Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23039 del 17/08/2021

Cassazione civile sez. I, 17/08/2021, (ud. 06/07/2021, dep. 17/08/2021), n.23039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25977-2020 r.g. proposto da:

O.L.L., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Andrea Maestri, con cui elettivamente domicilia in Roma Viale di

Vigna Pia, n. 60, presso lo studio dell’Avv. Ivan Pupetti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del legale rappresentante pro

tempore il Ministro, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura

generale dello Stato presso i cui Uffici in Via dei Portoghesi è

elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata in

data 14/10/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

6.7.20121 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. O.L.L., cittadino (OMISSIS), propose ricorso in data 22 luglio 2016 avverso il decreto del Questore di Cesena del 19 maggio 2016, con il quale era stata rigettata l’istanza volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, sulla base della allegata circostanza che era padre di minore italiano, O.L.G., ed avuto riguardo al preminente interesse alla conservazione del rapporto affettivo con quest’ultimo.

2. Il Tribunale di Forlì, con ordinanza del 6 giugno 2007, rigettò il ricorso.

3. Avverso tale provvedimento ha proposto appello O.L.L. nei confronti del Ministero dell’Interno e l’adita Corte di appello di Bologna, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato il gravame, confermando pertanto l’ordinanza resa dal primo giudice.

La corte del merito – dopo aver precisato che al caso di specie non era applicabile il D.Lgs. n. 30 del 2007 (avendo il richiedente richiesto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di famiglia D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 30, comma 1, lett. d) – ha ritenuto che il giudizio di pericolosità del ricorrente, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5 medesimo decreto, dovesse risolversi in senso negativo, posto che il richiedente era gravato da precedenti penali per detenzione illecita di stupefacenti, per ricettazione, per lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale, risalenti al periodo (OMISSIS), precedenti che evidenziavano un notevole spessore criminale del ricorrente e la sua insofferenza al rispetto delle regole; ha osservato che più, recentemente, con sentenza del 7 marzo 2014, era stata applicata al ricorrente la pena di un anno, un mese e dieci giorni di reclusione sempre per il reato di cessione illecita di stupefacenti, evidenziandosi così la mancata interruzione da parte del ricorrente del rapporto con ambienti criminali dediti a traffici illeciti; ha altresì evidenziato che l’ O. aveva svolto regolare attività lavorative solo per un periodo di 45 giorni e che attualmente non disponeva di mezzi economici con il quale sostenersi; ha osservato che in realtà l’interesse alla sicurezza pubblica prevaleva, nel caso in esame, sugli interessi personali del ricorrente al ricongiungimento familiare, risultando di modesta valenza il suo legame genitoriale e la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale.

2. La sentenza, pubblicata il 14.9.2020, è stata impugnata da O.L.L. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo ed unico motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 3, 1 comma, Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 (ratificata con L. n. 176 del 1991), dell’art. 8 Cedu, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, artt. 2,4,5,13 e 28. Si evidenzia che la corte di appello non avrebbe svolto alcuno scrutinio, in termini di attualità e di concretezza, sui legami familiari tra padre e minore ed il gravissimo pregiudizio a quest’ultimo che determinerebbe l’allontanamento del padre, avendo la corte di merito ritenuto di “modesta valenza” i dedotti legami familiari e allo stesso modo la permanenza in Italia del ricorrente che invece vi aveva soggiornato per 20 anni.

1.1 Il ricorso è infondato.

Sul punto va subito evidenziato che il provvedimento impugnato si è conformato ai principi espressi da questa Corte nella materia qui in esame. E’ stato infatti affermato che, per effetto delle modifiche introdotte, con il D.Lgs. n. 8 gennaio 2007, n. 5, art. 4, comma 3 e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 5 (cui è stato anche aggiunto il comma 5 bis), in caso di richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare non è più prevista l’applicabilità del meccanismo di automatismo espulsivo, in precedenza vigente, che scattava in virtù della sola condanna del richiedente per i reati identificati dalla norma (nella specie, in materia di stupefacenti), sulla base di una valutazione di pericolosità sociale effettuata “ex ante” in via legislativa, occorrendo, invece, per il diniego, la formulazione di un giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto, il quale induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi di valutazione contenuti nel novellato D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 5 (la natura e la durata dei vincoli familiari, l’esistenza di legami familiari e sociali con il paese d’origine e, per lo straniero già presente nel territorio nazionale, la durata del soggiorno pregresso). Ne consegue che è onere dell’autorità amministrativa e, successivamente, dell’autorità giurisdizionale, al fine di non incorrere nel vizio di motivazione, di esplicitare le ragioni della pericolosità sociale, alla luce dei parametri normativi sopra evidenziati (Sez. 1, Ordinanza n. 8795 del 15/04/20115ez. 1, Sentenza n. 19957 del 29/09/2011).

Orbene, il provvedimento impugnato ha invero correttamente elencato una serie di indici di pericolosità sociale del ricorrente (individuati nella commissioni di numerosi e reiterati gravi reati e nella mancanza di redditi leciti con cui giustificare la sua sussistenza sul territorio nazionale), a fronte dei quali ha ritenuto recessivo l’interesse alla coesione familiare, anche in ragione della mancata dimostrazione di un saldo legame affettivo con il figlio e con la famiglia residente in Italia.

A fronte di questa chiara motivazione, il motivo di censura qui in esame è stato articolato in modo generico, con la sola indicazione delle asserite violazioni di legge allegate e senza chiarire – come sarebbe stato invece doveroso – l’effettività del legame genitoriale con il figlio minore e con il coniuge residente in Italia, con ciò condannando la censura così proposta a sicuro insuccesso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. Non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater perché il processo è esente da contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.1000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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