Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23054 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/10/2017, (ud. 04/05/2017, dep.03/10/2017),  n. 23054

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25991-2012 proposto da:

MINISTERO LAVORO POLITICHE SOCIALI, C.F. (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

AUTOSOCCORSO L.F., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dagli Avvocati GIULIO DI MATTEO, ELIA DI MATTEO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

E SUL RICORSO SUCCESSIVO, senza numero di R.G. proposto da:

AUTOSOCCORSO L.F. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dagli Avvocati GIULIO DI MATTEO, ELIA DI MATTEO, giusta

delega in atti;

– ricorrente successivo –

contro

MINISTERO LAVORO POLITICHE SOCIALI, C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1063/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/11/2011 R.G.N. 238/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato NATALE GAETANA;

dito l’Avvocato DI MATTEO ELISABETTA per delega verbale Avvocato DI

MATTEO ELIA E DI MATTEO GIULIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza numero 6665/2011 la Corte d’Appello di Milano accoglieva parzialmente l’appello principale proposto dal Ministero della Salute del Lavoro e delle Politiche sociali e dalla Direzione Provinciale del lavoro di Como contro la sentenza di primo grado che, a seguito di opposizione ad ordinanza ingiunzione, aveva rideterminato le sanzioni inflitte all’Autosoccorso L.F. a soli 8000 Euro dopo averle unificate tutte sotto il vincolo della continuazione.

La Corte d’Appello accoglieva parzialmente anche l’appello incidentale dell’Autosoccorso L.F. relativamente alla tardività di talune contestazioni.

A fondamento della decisione la Corte rilevava che l’istituto del cumulo giuridico fosse applicabile alle violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatorie ma non a quelle di lavoro, come quelle contestate nella specie le quali pertanto non potevano essere unificate dal vincolo della continuazione; quanto alla maxi sanzione prevista dal D.L. n. 223 del 206, art. 36 bis, comma 7 conv. in L. n. 248 del 2006, pur essendo riconducibile al profilo previdenziale, il tenore della norma escludeva comunque, secondo i giudici, l’applicabilità del cumulo giuridico. Pertanto rideterminavano la sanzione in un importo di Euro 64.300.

La Corte accoglieva inoltre parzialmente l’appello incidentale relativo alla tempestività della contestazione al trasgressore della violazione amministrativa ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14 in relazione alle violazioni relative ai lavoratori C., M. e B., che venivano dichiarate quindi estinte.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con un motivo di censura, ai quali ha resistito l’Autosoccorso L.F. con controricorso.

Contro la stessa sentenza ha spiegato un successivo ed autonomo ricorso per cassazione l’Autosoccorso L.F. con due motivi di censura, in relazione ai quali la parte pubblica non ha presentato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi proposti contro la medesima sentenza.

1.- Con l’unico motivo di ricorso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 54 e della L. n. 689 del 1981, art. 14 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte statuito la tardività della contestazione senza tener conto del contrasto interpretativo esistente in materia di competenza ad applicare la sanzione in discorso, per lavoro nero, tra Agenzia dell’Entrate e DPL, stante l’assoluta mancanza di una norma che fornisse il regime transitorio per l’applicazione della nuova disciplina (in relazione alle condotte concluse prima del 12.8.2006, data di entrata in vigore della L. n. 248 del 2006, art. 36 bis di conversione del D.L. n. 223 del 2006 che ha stabilito la competenza del DPL); vuoto colmato solo con la L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 54 che ha aggiunto il comma 7 bis al D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis chiarendo che per le violazioni constatate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto la competenza andasse rapportata alla constatazione della violazione e non alla cessazione della condotta illecita; e poichè l’atto di contestazione era stato notificato nel caso in esame in data 14 aprile 2008 entro 90 giorni dall’entrata in vigore dalla citata L. n. 247 del 2007 la contestazione non poteva essere considerata tardiva.

1.1. Il motivo è infondato. La L. n. 689 del 1981 prescrive all’art. 14 che l’atto di contestazione sia notificato “agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro 90 giorni dall’accertamento della violazione”; e tale termine – salvo diverse specifiche disposizioni – non risulta in alcun modo correlato all’entrata in vigore di una norma che stabilisca, modifichi o chiarisca la competenza ad effettuare la contestazione in sede amministrativa. Nè alcuna delle norme sopraindicate ha modificato o prorogato il termine stabilito dall’art. 14 cit. Pertanto la DPL competente ad attivarsi in relazione alle condotte di cui trattasi (constatate dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, con verbale n. 059/2007, in data 5.11.2007) era tenuto a farlo nel rispetto del termine sopraindicato.

1.2. D’altra parte, anche considerando la data di entrata in vigore della disciplina stabilita dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 54 la contestazione in oggetto sarebbe da ritenere comunque tardiva in quanto la stessa L. n. 247 del 2007 è entrata in vigore (ai sensi dell’art. 1, comma 94) l’1.1.2008; e quindi la notificazione della contestazione sarebbe dovuta avvenire al più entro il 31.3.2008.

