Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23056 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 22/10/2020), n.23056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28537-2018 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE

28, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO VIANELLO ACCORRETTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati RAFFAELE SILIPO, ERNESTO

MAZZEI;

– ricorrente –

contro

ADER – AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 132/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 20/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 132 del 2018, ha dichiarato improcedibile l’appello proposto da P.F. avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva rigettato la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento, in ragione delle mansioni svolte, di un superiore inquadramento professionale; avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.F. con due motivi; ha resistito l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, con controricorso;

è stata notificata alle parti la proposta del relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 421 e 435 c.p.c., nonchè degli artt. 159 e 164 c.p.c., per avere la Corte territoriale applicato il principio di diritto di Cass., sez. un., n.20604 del 2008, in tema di omessa notifica dell’atto di appello e del relativo decreto di fissazione dell’udienza nel rito del lavoro, nonostante diversi e più convincenti insegnamenti della Suprema Corte;

con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost.; secondo la parte ricorrente, l’indirizzo espresso dalla pronuncia n. 2064 del 2008, finalizzato a valorizzare il principio della ragionevole durata del processo, sacrificherebbero altri valori costituzionalmente garantiti, primo tra tutti, il diritto al giudizio;

il ricorso è infondato;

occorre premettere che la fattispecie concreta riguarda un’ipotesi in cui vi è stato lo slittamento della udienza di trattazione per “assenza del giudice relatore” e l’atto di appello è stato notificato nelle more del rinvio della prima udienza;

va, pertanto, data continuità al principio affermato da Cass. n. 1175 del 2015, secondo cui, nel caso in cui l’appellante non provveda a notificare l’atto di appello per l’udienza fissata ai sensi dell’art. 435 c.p.c., nè, partecipando a detta udienza, adduca alcun giustificato impedimento, “l’improcedibilità della impugnazione può essere dichiarata d’ufficio ancorchè la notifica sia avvenuta per altra successiva udienza, cui la causa – in quella prima udienza – sia stata rinviata” (regola affermata in relazione ad una fattispecie in cui la prima udienza, tenutasi, era stata rinviata per l’acquisizione del fascicolo d’ufficio e alla successiva udienza l’atto di appello risultava notificato con le controparti che nulla eccepivano);

tale pronunzia si pone sulla scia di Cass., sez.un., n. 20604 del 2008 (per la quale “nel rito del lavoro l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove non siano stati notificati il ricorso depositato ed il decreto di fissazione dell’udienza, non essendo al giudice consentito -alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, – di assegnare, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., all’appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 c.p.c.”; principio costantemente ribadito dalle sezioni semplici: ex plurimis, Cass. n. 14839 del 2018; Cass. n. 6159 del 2018; Cass. n. 19191 del 2016; Cass. n. 20613 del 2013) ed evidenzia bene come l’unica situazione che può consentire la rinotifica dell’atto di appello, nelle more del rinvio della prima udienza di trattazione, è quella del rinvio di ufficio, espressamente ed in modo chiaro disposto prima della udienza fissata ex art. 435 c.p.c., e, dunque, prima che l’udienza stessa sia aperta, seppure senza svolgimento di una concreta attività processuale; in tal caso, dovendosi ravvisare una sostanziale revoca del precedente provvedimento di fissazione;

solo in apparente contrasto si colloca, dunque, Cass. n. 16517 del 2016 (per la quale ” Nel rito del lavoro, in caso di rinvio d’ufficio dell’udienza di trattazione da parte della corte d’appello prima della sua apertura, ove l’appellante abbia proceduto, nel rispetto dei termini di legge, alla notifica del ricorso e del decreto di fissazione con riferimento alla nuova udienza e l’appellato si sia ritualmente costituito, il gravame non può essere dichiarato improcedibile per inesistenza della notificazione, dovendo il giudice valutare l’incidenza del comportamento dell’appellante alla luce del principio di ragionevole durata del processo, tenuto conto dell’avvenuto rispetto dei termini con riferimento alla udienza successivamente fissata e della rituale costituzione della parte appellata”; principio seguito anche da Cass. n. 12708 del 2017 e Cass. n. 18043 del 2019), poichè il caso scrutinato dalla stessa (id est: dalla sentenza n. 16517 cit. e dalle successive pronunce indicate) è relativo all’ipotesi del rinvio di ufficio, disposto dalla Corte di appello prima che sia aperta l’udienza di discussione; la fattispecie concreta, per come genericamente prospettata, riguarda (recte: deve ritenersi che riguardi) l’ipotesi in cui l’udienza di discussione sia stata tenuta e, poi, rinviata dalla Corte territoriale, sia pure senza svolgimento di un concreto esercizio di attività processuale. In tale situazione e in assenza di elementi che possano giustificare la condotta dell’appellante (di omessa notifica dell’atto di appello), resta valido il principio che non consente la riattivazione del procedimento notificatorio;

l’ordinamento processuale, delineato anche attraverso i dicta giurisprudenziali sopra richiamati, orienta, infatti, per l’indicazione di un modello (processuale) in base al quale tutte le attività che concernono l’attivazione regolare del contraddittorio, così come tutte le fasi della dinamica processuale, devono essere ispirate a principi di diligenza e di correttezza ed a condotte collaborative di coloro che, a diverso titolo, agiscono nel giudizio e che risultino, nella loro interazione, funzionali rispetto alla garanzia dei superiori principi di ragionevole durata del processo e di certezza delle situazioni giuridiche (v. in motivazione, Cass. n. 1175 del 2015, anche per gli ulteriori richiami);

in conclusione, sulla base alle esposte argomentazioni, il ricorso va rigettato con le spese che seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

sussistono, altresì, i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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