Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23048 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 22/10/2020), n.23048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1262-2019 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALDINIEVOLE,

11, presso lo studio dell’avvocato ESTER FERRARI MORANDI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati PATRIZIA CIACCI, CLEMENTINA

PULLI, MANUELA MASSA;

controricorrente –

avverso la sentenza n. 686/2018 del TRIBUNALE di LATINA, depositata

il 03/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

A.G., con ricorso ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., agiva per l’accertamento del requisito sanitario ai fini del riconoscimento dell’indennità di accompagnamento e/o della pensione di inabilità L. n. 118 del 1971, ex art. 12;

il c.t.u. officiato riteneva che il ricorrente si trovasse in una condizione clinica tale da essere “soggetto totalmente inabile”; riteneva, altresì, che “a due anni dal febbraio 2016” fosse necessaria una nuova valutazione medico-legale;

manifestato il proprio dissenso, il ricorrente proponeva ricorso ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6;

il Tribunale di Roma, con sentenza del 3.7.2018, rigettava il ricorso;

A.G. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi;

l’I.N.P.S. ha depositato procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., e dell’art. 149 c.p.c., in relazione all’omessa pronuncia sulla domanda di riconoscimento del diritto (recte: del requisito sanitario relativo alla) pensione di inabilità L. n. 118 del 1971, ex art. 12 a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa o da quella di giustizia, come riconosciuto dal consulente incaricato dell’accertamento tecnico preventivo;

il motivo è fondato;

va premesso che, come risulta dagli atti di causa, puntualmente trascritti nelle parti utili a reggere le censure, in sede di ricorso introduttivo del giudizio ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, la ricorrente, contestando l’accertamento (pur parzialmente favorevole) ottenuto all’esito del procedimento di cui al medesimo art. 445 bis c.p.c., oltre a chiedere che fosse accertata la condizione di impossibilità a deambulare e/o di necessaria assistenza continua nello svolgimento dei comuni atti della vita quotidiana (condizioni sanitaria legittimante, in presenza degli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, l’indennità di accompagnamento) dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa o da diversa data ritenuta di giustizia (cfr. pagg. 2 e 3 del ricorso per cassazione, con riferimento allo svolgimento del processo di opposizione), aveva richiesto che, in ogni caso, fosse “dichiara(to) il diritto (…) alla pensione di inabilità, a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa o da quella di giustizia (…) come già riconosciuto dal consulente medico legale del procedimento cautelare iscritto (…)”;

il Tribunale su tale ultima domanda, disattesa quella avanzata in via principale, non si è pronunciato, così incorrendo nel denunciato vizio di omissione di pronuncia, come già ritenuto da questa Corte (v. Cass. n. 8857 del 2017);

in più recenti arresti, resi in analoghe fattispecie, la Corte ha poi ulteriormente chiarito (Cass. n. 3377 del 2019; conforme, in motiv., Cass. n. 4304 del 2020) che al giudice della opposizione (id est: al giudice adito ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6) è rimesso l’accertamento della intera res controversa e non soltanto la cognizione delle ragioni di contestazione;

diversamente opinando, nei casi in cui i motivi di contestazione investano solo parzialmente la ctu, si determinerebbe l’assenza di ogni accertamento giudiziario sulla parte non contestata delle conclusioni del consulente dell’accertamento tecnico preventivo, stante la impossibilità di emettere un decreto di omologa (Cass. n. 3377 cit.), in contrasto, oltre che con la previsione testuale dell’art. 445 bis, con la finalità, deflattiva del contenzioso ed acceleratoria della durata dei processi, dichiarata dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 38, comma 1, (convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2011, n. 111) a fondamento della introduzione dell’accertamento tecnico preventivo obbligatorio;

in definitiva, il giudice della opposizione ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, non può limitare la sua pronunzia al rigetto dei motivi di opposizione ma è tenuto ad accertare nella sentenza definitiva del giudizio anche i fatti non contestati dalle parti;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 è la dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, artt. 2 e 12, del D.Lgs. n. 509 del 1988, artt. 1 e 2, della L. n. 18 del 1980, art. 1 e del D.M.Sanità 5 febbraio 1992 in attuazione del D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 2, per aver la Corte di appello acriticamente aderito alle conclusioni del CTU, quanto all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento il requisito sanitario dell’indennità di accompagnamento, senza considerare che l’ausiliario non aveva richiamato le tabelle di cui al D.M.Sanità 5 febbraio 1992;

il motivo è infondato;

secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v. sin da Cass. n. 931 del 1999; Cass. n. 13362 del 2003; Cass. n. 88 del 2005 e successive) le condizioni sanitarie per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento previste dalla L. n. 18 del 1980, art. 1, consistono, alternativamente, nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nella incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza;

questa Corte afferma che “con riferimento al presupposto medico-legale ai fini del riconoscimento delle prestazioni assistenziali agli invalidi civili, la tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e le malattie invalidanti, approvata con D.M. 5 febbraio 1992, in attuazione del D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 2 integra la norma primaria ed è vincolante, con la conseguenza che la valutazione del giudice, che prescinda del tutto dall’esame di tale tabella, comporta un vizio di legittimità denunciabile con ricorso per cassazione” (ex plurimis, Cass. n. 6850 del 2014);

tuttavia, il principio non è riferito dalla Corte all’accertamento del requisito sanitario che qui interessa (id est: all’accertamento della condizione di non autosufficienza come delineata dall’art. 1 della L. n. 18 del 1980). La tabella di cui al D.M.Sanità 5 febbraio 1992 opera, infatti, per la determinazione di incidenza delle infermità invalidanti sulla capacità lavorativa; essa dunque non rileva ai fini del riconoscimento dell’indennità di accompagnamento che è prestazione sganciata del tutto dal concetto di “residua” capacità di lavoro dell’interessato;

le pronunce richiamate in ricorso confermano le esposte argomentazioni, in quanto relative alla pensione di inabilità e/o all’assegno mensile (cd. assegno di invalidità civile) L. n. 118 del 1971, ex artt. 12 e 13 (nello specifico, le pronunce di Cass. nn. 5571 e 6050 del 2001 sono relative a ricorsi presentati dal Ministero dell’Interno – a suo tempo legittimato passivo – in cui si discute anche della pensione di invalidità oltre che dell’indennità di accompagnamento; Cass. n. 13685 del 2002 è relativa al riconoscimento della pensione di inabilità mentre Cass. n. 13938 del 2002 riguarda l’assegno di invalidità civile; Cass. n. 3361 del 2003 si occupa anche dell’accertamento della condizione di invalidità totale e Cass. n. 13938 del 2004 fa riferimento ad assegno e pensione; quanto alla pronuncia n. 6652 del 2003, la stessa è relativa a tutt’altro oggetto);

conclusivamente, va accolto il primo motivo e rigettato il secondo;

la sentenza del Tribunale di Roma va cassata in accoglimento del motivo accolto e la causa rinviata ad altro giudice del Tribunale di Roma affinchè accerti il requisito sanitario in conformità ai principi di diritto sopra esposti; il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rigettato il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese – ad altro giudice del Tribunale di Roma.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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