Nè rileva in contrario il precedente (sentenza n.1232/1993) di questa Corte di Cassazione, citato dal Ministero ricorrente, in quanto la stessa pronuncia si riferiva ad una ipotesi in cui in precedenza non era previsto termine di decadenza per la notifica della contestazione dell’illecito, introdotto solo con la successiva L. n. 689 del 1981 da cui quindi doveva ritenersi decorrente l’unico termine fissato per la contestazione.

1.4. Neppure rileva l’invocata sospensione del termine per asserita presentazione di ricorsi amministrativi, profilo di cui neppure si parla in sede di ricorso per cassazione.

2.- Con il primo motivo di ricorso per cassazione l’Autosoccorso L.F. ha dedotto la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 115 e 116 c.p.c.) su un punto decisivo e dirimente della controversia non essendo emerse prove dei rapporti di lavoro sanzionati; violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 246 c.p.c. per incapacità a testimoniare ed inattendibilità della prova orale testimoniale acquisita; violazione del principio del giusto processo in relazione alla ritenuta esistenza dei rapporti di lavoro in nero dei lavoratori Z. e L..

2.1. Il motivo è infondato in quanto sotto le mentite spoglie di violazioni di legge le censure afferiscono esclusivamente al merito della controversia già compiutamente valutato senza vizi logici nè giuridici dal giudice competente. Deve ricordarsi in proposito che quello di cassazione non è un terzo grado di giudizio il cui compito sia di verificare la fondatezza di ogni affermazione effettuata dal giudice di appello nella sentenza. Esso è invece (Cass. Sez. 5, sentenza n. 25332 del 28/11/2014) un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti; ma deve promuovere specifiche censure nei limiti dei motivi consentiti dalla legge.

E’ inoltre ius receptum che sia devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato. Conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Neppure risulta alcuna violazione di legge in ordine alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese, sia in sede ispettiva sia nel corso del processo, da lavoratori (come Cavaglieri e Basile) coinvolti in accertamenti amministrativi; tanto più quando, come nella fattispecie, esse sono state rilasciate da lavoratori diversi da quelli cui si riferiscono le violazioni ritenute esistenti (nel caso in esame Z. e L.) e pertanto pienamente utilizzabili nella decisione della causa; non essendo certamente i primi incapaci a testimoniare sulle violazioni riguardanti i secondi.

3.- Con il secondo motivo di ricorso l’Autosoccorso L.F. deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 8 per aver negato l’applicazione del cumulo giuridico alle violazioni in materia di lavoro ed alla maxi sanzione. Il motivo è privo di fondamento in relazione ad entrambe le fattispecie sanzionatorie come risulta dall’orientamento giurisprudenziale già assunto in sede di legittimità ed in base al quale l’istituto del cumulo giuridico non risulta applicabile alle violazioni amministrative in materia lavoristica, secondo la corretta conclusione presa dal giudice d’appello e che questo collegio intende ribadire anche nel presente giudizio.

3.1. Ed invero come risulta dalla sentenza n. 24655 del 06/10/2008 di questa Corte la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 8 pur prevedendo l’applicabilità dell’istituto del cosiddetto “cumulo giuridico” tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale (omogeneo od eterogeneo) tra le violazioni contestate – in cui con un’unica azione od omissione sono commesse violazioni plurime – non è, invece, invocabile con riferimento alla diversa ipotesi di concorso materiale – in cui una pluralità di violazioni è commessa con più azioni od omissioni -, atteso che la norma prevede espressamente tale possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza e che non è applicabile in via analogica l’art. 81 c.p., stante la differenza morfologica tra illecito penale ed illecito amministrativo, anche alla luce del diverso atteggiarsi dei profili soggettivi relativi alle due tipologie di illecito (v. Corte., n. 421 del 1987).

3.2. Inoltre con sentenza n. 391 del 19/01/1996 è stato chiarito in relazione ad analoga fattispecie che “La previsione della sanzione stabilita dalla L. 19 dicembre 1984, n. 863, art. 5, comma 13 (di conversione in legge, con modifiche, del D.L. 30 ottobre 1984, n. 726) – secondo cui il datore di lavoro che assuma o impieghi lavoratori a tempo parziale in violazione delle disposizioni del comma 3 stesso articolo è tenuto al pagamento, a favore della gestione contro la disoccupazione, della somma di Lire 40.000 per ogni giorno di lavoro svolto da ciascuno di essi – esclude una graduazione tra un massimo e un minimo del l’importo dovuto; per la determinazione di questo risultano quindi inapplicabili sia il criterio del cumulo giuridico della pena fissato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 8 (nel testo novellato dal D.L. 2 dicembre 1985, n. 688, art. 1 “sexies” convertito in L. 31 gennaio 1986, n. 11), la cui operatività è subordinata alla inesistenza di una diversa previsione di legge, sia la disposizione della medesima L. n. 689 del 1981, art. 16 relativa al pagamento della sanzione in misura ridotta.

4.- In conclusione, e per le ragioni anzidette, la sentenza si sottrae alle censure sollevate con entrambi i ricorsi i quali vanno quindi rigettati. Le spese del giudizio possono essere compensate considerata la reciproca soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e dispone la compensazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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