Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23067 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/10/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 22/10/2020), n.23067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12140-2018 proposto da:

M.G., D.F.E., domiciliati in ROMA presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentati e difesi

dall’avvocato ANTONINO BUTTA’ giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

ISA IMPIANTI SPORTIVI E ALBERGHIERI SRL, domiciliata in ROMA presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentata e difesa

dall’avvocato MASSIMO GIUFFRIDA gusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2227/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dai ricorrenti.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il 2 febbraio 2006 ISA s.r.l., proprietaria di una porzione quasi integrale del piano terra dello stabile condominiale di (OMISSIS), a causa della cattiva manutenzione del soprastante lastrico solare, adiva il Tribunale di Catania per sentir condannare il condominio e i condomini a eseguire le opere necessarie per eliminare le cause dei danni.

Il Tribunale di Catania, con sentenza n. 5308/2009 depositata il 20/11/2009, nell’accogliere la domanda dell’attore, dichiarava che “il lastrico solare soprastante i locali attorei (…) costituisce parte comune dell’edificio”. Avverso tale decisione proponevano appello principale il condominio, contestando la natura condominiale del lastrico solare, ed appello incidentale la ISA s.r.l.

La Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 850/2015 del 19/05/2015, rigettava l’appello principale del condominio, ritenendo generica la contestazione relativa alla natura condominiale del lastrico solare e accoglieva parzialmente l’appello incidentale di ISA s.r.l., condannando i condomini M.G. e D.F.E. all’eliminazione delle chiusure impeditive dell’accesso al lastrico di proprietà comune.

I coniugi M.G. e D.F.E. proprietari, per atto di compravendita del 21/12/1999 da C.M.G., dell’appartamento situato al secondo piano, con soprastante terrazza avente funzione di lastrico solare, del condominio di (OMISSIS)- con citazione del 23/03/2017 adivano il Tribunale di Catania affinchè fosse revocata ex art. 395 c.p.c., n. 3, la sentenza n. 5308/2009 del Tribunale di Catania, in virtù di un contrasto tra la suddetta sentenza e quella n. 617/1985 del medesimo Tribunale, per aver la prima dichiarato la natura condominiale della proprietà del lastrico solare, la seconda la sua proprietà esclusiva. Con la sentenza n. 617/1985, infatti, il Tribunale di Catania aveva dichiarato la natura vincolante per il condominio di (OMISSIS) delle tabelle millesimali con le quali erano ripartite le spese condominiali, dalle quali emergeva che il lastrico solare era di esclusiva proprietà della sig.ra C.M.G., dante causa dei coniugi M.- D.F..

I detti coniugi adivano altresì la Corte d’Appello di Catania, con citazione anche essa del 23/03/2017, affinchè fosse revocata, ex art. 395 c.p.c., nn. 3 e 5, la menzionata sentenza n. 850/2015, previa sospensione del giudizio in attesa dell’esito della revocazione proposta contro la sentenza di primo grado.

La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 2227/2017 del 28/11/2017, dichiarava inammissibile il ricorso per revocazione della sentenza n. 850/2015 e condannava i ricorrenti alle spese.

Dopo aver preliminarmente espunto sia le note conclusionali depositate in via telematica dai ricorrenti, in quanto non autorizzate dal Collegio, sia la loro produzione in udienza, poichè tardiva, la Corte d’Appello di Catania, pronunciandosi ex art. 281 sexies c.p.c., rilevava la tardività della revocazione della sentenza in base all’art. 395 c.p.c., n. 5, in quanto mezzo di revocazione ordinaria, da esperirsi prima del passaggio in giudicato della sentenza, già avvenuto nel caso di specie.

Con riferimento alla revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3, ammissibile in quanto mezzo di revocazione straordinario, la Corte d’Appello ha, però, opinato per la sua infondatezza.

Ha, in primo luogo, escluso la possibilità di qualificare una sentenza come documento decisivo, posto che i documenti sono fonti di prova dei fatti, mentre la sentenza è un provvedimento di natura giurisdizionale che valuta quali fonti di convincimento prove sia orali sia documentali. Opinando diversamente, la sentenza passata in giudicato potrebbe essere utilizzata quale motivo di revocazione ordinaria o straordinaria a seconda della convenienza della parte.

In secondo luogo, ha negato qualsiasi valenza probatoria alle tabelle millesimali, se considerate quali documenti decisivi, dal momento che riassumerebbero la mera opinione di un consulente tecnico nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto, non la proprietà esclusiva o condominiale del lastrico solare, ma la nullità e inefficacia della delibera di approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi con l’accertamento dei conguagli dovuti ai condomini che avevano anticipato le spese sulla base delle tabelle millesimali contestate, da determinarsi secondo le tabelle millesimali del nominando c.t.u..

I coniugi M.- D.F. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 2227/2017 della Corte d’Appello di Catania, sulla base di quattro motivi.

