Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23043 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/10/2017, (ud. 05/07/2017, dep.03/10/2017),  n. 23043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18232-2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. – società con socio unico, C.F. (OMISSIS), in

persona del Responsabile della Funzione Risorse Umane Organizzazione

e Servizi, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

P.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8696/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/07/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza del 17 luglio 2015, la Corte di Appello di Napoli, confermava la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra P.M. e Poste Italiane s.p.a. e relativo al periodo dal 1 marzo al 30 aprile 2002 e, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, condannato la società alla riammissione in servizio del lavoratore; la riformava quanto al capo relativo alla conseguenze risarcitorie della declaratoria di nullità del termine, condannando Poste Italiane al pagamento in favore del P. dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, commisurata in tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre accessori;

che il termine era stato apposto per “esigenze tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio e 13 febbraio 2002”;

che per la cassazione della predetta decisione propone ricorso Poste Italiane affidato a quattro motivi;

che il P. è rimasto intimato;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, commi 1 e 2, art. 4, comma 2, art. 12 Preleggi, artt. 1362 e 1325 e ss. c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la Corte di merito omesso di considerare che le ragioni giustificatrici del termine ben potevano risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi richiamati accessibili alle parti; con il secondo mezzo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) in quanto nulla sarebbe stato detto nella impugnata sentenza sulla idoneità della compresenza, in seno al contratto, di più ragioni tra esse non incompatibili a costituire elemento di sufficiente specificazione delle esigenze sottese al contratto; con il terzo motivo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116,244 e 253c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) assumendosi che la Corte territoriale avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova non tenendo conto del mutato quadro normativo di riferimento alla luce del quale il datore di lavoro sarebbe ormai esonerato da ogni onere probatorio circa le ragioni che avevano indotto le parti alla stipula di una contratto a termine, essendo ciò limitato esclusivamente alle esigenze legittimanti la eventuale proroga dello stesso, e, comunque, la sussistenza delle esigenze organizzative poste a fondamento del contratto a termine de quo era dimostrata attraverso il richiamo per relationem al contenuto degli Accordi aziendali indicati nella clausola appositiva del termine; con il quarto mezzo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 253,420 e 421 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per non avere la Corte di appello ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta della prova orale formulata dalla società omettendo anche di far ricorso ai poteri ufficiosi in materia di ammissione della prova;

che tutti i riportati motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati;

che, con riferimento al quadro normativo emerso con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, la consolidata giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279; id. 27 aprile 2010, n. 10033; id. 12 luglio 2010, n. 16303; id. 25 maggio 2012, n. 8286), privilegiando la scelta del legislatore europeo di ampliare la considerazione delle fattispecie legittimanti l’apposizione del termine, ha concesso un’importante apertura, ritenendo possibile che la specificazione delle ragioni giustificatrici risulti dall’atto scritto non solo per indicazione diretta, ma anche per relationem, ove le parti abbiano richiamato nel contratto di lavoro testi scritti che prendono in esame l’organizzazione aziendale e ne analizzano le complesse tematiche operative;

che, nel caso in esame, la ricorrente sostiene di aver precisato nell’atto scritto di assunzione, dopo alcuni generici riferimenti ai processi di riorganizzazione aziendale, le “esigenze tecniche, organizzative e produttive” attraverso il richiamo alla attuazione delle previsioni di cui agli accordi richiamati in contratto e costituenti un momento di esame comune delle parti sindacali delle esigenze organizzative;

che, invece, la Corte territoriale, con valutazione correttamente motivata e priva di vizi logico – giuridici, ha escluso la sussistenza di tali presupposti, sulla base dell’esame di ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi i predetti accordi collettivi effettuando altresì, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (vedi le citate sentenze 2279 del 2010 e n. 6974 del 2013) l’analisi delle pattuizioni collettive richiamate per relationem; in particolare, ha ritenuto che la società non ha assolto l’onere probatorio a suo carico in quanto si è limitata a dimostrare l’esistenza in generale di un processo di mobilità interna, ma non ha fornito alcuna prova dell’incidenza di tale situazione anche sull’ufficio in cui il P. aveva lavorato e sulla misura di tale incidenza, precisando, altresì, che all’uopo non era utile la prova testimoniale articolata perchè generica sicchè la contestazione finisce con il risolversi nella inammissibile prospettazione di un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti;

che, peraltro, la Corte di appello, con congrua motivazione, si è attenuta al principio affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’onere di provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo stesso formulate (vedi per tutte: Cass. 10 febbraio 2010, n. 2279; Cass. 11 dicembre 2012, n. 22716);

che, infine, quanto alla censura relativa alla mancata attivazione dei poteri di ufficio in materia di prova da parte dei giudici, si rileva che la società non specifica se in proposito abbia tempestivamente invocato tale esercizio, con la necessaria indicazione dell’oggetto possibile degli stessi (Cass. n. 22534 del 23/10/2014; Cass. n. 6023 del 12/03/2009) ciò anche in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso;

che, alla luce di quanto esposto, il ricorso va rigettato;

che non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio essendo il P. rimasto intimato;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso, nulla per le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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