Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23039 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/10/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 22/10/2020), n.23039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18850-2019 proposto da:

M.G., B.C., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA EUSTACHIO MANFREDI 8, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE VIRBANI, rappresentati e difesi dall’avvocato EMANUELE

MAGANUCO;

– ricorrenti –

contro

C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata

dall’avvocato MARIO FRANCESCO GAETANO COSENZA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/2019 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 02/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Caltanissetta confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva rigettato le domande proposte da M.G. e B.C., coniugi, dirette a ottenere la condanna di C.R. al pagamento di somme a titolo di differenze retributive per lavoro ordinario e straordinario, ferie non godute e altri emolumenti maturati nel corso dei rapporti di lavoro che entrambi i ricorrenti avevano intrattenuto con la predetta dal 1/4/2008 sino al 28/2/2012;

la Corte territoriale riteneva fondata la prospettazione di parte resistente che negava l’esistenza di un rapporto di lavoro tra le parti, essendosi costituito tra le stesse altro e diverso negozio in base al quale i ricorrenti, “cessionari”, al fine di non dichiarare ai Monopoli il cambio di gestione della rivendita di tabacchi di cui era titolare la C., si erano impegnati ad amministrare l’esercizio in nome e per conto della cedente, tanto da essere autorizzati a operare sul conto corrente aziendale, riconoscendo poi alla C. un corrispettivo in percentuale sugli utili netti;

avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione M.G. e B.C. sulla base di tre motivi;

C.R. resiste con controricorso. Illustrato con memoria;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 1414 c.c., comma 2, artt. 2256 e 2725 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente considerato ammissibile la prova per testi richiesta dalla resistente, ritenendo che tra le parti fosse intercorso un contratto diverso da quello di affitto di azienda, per il quale è richiesta la forma scritta ad probationem, e dando corso a un mezzo di prova inammissibile;

con il secondo motivo deducono nullità del procedimento di primo grado per violazione dell’art. 420 c.p.c., poichè la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto inammissibili le prove articolate in funzione della subordinazione;

con il terzo motivo deducono l’erronea statuizione sulle spese del giudizio stante la fondatezza della pretesa;

il primo motivo è infondato, poichè appare corretto il ragionamento della Corte d’appello che riconduce ai ricorrenti l’onere probatorio in ordine alla sussistenza della subordinazione, essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa (tra le tante, Cass. n. 24328 del 16/10/2017), e ritiene ammissibile la prova chiesta dalla C. al fine di negare la natura subordinata dei rapporti intercorsi tra le parti, prova avente comunque ad oggetto l’esistenza tra le stesse di “un negozio per il quale alcun elemento dimostra rientrare esso nel novero dei negozi per i quali è richiesta la forma scritta ad probationem”;

non ravvisandosi alcuna violazione dell’onere probatorio, ne residua l’insindacabilità in sede di legittimità dell’identificazione degli elementi costitutivi dell’attività negoziale e delle finalità pratiche perseguite dalle parti compiuta dal giudicante, su cui si appunta la censura, risolvendosi in un apprezzamento di mero fatto riservato al giudice di merito (Cass. n. 9996 del 10/04/2019);

va ricordato che è principio consolidato quello in forza del quale la qualificazione giuridica del rapporto come subordinato o no effettuata dal giudice del merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura autonoma o subordinata, mentre l’accertamento degli elementi di fatto che determinano la sussistenza del parametro in concreto costituisce apprezzamento di fatto insindacabile (Cass. n. 9808 del 04/05/2011 e molte altre conformi);

il secondo motivo è inammissibile poichè non si indicano specificamente, nè si trascrivono, i capitoli di prova che si assumono trascurati, e neppure si indicano, con sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, i documenti prodotti asseritamente significativi, al fine di poterne vagliare la decisività in termini probatori (si veda, con riferimento alle testimonianze, Cass. 19985 del 10/8/2017, con riguardo ai documenti, Cass. 5487 del 7/3/2018);

il terzo motivo resta sostanzialmente assorbito in ragione dell’esito degli altri;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza e distrazione in favore del difensore di parte controricorrente che ne ha fatto richiesta.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore anticipatario della controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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