugno 2010,
n. 14753; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13
aprile 2012, n. 5914) che, relativamente a giudizi
amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, sia
possibile liquidare un indennizzo pari a 500,00 euro per
anno di ritardo; criterio, questo, che anche prima della
entrata in vigore del

decreto legge

n. 83 del 2012,

convertito in legge n. 134 del 2012, non applicabile
ratione temporis nel caso di specie, deve ritenersi in sé

non irragionevole e idoneo ad assicurare un adeguato
indennizzo per la violazione alla ragionevole durata del
processo.

-9-

misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle

In particolare, sulla base di tale orientamento, e tenuto
conto delle caratteristiche dal giudizio amministrativo,
si è dà recente affermato che, per tale tipologia di
giudizi, il criterio di 500,00 euro per anno costituisca

durata del processo e che da esso il giudice del merito
possa discostarsi con adeguata motivazione, evidenziando
le specificità del caso, con riguardo sia alla natura e
alla rilevanza dell’oggetto del giudizio, sia al
comportamento processuale dalle parti (Caos. n. 20611 del
2014). In

ogni

caso, si ritiene che la ritardata

attivazione degli strumenti sollecitatori previsti dal
processo amministrativo rilevi ai fini della
determinazione dell’indennizzo, in quanto sintomatica di
un non rilevante interesse della parte ad una sollecita
decisione della controversia (tra le tante, Cass. n. 5914
del 2012).
Nella specie, la censura coglie nel segno perché la Corte
d’appello non ha in alcun modo considerato il dato,
certamente rilevante, del lasso di tempo intercorso tra la
presentazione della istanza di prelievo e il momento di
proposizione della domanda di equa riparazione, certamente
sintomatico della insussistenza di un non particolare
interesse alla definizione del giudizio.

l’adeguato indennizzo per la violazione della ragionevole

Si propone, quindi, la trattazione del ricorso in camera
di consiglio, perché ivi venga rigettato il primo motivo e
accolto il secondo».
Letta la memoria depositata dai resistenti.
il Collegio condivide la proposta di

decisione, dovendosi correggere la indicazione contenuta
nella relazione circa la disciplina applicabile nel caso
di specie, atteso che la domanda di equa riparazione è
stata depositata nel giugno 2012, e quindi dopo il 16
settembre 2010, con riferimento ad un giudizio
amministrativo dichiarato perento nel gennaio 2012;
che, tuttavia, la accertata presentazione della
istanza di prelievo nel giudizio presupposto prima della
proposizione della domanda di equa riparazione, esclude
che, nel caso di specie, si ponga in discussione la
proponibilità della domanda, sicché il primo motivo di
ricorso è certamente infondato;
che, quanto alle deduzioni svolte dai controricorrenti
in relazione alla proposta di definizione nel senso
dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso, il
Collegio ritiene che, pur se i controricorrenti hanno
dimostrato, attraverso la riproduzione del “dettaglio del
ricorso”, la presentazione di diverse istanze
sollecitatorie nel giudizio presupposto, debba essere
condiviso il principio, di recente affermato da Cass. n.

Ritenuto che

20617 dal 2014 e già richiamato nella relazione, secondo
cui, per i giudizi amministrativi, il criterio di 500,00
euro per anno costituisca l’adeguato indennizzo per la
violazione della ragionevole durata del processo e che da

motivazione, evidenziando le specificità del caso, con
riguardo sia alla natura e alla rilevanza dell’oggetto dal
giudizio, sia al comportamento processuale delle parti;
che, dunque, rilevato che il giudizio presupposto si è
concluso con decreto di perenzione, non essendo il decreto
impugnato sorretto da specifica motivazione sul punto, ed
essendo, anzi, la motivazione relativa all’indennizzo
formulata con riferimento agli ordinari criteri affermati
dalla giurisprudenza di questa Corte, il secondo motivo di
ricorso, con il quale si deduce la eccessività della
liquidazione dell’indennizzo, è fondato;
che, quanto alla eccezione di inammissibilità del
ricorso, formulata dai controricorrenti ai sensi dell’art.
360-bis, n. 1, cod. proc. civ., la stessa è infondata,
alla luce della specificazione relativa ai criteri di
liquidazione dell’indennizzo per la irragionevole durata
dei giudizi amministrativi, di cui si è detto;
che, dunque, rigettato il primo motivo di ricorso e
accolto il secondo, il decreto impugnato deve essere
cassato;

– 12 –

esso il giudice del merito possa discostarsi con adeguata

che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.;
che, infatti, non essendo contestata la durata

Corte d’appello in tredici anni, ed applicato il criterio
di liquidazione di 500,00 euro per anno, a ciascuno degli
originari ricorrenti va riconosciuto un indennizzo di
6.250,00 euro;
che, dunque, il Ministero dell’economia e delle
finanze deve essere condannato al pagamento, in favore di
ciascuno dei ricorrenti della detta somma, oltre agli
interessi legali dalla data della domanda al soddisfo;
che, quanto alle spese, quelle del giudizio di primo
grado vanno liquidate in euro 700,00 per compensi, oltre
ad euro 50,00 per esborsi e agli accessori di legge,
mentre quelle del giudizio di cessazione possono essere
compensate in considerazione dell’esito del giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso,
il secondo;

cassa

causa nel merito,

accoglie

il decreto impugnato e, decidendo la
condanna

il Ministero dell’economia e

delle finanze al pagamento, in favore di ciascuno dei
ricorrenti, della somma di euro 6.250,00, oltre agli
interessi legali dalla domanda al soddisfo;

– 13 –

condanna,

irragionevole del giudizio presupposto, accertata dalla

inoltre, il Ministero della giustizia al pagamento delle
spese del giudizio di primo grado, che liquida in euro
700,00 per compensi, oltre ad euro 50,00 per esborsi e
agli accessori di legge;

compensa le spese del giudizio di

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

cassazione.

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