ISA s.r.l. ha resistito con controricorso; non ha svolto difese nel presente giudizio il Condominio di (OMISSIS). Preliminarmente deve essere disattesa l’affermazione della controricorrente secondo cui non sarebbero state prodotte le attestazioni di conformità della sentenza e delle relazioni di notificazione tramite pec, atteso che la stessa è smentita dal riscontro dell’attestazione riferita alla sentenza rinvenibile nell’ultima pagina, risultando altresì in calce al ricorso l’attestazione di conformità relativa sia al ricorso che ai messaggi di invio dell’atto a mezzo pec.

Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 99,112 e 115 c.p.c., a causa dell’omesso esame degli atti, che avrebbe fatto incorrere la Corte d’Appello di Catania nel vizio di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sostenendo che la Corte distrettuale si sarebbe in effetti pronunciata sulla domanda di revocazione della sentenza di primo grado da loro proposta dinanzi al Tribunale.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata, lungi dal pronunciarsi sulla distinta revocazione proposta dai ricorrenti anche nei confronti della sentenza del Tribunale, ha in realtà statuito proprio sulla domanda di revocazione avanzata anche nei confronti della sentenza d’appello e ciò argomentando dal fatto che ove la revocazione fosse stata ricondotta alla previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 5, la stessa era evidentemente tardiva, mentre, avuto riguardo alla diversa previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 3, l’impugnazione era del pari infondata non essendo la sentenza un “documento” e non essendo concludenti le tabelle approvate con la sentenza del 1985.

Sulla base del secondo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 101,112,132 e 281 sexies c.p.c., dal momento che la Corte d’Appello avrebbe precluso loro la precisazione delle conclusioni, non riportate in sentenza, con conseguente violazione del diritto di difesa.

Il motivo è infondato.

L’omessa, inesatta o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe della sentenza importa nullità della sentenza soltanto quando le suddette conclusioni non siano state esaminate. In altre parole, deve mancare la decisione in concreto sulle domande ed eccezioni proposte dalle parti. Laddove, invece, dalla motivazione risulti che le conclusioni sono state effettivamente esaminate, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza (cfr. Cass., sez. 3, sentenza n. 6329 del 12/07/1996; Cass., sez. L, sentenza n. 5024 del 08/04/2002; Cass., sez. 2, sentenza n. 4015 del 27/02/2004; Cass., sez. 3, sentenza n. 4079 del 25/02/2005; Cass. n. 11150/2018).

Nè appare possibile rilevare che alle parti sia stata preclusa la possibilità di precisare le conclusioni, in quanto pur essendo stata decisa la controversia ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., all’esito dell’udienza di discussione del 28/11/2017, deve presumersi, in assenza di contrarie indicazioni risultanti dal verbale di causa che, in sede di discussione orale, alla difesa dei ricorrenti non sia stata preclusa la possibilità di reiterare le conclusioni. Inoltre, come si rileva anche dalla trascrizione delle note depositate telematicamente in data 27/11/2017, e delle quali la Corte d’Appello ha ritenuto l’irritualità, non emerge la formulazione di richieste sulle quali la Corte stessa non si sia pronunciata in sentenza (e ciò ferma restando l’inammissibilità della censura concernente la mancata formale statuizione in punto di adozione di un provvedimento di sospensione).

Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 295,329,342,346 e 398 c.p.c., dal momento che la Corte d’Appello avrebbe errato nell’applicazione del principio di sostituzione della sentenza di secondo grado a quella di primo grado, disapplicando la regola della sospensione necessaria, con la conseguente violazione delle regole sulla competenza funzionale di cui all’art. 398 c.p.c..

I ricorrenti affermano che non si sarebbe verificata la sostituzione del giudicato della sentenza di appello a quello della sentenza di primo grado, in quanto il Giudice di appello, con la sentenza n. 850/2015, non ha esercitato poteri decisori della lite, ma si è limitato a definire in rito il giudizio dichiarando l’appello inammissibile. Conseguentemente, la competenza funzionale a decidere spetterebbe al Tribunale e non alla Corte d’Appello.

In tal senso effettivamente rileva quanto precisato anche dalla Corte nella decisione gravata, e cioè che già con la sentenza n. 850/2015, oggetto della presente revocazione, si era dato atto che l’affermazione in merito alla proprietà comune del lastrico solare era frutto di un giudicato interno, stante la genericità della censura che gli appellanti avevano mosso avverso la statuizione resa sul punto da parte del Tribunale.

Ne deriva che essendo interesse dei ricorrenti pervenire alla riforma della decisione di merito proprio per la parte concernente l’accertamento della titolarità del lastrico, ed essendo la condanna all’eliminazione dei manufatti una diretta conseguenza dell’accertamento del relativo regime proprietario, non si comprende quale sia l’interesse sottostante all’accoglimento di questo motivo, ed ancor prima alla stessa proposizione della revocazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che sul punto, lungi dal pronunciarsi sulla proprietà, si è limitata a prendere atto di un preesistente giudicato formatosi nel corso dello stesso giudizio.

