Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23038 del 17/08/2021

Cassazione civile sez. I, 17/08/2021, (ud. 06/07/2021, dep. 17/08/2021), n.23038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25947-2020 r.g. proposto da:

A.F., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Andrea

Maestri, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in

Ravenna, Via Meucci n. 7;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del legale rappresentante pro

tempore il Ministro, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura

generale dello Stato presso i cui Uffici in Via dei Portoghesi è

elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata in

data 4.9.2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

6/7/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. A.F., con ricorso depositato innanzi al Tribunale di Bologna in data 8 marzo 2018, chiese all’adito tribunale di annullare il decreto n. 212/2017 del 5 ottobre 2017 con il quale il Questore di Ravenna aveva dichiarato irricevibile l’istanza presentata dall’odierno ricorrente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari.

2. Il Tribunale di Bologna, con ordinanza datata 25 luglio 2018, rigettò la domanda.

3. Proposto gravame, la Corte di appello di Bologna, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello proposto da A.F. nei confronti del Ministero dell’Interno, confermando pertanto l’ordinanza gravata.

La corte del merito ha ritenuto che: a) era inammissibile il primo motivo di censura, posto che con il gravame la ricorrente si era limitata a impugnare l’operato della questura, omettendo di censurare il provvedimento impugnato in ordine all’affermata insussistenza del diritto del richiedente al ricongiungimento familiare; b) palesemente infondato risultava essere anche il secondo motivo di appello, stante l’inconferenza del richiamo al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 5, posto che la detta disposizione non esonera, nel caso di richiesta di ricongiungimento dei genitori di cittadino straniero, dalla verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 29, comma 3, lett. a e b medesimo D.Lgs., e che il predetto art. 5, comma 5, può venire in rilievo solo allorché lo straniero, per il quale venga richiesto il ricongiungimento familiare, sia gravato da precedenti penali astrattamente ostativi al rilascio del permesso di soggiorno; c) infondate erano anche le ulteriori censure rivolte alla statuizione impugnata laddove la stessa aveva evidenziato che nessuno dei due figli della richiedente disponesse del reddito minimo, richiesto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 29, comma 3, lett. b, , da quantificarsi nell’importo pari ad Euro 20.387,175, non avendo la ricorrente nulla dimostrato in ordine al reddito percepito dal figlio A.S. ed essendo emerso che l’altro figlio, A.E., disponeva di un reddito pari ad Euro 17.860 annuo; d) infondato doveva ritenersi anche il terzo motivo di gravame, non essendo condivisibile la tesi secondo cui non sarebbe stata necessaria, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 29, comma 3, lett. a, la produzione documentale attestante la disponibilità di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari e dotato di idoneità abitativa, non avendo l’appellante prodotto alcuna documentazione attestante i requisiti previsti dalla norma da ultimo citata in relazione alle abitazioni nella disponibilità dei figli, ed essendo, invece, irrilevante la produzione documentale riguardante un attestato di conformità igienico-sanitaria di un immobile sito in (OMISSIS), di proprietà di una cittadina polacca che non risultava avere rapporti di alcun genere con la richiedente; e) infondato doveva ritenersi anche il quarto motivo di impugnazione, che riguardava la condivisibile affermazione del primo giudice in ordine all’irrilevanza delle condizioni di salute della richiedente, non essendo stato dimostrato l’inoltro di domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di salute ovvero per ragioni umanitarie.

2. La sentenza, pubblicata il 4.9.2020, è stata impugnata da A.F. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui il MINISTERO DELL’INTERNO ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo ed unico motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2,3 e 32 Cost., dell’art. 8Cedu, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, commi 5 e 6, artt. 28,29,30. Si evidenzia che la corte di appello avrebbe errato nel ritenere che il disposto normativo di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 5, verrebbe in rilievo solo nell’ipotesi in cui lo straniero sia gravato da precedenti penali astrattamente ostativi ex art. 4 TUI, mentre la più corretta esegesi della norma pretenderebbe la sua applicazione in tutti i casi di rifiuto del rilascio, di revoca e diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, come nel caso in esame ove si discute del rifiuto del permesso di soggiorno per ragioni familiari, con ciò dovendosi sempre tenere in considerazione l’effettività dei legami familiari per evitare il sacrificio del fondamentale diritto all’unità familiare che trova tutela anche nel diritto convenzionale (art. 8 CEDU). Si evidenzia, inoltre, come erronea la motivazione impugnata laddove aveva ritenuto irrilevanti le condizioni di salute della ricorrente al fine di valutare la legittimità del diniego della richiesta di permesso di soggiorno.

1.1 Il motivo di ricorso così articolato è inammissibile perché trascura di censurare le rationes decidendi principali del provvedimento impugnato che si fondano sullo scrutinio della mancanza dei presupposti applicativi di cui all’art. 29, comma 3, lett. a e b TUI, e cioè la mancanza di un alloggio idoneo e del reddito minimo.

Sul punto giova ricordare che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi” (cfr. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9752 del 18/04/2017; Sez. 5 -, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 18119 del 31/08/2020).

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. Non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater perché il processo è esente da contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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