Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23038 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. I, 07/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 07/11/2011), n.23038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SILVANA E VINCENZO ABBIGLIAMENTO DI PANGRAZI SILVANA S.N.C. (C.F.

(OMISSIS)), in persona del Liquidatore pro tempore, nonchè

L.V. e P.S. in nome proprio,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso

l’avvocato DE ANGELIS LUCIO, che li rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

INTESA GESTIONE CREDITI S.P.A., CASSA DI RISPARMIO Di RIETI S.P.A.;

– Intimati –

sul ricorso 15957-2006 proposto da:

CASTELLO GESTIONE CREDITI S.R.L. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità

di mandataria della Intesa Gestione Crediti S.p.a., in persona dei

procuratori pro tempore, CASSA DI RISPARMIO DI RIETI S.P.A. (C.F.

(OMISSIS)), in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

REGINA MARGHERITA 217 -SC.D, P.3, presso l’avvocato FALIVENE FILIPPO,

che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

SILVANA E VINCENZO ABBIGLIAMENTO DI PANGRAZI SILVANA S.N.C., in

persona del Liquidatore pro tempore, nonchè L.V. e

P.S. in nome proprio, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso l’avvocato DE ANGELIS LUCIO, che

li rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso al

ricorso incidentale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 5100/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/11/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato DE ANGELIS LUCIO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per il rigetto del ricorso

incidentale e accoglimento per quanto di ragione del ricorso

principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Roma revocava il decreto ingiuntivo opposto dalla s.n.c. Silvana e Vincenzo Abbigliamento di Pangrazi Silvana s.n.c. e dai fideiussori L.V. e P.S., e determinava il credito a favore della Cassa di Risparmio di Rieti in Euro 32.486,08. Il Tribunale riteneva illegittima la clausola di applicazione degli interessi in via indeterminata, secondo quelli applicati su piazza, e di capitalizzazione trimestrale, e determinava il dovuto applicando gli interessi legali e la capitalizzazione annuale. La Corte d’appello, con sentenza 12/7-24/11/2005, ha respinto l’appello proposto dalla società e dai fideiussori.

La Corte romana, rilevato in primis che la procura apposta dal liquidatore della società andava riferita sia allo stesso come fideiussore che come liquidatore, nel merito, ha ritenuto infondate le doglianze degli appellanti, relative all’applicazione di spese non dovute e alle inesatte date della valuta.

Quanto alla discrasia tra data di annotazione delle singole poste e data in cui in concreto l’operazione aveva determinato effetti giuridici, la Corte del merito ha rilevato che il C.T.U. non aveva riscontrato irregolarità; inoltre, gli errori eventuali sulle annotazioni, costituenti mere irregolarità, ove sussistenti, avrebbero dovuto essere contestate nei sei mesi dall’invio dell’estratto conto; poco credibile è l’eccezione della parte, di non avere mai ricevuto detti estratti, oltre che in contrasto con quanto dichiarato dagli opponenti con l’atto di opposizione; infine, le valute applicate risultano dall’art. 7 della convenzione.

Quanto alle spese amministrative per la tenuta del conto, conclude la Corte del merito, le stesse sono modeste, previste in convenzione e per legge, ex art. 1826 c.c. Ricorrono la società Silvana e Vincenzo Abbigliamento di Pangrazi Silvana s.n.c. in liquidazione, nonchè L.V. e P.S. in proprio, sulla base di sei motivi.

Resistono Castello Gestione Crediti s.r.l., quale mandataria della Intesa Gestione Crediti s.p.a. e la Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a. con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato.

I ricorrenti hanno depositato controricorso al ricorso incidentale.

Ambedue le parti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa decisione sul secondo motivo d’appello, nonchè violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (art. 342 c.p.c., comma 1), per mancanza assoluta di motivazione sul secondo motivo d’appello e su punti decisivi.