In tal senso rileva che, in relazione alla dedotta violazione dei principi della sostituzione della pronuncia di secondo grado a quella di primo grado, la censura risulta chiaramente inammissibile per carenza di interesse. Infatti, l’accoglimento di tale motivo porterebbe soltanto ad una correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, in quanto, ferma restando la formula decisoria relativa di inammissibilità per la domanda di revocazione della sentenza di secondo grado, alla duplice ratio espressa dalla corte etnea (tardività per il 395, n. 5 e infondatezza per il 295, n. 3), andrebbe sostituita la diversa ratio della inammissibilità dell’impugnazione per revocazione per carenza di interesse.

Quanto invece alla dedotta violazione dalla previsione di cui all’art. 295 c.p.c., deve innanzi tutto ricordarsi che la mancata pronuncia sulla sospensione non potrebbe configurare la violazione dell’art. 112 c.p.c., norma che va riferita appunto alla “domanda”, e dunque all’istanza con la quale la parte chiede l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in ordine al diritto sostanziale dedotto in giudizio, sicchè non è configurabile un vizio di infrapetizione per l’omessa adozione da parte del giudice di un provvedimento di carattere ordinatorio, qual è la sospensione necessaria del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (cfr. Cass., sez. 3, Sentenza n. 5246 del 10/03/2006; conf. Cass. n. 4120/2016).

Per di più, dalla lettura dello stesso ricorso emerge che la Corte d’Appello ha effettivamente emesso un’ordinanza il 3/10/2017 con la quale, “ritenuti insussistenti i presupposti per la sospensione del giudizio in assenza di fumus di fondatezza del ricorso per revocazione”, veniva fissata l’udienza per la discussione orale (cfr. p. 8 ricorso).

Inoltre la doglianza è comunque inammissibile non essendo stata dimostrata l’attuale pendenza della domanda di revocazione della sentenza del Tribunale (cfr. ex multis Cass. n. 26716/2019).

Con l’ultimo motivo di ricorso, i coniugi M.- D.F. denunciano la violazione dell’art. 1123 c.c. e degli artt. 395,112,113 e 115 c.p.c..

I ricorrenti affermano che la sentenza n. 617/1985 del Tribunale di Catania potrebbe essere qualificata come documento ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3, dal momento che non avrebbe autorità di cosa giudicata nei confronti dei ricorrenti, essendo questi terzi estranei al giudizio definito con quella sentenza. Si tratterebbe, pertanto, di un documento rilevante, poichè incidente sul diritto trasferito loro, e rinvenuto successivamente al passaggio in giudicato della sentenza.

Inoltre, non sarebbe corretta la decisione della Corte nella parte in cui non ha considerato che, in virtù dell’art. 1123 c.c., le decisioni che dispongono il vigore delle tabelle millesimali, ai fini della ripartizione delle spese tra condomini, presuppongono che non siano in contestazione le quote di proprietà. Questo giudicato implicito sulle quote di proprietà sarebbe ciò che si pone in contrasto con la sentenza di cui è chiesta la revocazione.

Il motivo è infondato.

L’art. 2909 c.c., infatti, estende l’efficacia di giudicato anche agli eredi e aventi causa delle parti del giudizio. Conseguentemente, i ricorrenti, aventi causa di C.M.G., a sua volta parte del giudizio svoltosi dinnanzi al Tribunale e conclusosi con la sentenza del 1985, non possono invocare la sentenza in questione come documento decisivo ai sensi dell’art. 395 c.p.c..

Nella fattispecie, come correttamente rilevato anche dalla sentenza gravata, la revocazione deve reputarsi proposta unicamente in relazione al contrasto tra la decisione oggi gravata ed il giudicato, non potendosi quindi accedere alla diversa prospettazione circa la possibilità di invocare anche l’art. 395 c.p.c., n. 3.

Ne deriva che trattandosi di fattispecie di cd. revocazione ordinaria, resta insuperato il rilievo circa l’inammissibilità per tardività della revocazione proposta (e ciò anche a voler soprassedere circa la correttezza dell’individuazione della sentenza della Corte d’Appello come provvedimento effettivamente idoneo a giustificare l’interesse dei ricorrenti alla revocazione, posto che l’affermazione in merito alla proprietà del bene è contenuta nella sentenza del Tribunale di Catania n. 5308/2009).

La conferma della statuizione di inammissibilità determina poi evidentemente l’assorbimento delle censure che investono la valenza quale documento delle tabelle millesimali redatte dal consulente nominato nel giudizio definito nel 1985 (atteso anche che gli stessi ricorrenti ribadiscono che intendevano avvalersi della sentenza n. 617/1985 quale idonea a fondare un accertamento con efficacia di giudicato circa la proprietà del lastrico, cfr. pag. 14 del ricorso).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre quanto alle spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013) che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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