Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23067 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/09/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 17/09/2019), n.23067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8071-2015 proposto da:

SANTANDREA UNIPERSONALE SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA SCROFA 64,

presso lo studio dell’avvocato ZUNARELLI E ASSOCIATI, rappresentato

e difeso dall’avvocato MASSIMO CAMPAILLA giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TRIESTE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA NAZIONALE 200, presso lo studio

dell’avvocato VICTOR UCKMAR, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati CATERINA CORRADO OLIVA, ORESTE DANESE giusta delega in

calce;

– controricorrente incidentale –

contro

SANTANDREA UNIPERSONALE SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 326/2014 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 30/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/06/2019 dal Consigliere Dott. MARINA CIRESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito l’incidentale condizionato;

udito per il ricorrente l’Avvocato IERARDI per delega verbale

dell’Avvocato CAMPAILLA che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato OLIVA CATERINA che ha

chiesto l’inammissibilità.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Trieste la Santandrea Unipersonale s.r.l., titolare di concessione demaniale marittima avente ad oggetto immobili costituenti un terminal portuale adibito al deposito ed alla movimentazione di merce, impugnava l’avviso di accertamento emesso dal Comune di Trieste per omesso versamento ICI per gli anni 2006-2007 il cui importo veniva liquidato sulla base di una rendita presunta.

A sostegno del ricorso deduceva che dette aree portuali sarebbero state tutte comprese in categoria E/1, per cui avrebbero dovuto essere esenti dal pagamento dell’ICI ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. b.

Con sentenza del 10 aprile 2013 la CTP di Trieste accoglieva il ricorso, rilevando che tutti gli spazi demaniali ottenuti in concessione erano funzionali al servizio di trasporto marittimo, e che nelle aree portuali la società svolgeva attività di carico-scarico e movimentazione di merci, risultando come tali classificabili in E/1, e quindi esenti dall’ICI.

Proposto appello da parte del Comune di Trieste, che in via preliminare eccepiva l’inammissibilità del ricorso in quanto relativo all’accatastamento degli immobili, la CTR del Friuli Venezia-Giulia, con sentenza in data 30.7.2014, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la legittimità dell’avviso di accertamento. Rilevava invero che negli anni 2006-2007, periodo cui si riferisce l’avviso di accertamento, l’immobile oggetto della vertenza era pacificamente accatastato in A/10, C/2 e D/8. Inoltre riteneva che non potevano essere accatastati in E/1 tutti gli immobili rientranti nei beni demaniali gestiti dall’Autorità Portuale, potendo avere anche destinazioni commerciali ed industriali diverse. Rilevava inoltre che il classamento del bene doveva essere discusso in un diverso giudizio promosso nei confronti dell’Agenzia per il territorio e del proprietario del bene (Autorità Portuale), mentre il Comune aveva solo il compito di verificare la categoria ed il valore catastale del bene oggetto del tributo, e su queste basi effettuare la liquidazione.

Avverso detta sentenza la Santandrea Unipersonale s.r.l. proponeva ricorso per cassazione articolato in cinque motivi, cui resisteva controparte con controricorso; il Comune proponeva altresì ricorso incidentale condizionato articolato in tre motivi.

Entrambe le parti depositavano memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso principale, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. b), e del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, parte ricorrente censurava la sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso l’esenzione ICI cit. ex art. 7, comma 1, lett. b), atteso che detta statuizione si fondava sull’erroneo presupposto che le aree controverse fossero già accatastate. Al contrario, emergeva dall’atto impositivo che le aree in esame non avessero, nelle annualità considerate, nè una classificazione catastale nè una rendita attribuita, tanto che il Comune si era basato su una rendita presunta costituente la media di categorie catastali eterogenee. Peraltro, deduceva come fosse rilevante anche la mera “classificabilità catastale”, per cui tali aree andavano comunque classificate in categoria esente E1 (stazioni per servizi di trasporto terrestri e marittimi).

Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione della L. 28 gennaio 1994, n. 84, artt. 6 e 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, parte ricorrente deduceva che la statuizione della sentenza di secondo grado secondo cui “appare pertanto irreale la possibilità di accatastamento in E/1 di tutti gli immobili tout court rientranti nei beni demaniali gestiti dall’Autorità Portuale” non teneva conto della normativa che disciplina il demanio portuale e le finalità di sviluppo dei traffici portuali cui la legge impone di ispirare l’utilizzo di qualsiasi manufatto detenuto da un concessionario.

Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, omessa pronuncia sulla specifica eccezione di cui al n. 3, dell’atto di ricorso, riproposta in appello”, parte ricorrente deduceva che la CTR aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione proposta in primo grado e riproposta in appello, circa la violazione al Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, artt. 1-20, allegato VIII; violazione e/o falsa applicazione dei decreti del Commissario Generale del Governo per il Territorio di Trieste n. 29 del 1955; violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 29 del 1959, artt. 4, 5 e 9, allegato VII e art. 7.

Tali disposizioni assicuravano, all’interno del Porto Franco di (OMISSIS), l’esenzione da dazi doganali, tasse o altri gravami di effetto equivalente, ad eccezione del pagamento di diritti rappresentanti il corrispettivo deì servizi effettivamente prestati.

Con il quarto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, omessa pronuncia sulla specifica eccezione di cui al n. 4, dell’atto di ricorso, riproposta in appello”, parte ricorrente deduceva che la CTR aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione proposta in primo grado e riproposta in appello, circa la violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 173, in quanto l’avviso di accertamento si fonderebbe su una norma di legge abrogata nel 2006.

Con il quinto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa pronuncia sulla specifica eccezione di cui al n. 5, dell’atto di ricorso, riproposta in appello”, parte ricorrente deduceva che la CTR aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione proposta, in primo grado, e riproposta in appello, circa la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, afferente l’indicazione della norma che avrebbe legittimato l’operato del Comune.

I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati. Oggetto del contendere è la tassabilità o meno dell’area portuale demaniale utilizzata dalla società imprenditrice “terminalista”, concessionaria del suolo per le attività di movimentazione, deposito, imbarco e sbarco di merci. La tesi sostenuta da parte ricorrente è che, essendo l’area portuale classificabile nella categoria E1 che include “stazioni per servizi di trasporto terrestri marittimi ed aerei”, troverebbe applicazione il regime esonerativo previsto dal cit. art. 7, comma 1, lett. b), che riconosce l’esenzione dell’imposta ai “fabbricati classificati o classificabili nelle categoria catastali da E1 a E9”. Tale qualificazione nel gruppo E è propria di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri ecc..) con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale che li rendono sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale. Una conferma di tale impostazione è data dalla L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, a tenore del quale “Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”.

Sul punto il giudice d’appello, in primo luogo, esclude l’esenzione ICI per le aree in questione sul rilievo che “l’immobile era pacificamente accatastato in A/10, C/2 e D/8” mentre tale circostanza risulta palesemente contraddetta dal fatto che, proprio per la mancanza di un accatastamento di detti beni, l’ICI era stata calcolata mediante l’applicazione di una rendita media presunta.

Dopo aver negato per tale ragione l’esenzione ICI, tuttavia, la sentenza di appello introduce una ulteriore ratio idonea ad autonomamente sorreggere la decisione, data dalla effettiva corrispondenza degli immobili in questione a categorie “non-E”, con conseguente inapplicabilità dell’esenzione ICI del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. b).

Quest’ultima ratio, in materia di imposizione Ici delle aree portuali, si fonda correttamente sul “criterio di funzione” (attività imprenditoriale e commerciale) e non sul “criterio di ubicazione”. Secondo detta impostazione, per un corretto censimento catastale dell’area portuale non può essere utilizzato il criterio formale ed astratto della localizzazione che viene prospettato dalla ricorrente, ma è necessario accertare se lo svolgimento dell’attività del terminalista venga esercitata secondo parametri imprenditoriali. A riguardo è irrilevante che le attività “portuali” siano di pubblico interesse. L’interesse generale allo svolgimento dell’attività non esclude infatti che quest’ultima sia esercitata secondo criteri economici tipici dell’impresa commerciale.

