Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23061 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 22/10/2020), n.23061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8551-2019 proposto da:

COOPERATIVA PRODUTTORI SUINI PRO SUS SCA, in persona del legale

rappresentate pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA F.

RAPISARDA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO,

EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 441/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 12/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di Appello di Brescia, per quanto solo rileva in questa sede, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto la responsabilità solidale, D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29, della Cooperativa Produttori Suini Pro Sus Sca (di seguito, anche solo Pro Sus) per la somma di Euro 89.912,98, a titolo di sanzioni civili ex lege n. 388 del 2000, dovute per omissioni contributive del datore di lavoro, in riferimento a due lavoratori, per il periodo gennaio 2007 – aprile 2010;

la Corte di merito, in accoglimento dell’appello principale dell’INPS, ha osservato come la committente (id est: Pro Sus) fosse tenuta, nell’ambito della responsabilità D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29, ratione temporis vigente, al pagamento delle sanzioni civili; a tale riguardo, la Corte territoriale ha interpretato il D.L. n. 5 del 2012, art. 21, comma 1 (convertito con modificaz. dalla L. n. 35 del 2012), nella parte in cui limita il pagamento delle sanzioni civili al solo responsabile dell’adempimento, come norma innovativa, non applicabile retroattivamente al caso di specie; la Corte territoriale ha, inoltre, escluso che, nei rapporti con l’INPS, trovasse applicazione la decadenza biennale di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2;

quanto al merito, la Corte di appello ha ritenuto non decisivo il motivo di appello incidentale con cui la Pro Sus evidenziava che le dichiarazioni raccolte dagli ispettori non fossero state confermate in giudizio mentre ha valorizzato la circostanza che la valutazione delle dichiarazioni medesime – come resa dal Tribunale – non fosse stata specificamente censurata dalla cooperativa appellante;

avverso tale sentenza, Pro Sus ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, al quale ha opposto difese l’INPS con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

la Cooperativa Produttori Suini Pro Sus Sca ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, parte ricorrente deduce l’erronea interpretazione e la falsa applicazione del D.L. n. 5 del 2012, art. 21, comma 1, per aver la Corte territoriale escluso l’effetto retroattivo della disciplina di esonero, del committente, dal pagamento delle sanzioni civili;

il motivo è infondato;

questa Corte di cassazione ha già affermato che il disposto del citato art. 21, non ha natura interpretativa nè effetti retroattivi (Cass. n. 18259 del 2018; Cass. n. 20849 del 2019; Cass. n. 6449 del 2020) sicchè lo stesso non risulta applicabile, ratione temporis, alla fattispecie concreta che riguarda omissioni contributive verificatesi tra il 2007 ed il 2010 e ciò -evidentemente- a prescindere dalla diversa questione dell’applicazione o meno della nuova disciplina ai rapporti in corso;

si è, infatti, osservato come la disposizione, nel disciplinare “nuovamente” la responsabilità solidale negli appalti, non contenga elementi per indurre l’interprete a predicarne il valore interpretativo e, in quanto tale, retroattivo secondo i criteri fissati dalla giurisprudenza costituzionale (sull’efficacia innovativa e non interpretativa, si veda, per tutte, Corte Cost. nn. 271 e 257 del 2011, 209 del 2010, 24 del 2009 e 170 del 2008);

con il secondo motivo, parte ricorrente deduce l’erronea e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, per avere la Corte di appello ritenuto inapplicabile, nei rapporti con l’INPS, il termine di decadenza biennale;

anche il secondo motivo è infondato;

la Corte di appello ha deciso la questione in modo conforme al recente principio di questa Corte – che merita conferma in questa sede – secondo cui: “In tema di appalto di opere e servizi, il termine di decadenza di due anni previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 5 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 35 del 2012, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali nei confronti del committente essendo la stessa soggetta al solo termine di prescrizione” (Cass. n. 18004 del 2019);

con il terzo motivo, è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per aver la Corte di merito attribuito rilievo probatorio alle dichiarazioni raccolte in sede ispettiva, non confermate nel giudizio;

il motivo è, nel complesso, da respingere;

non è, in primo luogo, pertinente la denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c., che viene in rilievo solo se il giudice di merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova e individua, erroneamente, la parte onerata della stessa; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova;

nell’ipotesi di causa, la Corte territoriale ha ritenuto dimostrata, sulla base degli elementi di giudizio, l’omissione contributiva, sicchè non hanno influito sulla decisione la distribuzione dell’onere probatorio e le conseguenze del suo mancato assolvimento; nella sostanza, le censure sono, comunque, infondate: le ragioni della decisione dimostrano come non sia stato attribuito al verbale ispettivo valore probatorio assoluto ma quanto ivi riportato è stato, dai giudici, valutato criticamente, sulla base degli elementi di causa;

in conclusione, alla stregua delle argomentazioni svolte, il ricorso va rigettato;

quanto alle spese, il recente consolidarsi dell’orientamento di legittimità in ordine alla maggior parte delle questioni dirimenti ne giustifica la integrale compensazione;

sussistono, invece, i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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