I ricorrenti fanno presente di avere dedotto, con il secondo motivo di appello, che la Banca, attrice in senso sostanziale, aveva prodotto solo una parte degli estratti conto, per lo più relativi al periodo finale del rapporto (a partire dal 30/6/94), necessari invece nella loro completezza, per poter detrarre le poste contabili illegittime, tra l’altro, per gli interessi ultralegali indebitamente applicati, con ricalcolo ab initio delle somme realmente dovute, ove esistente un credito della Banca.

1.2.- Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa decisione sul terzo motivo d’appello, della violazione dell’art. 1283 c.c., dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 342 c.p.c., comma 1, per mancanza assoluta di motivazione sul terzo motivo d’appello e su punti decisivi.

Con il terzo motivo d’appello, gli odierni ricorrenti avevano fatto valere l’illegittimità di ogni tipo di anatocismo, anche solo annuale; la Corte del merito ha omesso ogni decisione e qualsiasi motivazione sulle censure in oggetto, che avrebbero comportato una nuovo e diverso calcolo delle singole poste contabili, da effettuarsi ab initio.

1.3.- Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, in relazione agli artt. 1832 e 1857 c.c., nonchè al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119; l’illogicità e, comunque, la mancanza di motivazione sul preteso rilievo probatorio della richiesta di un “piano di rientro” di natura transattiva respinto dalla Banca, ai fini della prova del credito contestato.

Entrambe le argomentazioni addotte dalla Corte del merito per ritenere provato l’invio degli estratti conto e la mancata contestazione degli stessi nei termini prescritti (ovvero, la durata quinquennale del rapporto e la proposta di rientro formulata dagli attuali ricorrenti), sono inconcludenti rispetto al thema probandum, richiedendosi, ai fini della preclusione, l’invio di un estratto di chiusura completo ed esaustivo.

1.4.- I ricorrenti si dolgono con il quarto motivo della violazione e falsa applicazione dell’art. 1832 c.c. in relazione all’art. 1857 c.c., della L. n. 154 del 1992, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, comma 3, dell’art. 2033 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.; della mancanza di motivazione sugli specifici motivi di gravame dedotti dagli attuali ricorrenti e su risultanze decisive.

La Corte d’appello ha qualificato come mere “irregolarità” le abusive operazioni di addebito, che si sottraggono sia alla preclusione breve dei 60 gg., sia a quella di sei mesi, riservata al ben diverso caso di errori o duplicazioni di computo.

1.5.- I ricorrenti censurano con il quinto motivo la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 154 del 1992, art. 4, commi 1 e 3, e art. 7, D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 4, e art. 120, comma 1, art. 1284 c.c., comma 3; per omesso esame degli artt. 4 e 7 della convenzione di c/c e della C.T.U. espletata.

La Corte d’appello ha reso motivazione solo apparente sulle valute applicate, richiamando la previsione di cui all’art. 7 della convenzione di c/c ed il mancato rilievo di “irregolarità” da parte del C.T.U.; si imponeva invece l’esame diretto della questione strettamente giuridica, che non poteva essere demandata al C.T.U., degli abnormi aumenti di interessi, per le fittizie decorrenze delle valute ed indebite applicazioni di maggiorazioni speciali del tasso (commissioni di massimo scoperto); il C.T.U. ha recepito supinamente le determinazioni della Banca sulle valute, così come per le commissioni di massimo scoperto e per le spese.

1.6.- Con il sesto motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1826 e 2033 c.c., L. n. 154 del 1992, art. 4, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 4 e comma 7, lett. b); mancanza di motivazione ed omesso esame di risultanze decisive e della C.T.U. In tesi, la sentenza impugnata è erronea anche in ordine alle spese “forfettarie”, “spese vive” e di “chiusura” via via addebitate, sicuramente illegittime.

2.1.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, i controricorrenti denunciano vizio di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2266, 2293 c.c. e degli artt. 2290 e 2310 c.c., nonchè degli artt. 1363 e 1324 c.c.; deducono la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt.83, 84 e 75 c.p.c., nonchè degli artt. 125, 163 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso.

La Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello della Silvana e Vincenzo Abbigliamento di Lucarelli Vincenzo e Pangrazi Silvana s.n.c in liquidazione per difetto di procura, non tenendo presente il testo della stessa, misconoscendo il principio di autonomia della società rispetto ai soci, travisando il criterio della interpretazione complessiva di cui all’art. 1363 c.c., applicabile agli atti unilaterali come la procura, ex art. 1342 c.c. 3.1.- I due ricorsi vanno riuniti, ex art. 335 c.p.c. ed in relazione agli stessi va rilevato che non trova applicazione la normativa di cui all’art. 366 bis c.p.c., come inserito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata anteriormente alla data di entrata in vigore del detto decreto, restando peraltro del tutto irrilevante che sia nel ricorso principale che nell’incidentale, siano stati formulati i quesiti di diritto.

3.2.- Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, in quanto strettamente collegati, vanno esaminati congiuntamente.

Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano l’omissione di decisione e di motivazione sul primo motivo dell’appello dagli stessi proposto, e con il secondo, l’omissione di decisione, il vizio di violazione di legge e di omessa motivazione sul secondo motivo d’appello e su punti decisivi, puntualmente ritrascrivendo, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, i due motivi di gravame (il primo, con cui gli appellanti hanno chiesto la reiezione della domanda della Banca, per difetto di prova, attesa la mancata produzione di tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto, necessari per potere detrarre le poste contabili illegittime, ricalcolando ab initio le somme realmente dovute; il terzo, con cui hanno denunciato l’illegittimità di ogni tipo di anatocismo, anche solo annuale, con conseguente ricalcolo delle singole poste). Va premesso che il rapporto di conto corrente di cui si tratta si è protratto dal 4/2/92 al 21/4/97, quindi si è svolto e chiuso prima della entrata in vigore del D.Lgs. n. 342 del 1999, con cui è stato modificato il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 120; non è quindi applicabile la disciplina dettata in attuazione della richiamata normativa dalla Delib. 9 febbraio 2000 del Comitato Interministeriale per il credito e il risparmio, Cicr; perciò, anche per effetto della declaratoria di incostituzionalità del D.Lgs. n. 342, art. 25, comma 3, pronunciata dalla Corte cost. con la sentenza 425/2000, la disciplina di riferimento è quella anteriore al 22 aprile 2000, data di entrata in vigore della Delib. Cicr.

Ciò posto, va rilevato che, come affermato nelle pronunce 13649/2005 e 11844/2006, non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione connessa ad una prospettata tesi difensiva o ad un’eccezione di nullità, ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio, quando debba ritenersi che tali questioni siano state esaminate e decise, sia pure con pronuncia implicita della loro irrilevanza o infondatezza, in quanto superate e travolte, anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di altra questione, il cui esame comporti e presupponga, come necessario antecedente logico giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza.

Nella specie, è agevole rilevare che la questione sollevata dagli appellanti, di insufficienza degli estratti conto prodotti, deve ritenersi implicitamente superata dalla Corte del merito con il ritenere provato presuntivamente l’invio e la recezione degli stessi;

quanto alla prospettata nullità della capitalizzazione anche solo annuale, la stessa costituisce mera difesa, sicchè sulla stessa non è ammissibile la censura di omessa pronuncia.

E’ invece da ritenersi fondata la censura di difetto di motivazione, in relazione alla eccezione di difetto di prova, per insufficienza degli estratti conto prodotti, avendo la Corte del merito omesso di motivare sulla specifica censura di cui al secondo motivo d’appello, nè potrebbe questa Corte valutare la completezza della documentazione prodotta dalla Banca, come sostenuto dalle controricorrenti, trattandosi di accertamento di fatto.

