Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23041 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/10/2017, (ud. 05/07/2017, dep.03/10/2017),  n. 23041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12849-2016 proposto da:

ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’ABRUZZO E DEL MOLISE G.

C., in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio

dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCO DI TEODORO;

– ricorrente –

contro

M.A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE, 38, presso lo studio dell’avvocato BARBARA AQUILANI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SIGMAR FRATTARELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1185/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/07/2017 dal Consigliere Dott. FERNANDES GIULIO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza del 19 novembre 2015, la Corte di Appello di L’Aquila confermava la decisione del Tribunale di Teramo che, accogliendo la domanda proposta da M.A.G. nei confronti dell’Istituto Zooprofillatico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. C.”, aveva dichiarato la illegittimità di cinque provvedimenti disciplinari irrogati al M. annullandoli, rigettato la domanda di inquadramento nella qualifica di dirigente medico veterinario con decorrenza giuridica dal 1 marzo 2000 riconoscendo solo le differenze retributive derivanti dallo svolgimento di fatto della mansioni di medico veterinario e condannato l’Istituto al risarcimento in favore del ricorrente del cd. danno differenziale quale conseguenza della ritenuta condotta vessatoria del datore di lavoro;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’Istituto affidato a tre motivi cui resiste il M. con controricorso;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto l’impugnata sentenza era fondata su una motivazione apparente in cui non era dato individuare quali fossero le circostanze poste a fondamento della decisione; con il secondo motivo viene lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 1218 e 2087 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonchè omesso esame circa un fatto decisione per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la Corte territoriale ritenuto ricorrente una ipotesi di “mobbing” considerando le sanzioni disciplinari illegittime irrogate la M. pretestuose – mentre tali non erano come dimostrato dal fatto che le medesime erano state valutate legittime dal giudice della fase cautelare – e facendo riferimento ad altri comportamenti di carattere persecutorio tenuti dal datore di lavoro senza indicare quali fossero, adottando in tal modo una motivazione apparente o manifestamente illogica ed omettendo qualsiasi indagine sull’elemento soggettivo – costituito dall’intento persecutorio e vessatorio del datore di lavoro – indispensabile per la configurabilità del “mobbing”; con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) perchè il giudice del gravame aveva prestato acritica adesione alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado del tutto illogica e contraddittoria anche rispetto alle conclusioni della relazione psichiatrica redatta dal Dott. C., cui il consulente si era affidato, secondo la quale il disturbo riscontrato nel M. era “secondario all’insorgenza di condizioni avversative sul luogo di lavoro”, omettendo di considerare le censure mosse a detta consulenza nel gravame;

che il primo motivo è infondato in quanto la motivazione dell’impugnata sentenza esiste, non è apparente nè le argomentazioni risultano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum”; ed infatti, la Corte di appello ha ritenuto che “…dalla documentazione allegata e dalla prova per testi espletata…” era risultato che il M. aveva svolto le funzioni tipiche del medico veterinario “…essendogli stata richiesta la sterilizzazione degli animali, gli interventi nel canile di cui sopra per la cura e la somministrazione delle terapie, la responsabilità del registro dei medicinali, la frequentazione di un corso di specializzazione medica…”; peraltro, è il caso di evidenziare che a seguito della riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella interpretazione fornitane dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014 – il vizio di motivazione insufficiente non è più censurabile;

che inammissibile è il secondo motivo perchè – nonostante il formale richiamo a violazioni di legge contenuto nell’intestazione finisce col sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione; invero, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003); inoltre, laddove viene dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, comma 1, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile, come sopra già detto;

che del pari inammissibile è il terzo motivo (cfr. Cass. n. 8053 del 7 aprile 2014, cit.) in quanto viene denunciato non l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia) bensì l’omesso esame di alcune censure mosse nell’appello alla consulenza tecnica espletata in primo grado; inoltre, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, valgono le considerazioni già sopra espresse in merito alla infondatezza della censura (la motivazione esiste) e alla inammissibilità del vizio di motivazione insufficiente;

che, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo in favore del controricorrente;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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