Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23045 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/10/2017, (ud. 05/07/2017, dep.03/10/2017),  n. 23045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19909-2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. – C.F. (OMISSIS), in persona del Responsabile

della Funzione Risorse Umane Organizzazione e Servizi, elettivamente

domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CENTURIPE,

33, presso lo studio dell’avvocato MATTEO BARREA, rappresentata e

difesa dall’avvocato RAFFAELE IGNAZIO IRMICI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2863/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/07/2017 dal Consigliere Dott. FERNANDES GIULIO.

Fatto

RILEVATO IN DIRITTO

che, con sentenza del 26 agosto 2015, la Corte di Appello di Roma, confermava la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra S.M. e Poste Italiane s.p.a. e relativo al periodo dal 4 maggio al 29 giugno 2002 e, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, condannato la società alla riammissione in servizio del lavoratore; la riformava quanto al capo relativo alla conseguenze risarcitorie della declaratoria di nullità del termine, condannando Poste Italiane al pagamento in favore della S. dell’indennità di cui alla L. 23 dicembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, commisurata in tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre accessori;

che il termine era stato apposto per “esigenze tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”;

che per la cassazione della predetta decisione propone ricorso Poste Italiane affidato a quattro motivi cui resiste con controricorso la S.;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che la S. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.; che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, commi 1 e 2, art. 4, comma 2, 12 Preleggi, artt. 1362 e 1325 e ss. c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la Corte di merito omesso di considerare che le ragioni giustificatrici del termine ben potevano risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi richiamati accessibili alle parti; con il secondo mezzo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) in quanto nulla sarebbe stato detto nella impugnata sulla idoneità della compresenza, in seno al contratto, di più ragioni tra esse non incompatibili a costituire elemento di sufficiente specificazione delle esigenze sottese al contratto; con il terzo motivo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116,244 e 253c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) assumendosi che la Corte territoriale avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova non tenendo conto del mutato quadro normativo di riferimento alla luce del quale il datore di lavoro sarebbe ormai esonerato da ogni onere probatorio circa le ragioni che avevano indotto le parti alla stipula di una contratto a termine, essendo ciò limitato esclusivamente alle esigenze legittimanti la eventuale proroga dello stesso, e, comunque, la sussistenza delle esigenze organizzative poste a fondamento del contratto a termine de quo era dimostrata attraverso il richiamo per relationem al contenuto degli Accordi aziendali indicati nella clausola appositiva del termine; con il quarto mezzo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 253,420e 421 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per non avere la Corte di appello ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta della prova orale formulata dalla società omettendo anche di far ricorso ai poteri ufficiosi in materia di ammissione della prova; che i primi due motivi sono entrambi inammissibili alla luce del principio secondo cui nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano, sicchè è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Cass. Sez. U, n. 16602 del 08/08/2005; successive conformi, ex multis: Cass. n. 21431 del 12/10/2007; Cass. Sez. U, n. 10374 del 08/05/2007); ed infatti, nel caso in esame, la nullità della apposizione del termine al contratto de quo è stata fondata e sulla ritenuta genericità della clausola appositiva del termine e sulla mancata prova da parte di Poste Italiane in ordine alla ricorrenza in concreto, con riferimento all’ufficio di destinazione della S., delle ragioni che avevano motivato l’assunzione a tempo determinato e tale seconda “ratio decidendi”, per quanto appresso si dirà, non risulta incisa dai motivi di ricorso e, dunque, vale da sola a sorreggere la impugnata sentenza;

che il terzo motivo è infondato in quanto la Corte di appello, con congrua motivazione, si è attenuta al principio affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’onere di provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo stesso formulate (vedi per tutte: Cass. 10 febbraio 2010, n. 2279; Cass. 11 dicembre 2012, n. 22716); ed infatti il giudice del gravame ha ritenuto che la società, all’esito della espletata istruttoria, non avesse provato la ricorrenza delle esigenze poste a fondamento dell’apposizione del termine con riferimento all’ufficio di destinazione della lavoratrice;

che, infine, il quarto motivo è inammissibile perchè la censura relativa alla non ammissione della prova testimoniale ed alla mancata attivazione dei poteri di ufficio in materia di prova da parte dei giudici è inconferente con la motivazione in cui si evidenzia che la prova testimoniale espletata in primo grado non aveva confermato la ricorrenza con riferimento all’ufficio cui la S. era stata destinata delle esigenze indicate nella causale della posizione del termine;

che, alla luce di quanto esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della S. nella misura di cui al dispositivo con attribuzione all’avv. Raffaelle Irmici per dichiarato anticipo fattone;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%, con attribuzione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del, sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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