Quanto alla eccezione di nullità della capitalizzazione annuale, sussiste il vizio di violazione di legge, alla stregua della recente pronuncia delle S.U., n. 24418 del 2010, che sul punto ha rilevato che: “Del resto, non è il caso di tacere che neppure potrebbe esser condivisa la tesi secondo la quale le ragioni di nullità individuate dalla giurisprudenza di questa corte per le clausole di capitalizzazione degli interessi debitori registrati in conto corrente investirebbero solo il profilo della loro periodizzazione trimestrale. Detta giurisprudenza, come è noto, ha escluso di poter ravvisare un uso normativo atto a giustificare, nel settore bancario, una deroga ai limiti posti all’anatocismo dall’art. 1283 c.c.: ma non perchè abbia messo in dubbio il reiterarsi nel tempo della consuetudine consistente nel prevedere nei contratti di conto corrente bancari,la capitalizzazione trimestrale degli indicati interessi, bensì per difetto del requisito della “normatività” di tale pratica. Sarebbe, di conseguenza, assolutamente arbitrario trarre la conseguenza che, nel negare l’esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi normativi di capitalizzazione annuale. Prima che difettare di “normatività”, usi siffatti non si rinvengono nella realtà storica, o almeno non nella realtà storica dell’ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del secolo passato: periodo caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata però dalla opinio iuris ac necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto anche una consuetudine ai capitalizzazione annuale degli interessi debitori, nè di necessario bilanciamento con quelli creditori”.

Atteso l’accoglimento della censura di violazione di legge, rimane assorbita la censura di vizio di motivazione, sollevata a riguardo dai ricorrenti principali.

3.3.- Vanno esaminati a questo punto per ragioni di ordine logico il quarto motivo, il cui accoglimento determina l’assorbimento del terzo, ed i motivi quinto e sesto, da ritenersi fondati per quanto di seguito esposto.

Il quarto motivo, inteso a far valere censure di violazione di legge e di motivazione in relazione alla ritenuta natura di mere irregolarità degli addebiti contra jus, come tali esulanti dalla preclusione breve e dei sei mesi, per l’illegittimo accrescimento della misura degli interessi, con ricorso alla strumentale decorrenza delle valute e con aggiunta delle commissione di massimo scoperto,di spese o commissioni ( quanto alla misura degli interessi ultralegali, è passata in giudicato la statuizione del Tribunale che ha ritenuto applicabili i soli interessi legali, e quanto alla capitalizzazione degli interessi, si veda l’accoglimento del secondo motivo), è strettamente collegato con il quinto motivo (contenente censure di violazione e falsa applicazione di legge ed omesso esame degli artt. 4 e 7 della convenzione di c/c, con lo specifico riferimento alle valute applicate) ed il sesto, relativo alle spese forfettarie del conto, di chiusura e spese vive.

Il quarto motivo è fondato, sotto il profilo del vizio di violazione di legge, con assorbimento della censura di difetto di motivazione.

E’ pacifico il principio secondo il quale l’approvazione dell’estratto conto rende incontestabili le registrazioni a debito e a credito nella loro realtà contabile ma non anche impedisce di formulare censure sulla validità ed efficacia dei rapporti sottostanti (vedi le pronunce 11626/011, 3574/2011, 23974/2010, 6514/07, tra le tante).

Ne consegue l’irrilevanza del terzo motivo, inteso a censurare l’uso da parte della Corte del merito delle presunzioni al fine di ritenere provato l’invio degli estratti conto.

Il quinto motivo è fondato, sotto il profilo dei vizi di violazione di legge e di motivazione.

La Corte del merito, al riguardo, si è limitata a ritenere che si trattava di mere “irregolarità”, e che le valute applicate risultano dall’art. 7 della convenzione; detta clausola, il cui contenuto è stato riportato in ricorso dai ricorrenti principali, non detta peraltro un criterio univoco, ma si esprime nel senso di prevedere la regolamentazione delle operazioni di accredito secondo criteri concordati con il correntista o usualmente praticati dalle aziende di credito su piazza, con le valute indicate nei documenti contabili o comunque negli estratti conto.

Le date delle valute sono anche in violazione dei criteri generali fissati dalla L. n. 154 del 1992, art. 7, D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 120, comma 1 ed inoltre, le stesse e le commissioni di massimo scoperto, in quanto aumentano la misura del tasso di interesse, sono soggette alla forma scritta ad substantiam, ex art. 1284 c.c., comma 3.

