Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23062 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/10/2017, (ud. 06/06/2017, dep.03/10/2017),  n. 23062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16223-2016 proposto da:

N.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato CARLO CIPRIANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO PANNARALE;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA di TARANTO, in persona del Presidente, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. CESI 20, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI ALBISINNI, rappresentata e difesa dall’avvocato CESARE

SEMERARO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 171/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 13/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/06/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che con la sentenza impugnata la Corte appello Lecce – sez. distaccata Taranto, in parziale riforma della decisione di primo grado, per quanto in questa sede interessa, ha rigettato la domanda proposta nei confronti della Provincia di Taranto da N.G., dipendente dell’ente, volta ad ottenere il risarcimento del danno conseguente al demansionamento dalla stessa subito;

che la Corte territoriale fondava la decisione sul rilievo che il dedotto demansionamento non poteva ritenersi provato;

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la N. sulla base di un unico motivo;

che la Provincia di Taranto ha resistito con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., osservando che la corte territoriale, pur dando atto di alcuni fatti significativi del dedotto demansionamento, non aveva fatto buon governo dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, in forza dei quali il lavoratore deve limitarsi ad allegare il demansionamento, non essendo al riguardo gravato da alcun onere probatorio;

che l’azione originariamente proposta dalla lavoratrice riguardava tanto il risarcimento dei danni da demansionamento quanto quello da mobbing, profilo, quest’ultimo, in relazione al quale era intervenuto il giudicato in ragione della mancata impugnazione della decisione del giudice di primo grado;

che la Corte d’appello, pur dando atto di comportamenti astrattamente rilevanti in funzione della dedotta condotta mobizzante, quali la mancata o ritardata consegna alla lavoratrice della posta o il diniego di utilizzo dell’auto di servizio, ha accertato, con riferimento alle allegazioni attoree concernenti il demansionamento, che le stesse non avevano trovato riscontro in provvedimenti lesivi della professionalità;

che, specificamente, la Corte ha rilevato che non poteva evincersi alcun demansionamento dalle deliberazioni adottate dalla Provincia, formalmente legittime, “che documentano gli spostamenti non solo della ricorrente ma di tutti i dipendenti interessati da un settore a un altro dell’ente, motivate dalle necessità di organizzare in un modo o in un altro il funzionamento di ciascun servizio e di dotarlo di dipendenti tecnici o amministrativi in un numero più o meno maggiore” e, conseguentemente, non poteva ritenersi verificato alcun danno da diminuzione professionale;

che, pertanto, la decisione impugnata risulta conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di prova del demansionamento (si veda per tutte Cass. n. 4211 del 3 marzo 2016);

che il ricorso, quindi, va rigettato, con regolamentazione delle spese secondo soccombenza.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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