Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23047 del 22/10/2020
Cassazione civile sez. VI, 22/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 22/10/2020), n.23047
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29206-2018 proposto da:
F.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO 136,
presso lo studio dell’avvocato ENRICO ROMANO MASTRANGELO,
rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO SCALA;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE
BECCARLA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati ESTER ADA VITA SCIPLINO, CARLA
D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO;
– controricorrente –
contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI
SUL LAVORO (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,
presso lo studio dell’avvocato RAFFAELA FABBI, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato LORELLA FRASCONA’;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 1009/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,
depositata il 03/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata dell’08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA
MARCHESE.
Fatto
RILEVATO
CHE:
con sentenza del 3.8.2018, la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto il gravame interposto da F.E. avverso la decisione del Tribunale di Catanzaro che, pur avendo accolto la domanda e dichiarato estinti i crediti INPS oggetto di un’intimazione di pagamento, per prescrizione quinquennale sopravvenuta alla formazione dei titoli esecutivi (cartelle esattoriali non opposte), aveva compensato le spese di lite;
la Corte di Appello, cui era devoluta unicamente la questione della compensazione delle spese di lite, ha ritenuto corretta la statuizione di primo grado a tale riguardo resa e relativa alla sussistenza “(…) del contrasto giurisprudenziale in tema di termine di prescrizione al momento di instaurazione del ricorso”; la Corte territoriale ha osservato come tale contrasto fosse stato ricomposto solo con la sentenza del 27 novembre 2016, affermativa del principio cui si uniformava il Tribunale; in ragione del rigetto del gravame, ha poi regolato le spese del giudizio di impugnazione secondo il principio di soccombenza;
avverso la suindicata pronunzia, ha proposto ricorso per cassazione F.E., affidato a tre motivi, cui hanno resistito l’INPS e l’INAIL, ciascuno con controricorso;
è rimasta intimata l’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 429 e 430 c.p.c., relativamente al mancato rispetto del termine di deposito della motivazione; secondo la parte ricorrente, la motivazione della sentenza doveva rendersi nel termine massimo di giorni sessanta e, dunque, entro il 23.7.2018; è stata, invece, depositata il 3.8.2018;
il motivo è infondato;
i termini previsti, sia in materia civile che in quella penale, per il deposito della sentenza completa di motivazione sono meramente ordinatori e la loro inosservanza – pur potendo, in tesi, essere fonte di responsabilità e rilevare ad altri fini – non determina alcuna ragione di nullità del provvedimento (ex multis, Cass. n. 14194 del 2002; in motiv., Cass., sez.un., n.11655 del 2008, p. 7.3);
con il secondo ed il terzo motivo è dedotta la violazione del principio di soccombenza ex art. 92 c.p.c.;
parte ricorrente imputa alla sentenza l’erronea valutazione dei fatti di causa; assume che, nel caso di specie, era maturata anche la prescrizione decennale sicchè le ragioni della decisione di compensazione risulterebbero errate; la Corte di appello, in ogni caso, non avrebbe dovuto condannare la ricorrente alle spese del secondo grado di giudizio, trattandosi di parte sostanzialmente vittoriosa nel giudizio;
il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono, nel complesso, infondati;
trattandosi di procedimento introdotto il 21.12.2015, trova applicazione il testo dell’art. 92 c.p.c., come novellato dal D.L. n. 132 del 2014; alla stregua di detta disposizione, la compensazione delle spese può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca) nelle ipotesi di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, nonchè – per effetto della sentenza del 7 marzo 2018 n. 77 della Corte Cost. – nelle analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e in quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle ipotesi tipiche espressamente previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2, (Cass. n. 4696 del 2019);
la giustificazione resa dai giudici di merito – e riferita alla pronuncia a sezioni unite n.23397 del 2016, intervenuta nelle more del giudizio – è ipotesi ascrivibile alle “sopravvenienze relative a questioni dirimenti, connotate di pari “gravità” ed “eccezionalità delle fattispecie nominate”, anche secondo l’indicazione esemplificativa fornita dal Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 77 del 2018, p. 15 del considerato in diritto; su fattispecie analoga, v. anche, ord., Cass.. VI Lav. n.3345 del 2020);
la critica mossa dal ricorrente, volta a mettere in discussione la ricostruzione dei fatti di causa, così come la censura che investe l’affermazione di esistenza del contrasto giurisprudenziale – e quindi la valenza nomofilattica della pronuncia in ordine alla questione controversa – si colloca al di fuori del vizio di violazione di legge e risulta pertanto inammissibile. Il sindacato di legittimità, ai fini del vizio denunciato, è limitato, infatti, alla verifica di idoneità in astratto dei motivi posti a giustificazione della pronuncia e dell’adempimento dell’obbligo di motivazione;
inammissibile è, poi, la censura che investe la statuizione sulle spese del giudizio di secondo grado;
la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di regolamento delle spese processuali, il controllo della Suprema Corte è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa; esula, dunque, da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (v., tra le altre, Cass. n. 15217 del 2013, n. 17457 del 2006);
a tali principi si è attenuta la Corte di appello che ha addossato alla parte soccombente (tale era, nel giudizio di appello, l’odierno ricorrente) il peso delle spese processuali;
sulla base delle suesposte considerazioni, il ricorso va, dunque, rigettato, con le spese del giudizio di legittimità liquidate, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, come da dispositivo; nulla si provvede in relazione all’Agenzia delle Entrate che non ha svolto attività difensiva;
sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 8 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020