Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2304 del 01/02/2010

Cassazione civile sez. II, 01/02/2010, (ud. 20/10/2009, dep. 01/02/2010), n.2304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9956-2005 proposto da:

D.L.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIACOMAZZO ROSARIA;

– ricorrente –

contro

INGEGNERE CAPO DEL DISTRETTO MINERARIO CALTANISSETTA elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 123/2004 del TRIBUNALE di SCIACCA, depositata

il 08/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2009 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.L.C. impugna la sentenza del tribunale di Sciacca n. 123 del 2004, depositata l’8 marzo 2004 e non notificata, che rigettava la sua opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 07 del 2001 emessa dal distretto minerario di Caltanissetta con la quale veniva richiesto il pagamento della somma di Euro 20.709,02 per esercizio di cava abusiva. A sostegno dell’opposizione deduceva di essere venuta a conoscenza dell’illecito esercizio della cava abusiva esercitata sul proprio terreno a seguito di comunicazione avuta dei vigili urbani di Ribera il 13 gennaio 2001 e che nella stessa giornata aveva sporto denuncia-querela contro ignoti per tali fatti.

Aggiungeva di non aver mai autorizzato tali escavazioni e di averne anche ignorato l’esistenza, in quanto dalla morte del marito avvenuta tre anni prima e stante la sua avanzata età nessuno si era più occupato del terreno che era in totale stato di abbandono, sebbene regolarmente recintato. Aggiungeva ancora che la recinzione era stata divelta nella parte adiacente il piazzale di cava.

Il tribunale di Sciacca rigettava l’opposizione, rilevando che ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6 l’opponente, pur avendo dimostrato che l’uso della cava era avvenuto a sua insaputa, non aveva invece provato che era avvenuto contro la sua volontà.

La ricorrente formula due motivi di ricorso. Resiste con controricorso l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Motivi del ricorso:

Col primo motivo parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 e art. 23, comma 13.

Rileva che l’art. 6 prevede la responsabilità del proprietario della cosa che servì a commettere la violazione, in solido con l’autore dell’infrazione, “se non prova che la cosa era stata utilizzata contro la sua volontà”. Ritiene la ricorrente che erroneamente il giudice del tribunale di Sciacca aveva ritenuto che comunque l’attività era stata svolta non contro la sua volontà pur avendo affermato che era invece avvenuta a sua insaputa, visto che la recinzione risultava danneggiata e divelta proprio nella parte corrispondente all’esercizio della cava. La recinzione del fondo non poteva non configurare una concreta e specifica attività oppositiva volta a vietare ed impedire, con atti idonei, che terzi potessero accedere al fondo e svolgervi attività contro legge. Nè del resto la volontà contraria all’abusiva utilizzazione del fondo deve essere dimostrata attraverso la condotta positiva di contrasto o di impedimento alla utilizzazione del bene.

Col secondo motivo di ricorso viene dedotta la omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Lamenta la ricorrente che il tribunale, pur avendo affermato che dalle prove raccolte era emerso che il terreno era recintato e che una parte della recinzione risultava divelta nella parte adiacente al piazzale di cava, aveva omesso di pronunciarsi su tale punto decisivo.

I due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi.

Il ricorso appare fondato sotto il profilo del dedotto vizio di motivazione. Infatti, il Tribunale, pur avendo correttamente applicato i principi affermati da questa Corte al riguardo ed avendo anche riferito che dagli accertamenti effettuati era risultato, tra l’altro, che “una parte della recinzione risultava divelta nella parte adiacente al piagale di cava” non ha motivato adeguatamente in ordine alla valenza di tale elemento probatorio in ordine alla esclusione di responsabilità, apparendo tale circostanza di non trascurabile rilievo in relazione alle circostanze del caso concreto.

Il Tribunale ha, infatti, affermato che parte ricorrente “non ha fornito la prova di aver tenuto un comportamento che integrasse la manifestazione obiettiva del divieto a che terzi utilizzassero illecitamente il fondo di sua proprietà” senza adeguatamente considerare l’esistenza della recinzione (che di per sè manifesta la volontà del proprietario di escludere a terzi l’accesso al fondo, e di conseguenza qualsiasi uso dello stesso) e la circostanza che quest’ultima età stata divelta all’insaputa della ricorrente, senza valutare, ai fini della necessaria vigilanza da parte di quest’ultima, il tempo eventualmente trascorso dal momento della scoperta dell’accesso abusivo al fondo e quello in cui tale accesso aveva avuto inizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altro magistrato del Tribunale di Sciacca, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010

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