Anche il sesto motivo è fondato.

La Corte d’appello ha motivato con richiamo alla natura “modesta” delle spese, ma evidentemente la misura delle stesse non può incidere sul piano della debenza, ed ha rilevato del tutto genericamente, che le stesse sono previste per legge ed in convenzione, senza indicare in forza di quale clausola.

Non può sfuggire peraltro che ambedue le difese sul punto assumono la mancanza di pattuizione; secondo i ricorrenti, l’illegittimità consegue alla violazione delle norme richiamate (artt. 1826 e 2033 c.c., L. n. 154 del 1992, art. 4, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 4 e comma 7, lett. b); secondo le controricorrenti, opererebbe l’integrazione ex lege di cui alla L. n. 154 del 1992, art. 5 (trasfuso poi nel D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 7, comma 7, lett.b), in relazione al quale peraltro andrebbe rilevato che detta integrazione, a mezzo dell’applicazione degli altri prezzi e condizioni resi pubblici nel corso della durata del rapporto per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi, si palesa come elemento costitutivo della fattispecie e non eccezione gravante sui correntisti.

4.1.- Va esaminato il motivo del ricorso incidentale condizionato.

Il motivo è infondato.

Come rilevato nella pronuncia 21924/2006, la procura “ad litem” è atto geneticamente sostanziale con rilevanza processuale, che va interpretato secondo i criteri ermeneutici stabiliti per gli atti di parte dal combinato disposto di cui agli artt. 1367 cod. civ. e 159 cod. proc. civ., nel rispetto in particolare del principio di relativa conservazione, in relazione al contesto dell’atto cui essa accede, rimanendo sotto tale profilo censurabile l’interpretazione datane dal giudice di merito solo per eventuali omissioni ed incongruità argomentative, e non anche mediante la mera denunzia dell’ingiustificatezza del risultato interpretativo raggiunto, prospettante invece un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (vedi anche la successiva pronuncia 1419/2011).

L’indicazione nel testo della procura del sottoscrittore quale legale rappresentante della s.n.c. in liquidazione (qualità pacificamente propria del L., mai contestata nel corso del giudizio, se non del tutto tardivamente ed in modo larvato nel presente giudizio), assieme alla indicazione dello stesso in proprio, seguita dalla sottoscrizione del L. nello spazio ove risulta indicato il nominativo del detto conferente, mentre è rimasto in bianco lo spazio destinato alla sottoscrizione del legale rappresentante della società, è stata correttamente valutata dalla Corte del merito quale sottoscrizione del legale rappresentante della società senza indicazione della qualità, evincibile alla stregua dell’atto a cui la procura alle liti accede, ove si indicano la qualità e la persona.

E d’altra parte, è stata ritenuta la nullità della procura nel caso di sottoscrittore non indicato come legale rappresentante o titolare di carica o funzione implicante la rappresentanza della società, nè nel testo della procura nè nell’epigrafe dell’atto d’appello (così Cass. 11302/05), fattispecie pianamente diversa da quella riscontrabile nel caso.

5.1.- Conclusivamente, vanno accolti nei sensi di cui in motivazione i motivi del ricorso principale primo, secondo, quarto, quinto e sesto, assorbito il terzo; va respinto il ricorso incidentale; va cassata la sentenza impugnata e va rimessa la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà riesaminare la questione relativa alla produzione in giudizio di tutti gli estratti conto, dando congrua ed adeguata motivazione, e, quanto alla capitalizzazione degli interessi, dovrà applicare il principio di diritto, secondo il quale il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c. osta anche alla previsione di capitalizzazione annuale e quindi gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione; quanto alle commissioni di massimo scoperto, di decorrenza delle valute, ed alle spese, dovrà verificare la sussistenza di pattuizione specifica sul punto ovvero la non debenza ove non sussistente.

Il Giudice del rinvio provvederà anche a statuire sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale nei sensi di cui in motivazione, respinge il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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