Tale interpretazione si inscrive nel più recente orientamento della S.C. (Cass.10031/2017, 1369/2017, 20259/2017, 20026/2015; da ultimo Cass., Sez. 5. n. 10674/2019), formatosi proprio con riferimento alle aree portuali scoperte e coperte, che ha avuto modo di tenere distinto il fenomeno dell’impresa esercente attività portuale (quindi, lucrativa) dallo svolgimento di un servizio pubblico che è proprio, nell’attuale fase, dell’autorità di vigilanza del settore.

Ciò in quanto, sempre secondo quanto affermato da questa Corte, “la L. 28 gennaio 1994, n. 84, eliminando la riserva, a favore delle compagnie portuali e dei gruppi portuali, delle operazioni di sbarco, di imbarco e di maneggio delle merci, in attuazione sia del principio della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., comma 1, sia del principio comunitario di libera concorrenza, ha imposto la trasformazione in società delle compagnie e dei gruppi portuali “per l’esercizio in condizioni di concorrenza delle operazioni portuali” (L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 21, comma 1, lett. a)..”(Cass. n. 7651/06).

L’esercizio da parte della compagine sociale ricorrente in forma concorrenziale dell’attività commerciale comporta il necessario utilizzo dei siti demaniali dati in concessione senza i quali non potrebbero svolgersi tutte quelle operazioni (carico, scarico, stoccaggio ecc.) destinate al servizio portuale.

Lo sfruttamento dell’area da parte di un operatore commerciale in forma privatistica ed esclusiva non può non avere incidenza in tema di ICI, in quanto ciò che conta ai fini dell’imposizione è che l’area in considerazione sia suscettibile di costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito.

La CTR, nell’aver valorizzato, per escludere l’agevolazione ICI, le caratteristiche e la destinazione commerciale degli immobili, ha fatto dunque un’esatta applicazione della normativa e dei principi giurisprudenziali sopra esposti.

Non può, invece, ritenersi che, come sostenuto da parte ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., trovi nella specie applicazione lo jus superveniens costituito dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, (c.d. legge di bilancio 2018), secondo cui le aree scoperte dei porti di competenza delle Autorità di sistema portuale adibite alle operazioni ed ai servizi portuali, nonchè i depositi ivi ubicati strettamente funzionali ai servizi portuali, sono immobili da censire in catasto nella categoria E/1 anche se affidati in concessione a privati.

La normativa in questione, invero, si applica dall’1 gennaio 2020 (v. Cass. 4607/18) e pertanto non è applicabile alla fattispecie per cui è processo.

I restanti motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente, sono del pari infondati.

Ed invero la ricorrente lamenta, con tali censure, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulle eccezioni proposte nel ricorso introduttivo e “riproposte in appello” con la seguente formula: “restano fermi tutti i motivi di censura già dedotti dalla Santandrea che si intendono qui integralmente riportati ai fini della decisione da parte di codesta ctr”.

Tale formula non concreta una valida riproposizione in appello della questione.

Deve infatti ritenersi che “Il generico richiamo al contenuto degli scritti difensivi di primo grado non è idoneo a manifestare la volontà della parte di sottoporre nuovamente al giudice del gravame tutte le domande non accolte in primo grado e, quindi, a ritenere assolto l’onere previsto dall’art. 346 c.p.c., di specifica riproposizione in appello di quelle domande, a pena di rinuncia alle stesse” (Cass. Sez. 1-, n. 20520/2018; Cass. Sez. 6-5, n. 12191/2018).

Il ricorso incidentale condizionato deve ritenersi assorbito dal rigetto del ricorso principale.

Conclusivamente, il ricorso principale va rigettato mentre quello incidentale è assorbito.

La regolamentazione delle spese del giudizio, disciplinata come da dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.

condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2500,00, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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