Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23066 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2011, (ud. 18/10/2011, dep. 07/11/2011), n.23066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.C. (OMISSIS), A.C.

(OMISSIS) (coniugi), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

M.LLO PILSUDSKI 118, presso lo studio dell’avvocato INDOLFI NICOLA,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MELE AMALIO,

giusta procura speciale per atto notaio Concetta Palermiti di Santa

Maria Capua Vetere del 6.10.2011,n. rep. 239625, che viene allegata

in atti;

– ricorrenti –

contro

B.D.N.M.V. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALDOSSOLA 100, presso lo

studio dell’avvocato PETTORINO MARIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato CELEBRIN PRIMO, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2612/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

27.2.09, depositata l’1/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Indolfi Nicola che insiste per

l’accoglimento del ricorso;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. APICE

Umberto che ha concluso per la trattazione del ricorso in pubblica

udienza in considerazione dell’ultimo motivo del ricorso.

Fatto

FATTO e DIRITTO

Rilevato che il Consigliere relatore dott. G.A. Bursese con ordinanza del 17.05. 2011 ha depositato la relazione ex art. 380 bis che qui si trascrive:

1 – I coniugi A.C. e P.C., con ricorso in data 20.07.1990, premesso di condurre in locazione con durata annuale e non solo estiva un appartamento di proprietà di B.D.N. V. sito in (OMISSIS), deducevano che quest’ultima aveva ceduto l’immobile ad altri inquilini, in tal modo estromettendoli dal suo godimento. Chiedevano pertanto all’adito Pretore di Ischia di essere reintegrati nella detenzione del predetto immobile, con riserva di agire per il risarcimento dei danni derivati da tale illecita condotta. Si costituiva la convenuta eccependo la carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti, che non avevano più la qualifica di detentori dell’unità immobiliare a seguito della cessazione della locazione avvenuta nel settembre del 1989, epoca in cui era scaduto il relativo contratto “estivo”.

Il giudice adito, sentiti I e parti e gli informatori, rigettava prima l’istanza dei ricorrenti relativa alla concessione dell’interdetto possessorio e dopo, con sentenza n. 9729/00, rigettava la proposta domanda di reintegrazione del possesso, ritenendo che la B., nel cedere l’appartamento a terzi nel maggio del 1990, non aveva commesso alcuno spoglio nei confronti degli attori, in quanto il rapporto locatizio con i medesimi , era cessato già nel settembre del 1989. Avverso la sentenza proponevano appello i coniugi A. – P., insistendo sul fatto che il rapporto locatizio in esame era annuale e non meramente stagionale, tant’è che l’immobile in questione era stato da arredato con il loro mobilio.

L’adita Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 2612/2009 depos.

in data 1.9.2009, rigettava l’impugnazione, confermando la sentenza impugnata previa correzione di un errore materiale in essa contenuto e condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.

Avverso tale decisione A.C. e P.C. propongono ricorso per cassazione fondato su 4 motivi; resiste con controricorso la B.D.N..

2 – Con i primo motivo gli esponenti denunziano a violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per “avere ritenuto i due documenti fondamentali del giudizio, a ricevuta rilasciata ai coniugi A.C. e P.C., in data 3.6.88, nonchè la copia delle lettera del loro precedente difensore avv. Giorgio Aiello, giuridicamente inesistenti perchè non esibite e prodotti nelle forme di legge”. “Con il 2 motivo gli esponenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e vizio di motivazione. Assumono che la corte territoriale “si è limitata a richiamare la motivazione del tribunale, sic et simpliciter… senza aggiungere altro …” “Con il 3 motivo gli esponenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., dell’art. 1363 c.c. e segg. e dell’art. 12 disp. gen….” per palese violazione dei canoni ermeneutici, per aver dato alle parole ed alle espressioni delle parti e dei testimoni escussi un significato diverso di quello reale, stravolgendo quello che era una situazione di adamantina chiarezza, che se correttamente interpretata, non poteva avere un significato diverso da quello indicato dal ricorrente.” “Con il 4 motivo infine gli esponenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. “per insanabile contrasto tra opposti provvedimenti emessi contemporaneamente nella sentenza ……perchè nel dispositivo vi è dapprima la condanna dell’appellante alle spese e successivamente la compensazione totale di entrambi i gradi del giudizio, mentre nel dispositivo vi è trascritto solo il primo provvedimento”.

3) Le censure di cui sopra non sembrano fondate, il primo motivo è inammissibile. Invero in evidente violazione del principio di autosufficienza, tali documenti – benchè ritenuti decisivi ai fini della causa – non sono stati trascritti nel ricorso per cassazione, come sarebbe stato onere per i ricorrenti al fine di consentire alla Corte il controllo della decisività dei fatti da provare e quindi delle prove stesse. Secondo questa Corte regolatrice, “il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto dei documento trascurato od erroneamente interpretato dai giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative”. (Cass. Sez. 6 – ordinanza n. 17915 de 30/07/2010; Sez. 5, sentenza n. 5886 del 14/04/2003).

Il 2 motivo è infondato atteso che la Corte di merito non si è solo limitata a richiamare la motivazione del giudice di 1 grado, ma vi ha aderito criticamente e l’ha integrata con ulteriori osservazioni con riferimento ai documenti prodotti ed alla questione della presenza della mobilia del ricorrenti all’interno dell’appartamento. Peraltro è consentita, com’è noto, anche la motivazione della sentenza per relationem (Cass. N. 3367 del 11/02/2011).

Parimenti è privo di pregio il 3 motivo che si risolve in una mera rilettura delle emergenze processuali in contrasto con quanto ritenuto dal giudice di merito. Secondo la giurisprudenza di questa S.C. l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. (Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 5328 del 8.3.2007).

Anche il 4 motivo infine è privo di pregio, perchè la condanna alle spese contenuta nel dispositivo è stata adeguatamente motivata con il richiamo alla soccombenza dai ricorrenti, in modo tale da non lasciare in proposito dubbi di sorta.

4) Si ritiene pertanto di avviare la causa a decisione in camera di consiglio per valutare l’infondatezza del ricorso.

Il COLLEGIO, tanto premesso, osserva:

La relazione sopra riportata può essere condivisa, atteso che nessuna apprezzabile argomentazione in senso contrario può trarsi dalla memoria prodotta ex art. 378 c.p.c. In modo particolare è di tutta evidenza, quanto al 4 motivo del ricorso, che la motivazione è solo apparentemente contraddittoria, trattandosi di mero errore materiale, di un mero refuso in cui è incorso il giudice nella redazione della sentenza, perchè alla condanna delle spese del giudizio contenuta nel dispositivo della sentenza di 2 grado corrisponde al di là di ogni ragionevole dubbio, l’idoneo supporto motivazionale de quo (Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da infrascritto dispositivo…).

Dev’essere inoltre ribadita la rilevata carenza di autosufficienza evidenziata nella relazione di cui sopra, e va ancora sottolineato che le doglianze dell’esponente si sostanziano in inammissibili questioni di merito.

il ricorso dev’essere dunque rigettato; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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