Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23035 del 16/09/2019
Cassazione civile sez. VI, 16/09/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 16/09/2019), n.23035
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20696-2017 proposto da:
R.P.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE
CAROLIS 87, presso lo studio dell’avvocato IELO ANTONIO,
rappresentata e difesa dall’avvocato CARLUZZO GAETANO DOMENICO;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI BUTTALA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato TRIGONA GIUSEPPE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 242/2017 della CORTE D’APPELLO di
CALTANISSETTA, depositata il 22/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 02/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAVALLARO
LUIGI.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 22.6.2017, la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto solo parzialmente la domanda di Volta Pasqua Linuccia Rizzo alla restituzione di somme trattenutele dal Comune di Butera; che avverso tale pronuncia Rizzo Pasqua Linuccia ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura; che il Comune di Butera ha resistito con controricorso; che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che parte ricorrente ha depositato memoria.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo di censura, la ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione e violazione di legge per avere la Corte di merito ritenuto fondata solo in parte la sua richiesta di restituzione di somme trattenute durante il periodo di malattia; che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 342 c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per avere la Corte territoriale ritenuto l’inammissibilità del motivo di gravame concernente il capo di sentenza con il quale era stata rigettata la domanda di restituzione di somme trattenute per ore non lavorate;
che i motivi possono essere trattati congiuntamente, in considerazione delle modalità della loro formulazione, e sono entrambi inammissibili per difetto di specificità, operando riferimento ad atti (consulenza tecnica d’ufficio, consulenza di parte, documentazione non meglio identificata, atto di appello) non trascritti in ricorso, nemmeno nelle parti all’uopo necessarie per intendere il fondamento fattuale delle censure, e di cui non si dice in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte in atto si troverebbero, in spregio al consolidato principio di diritto secondo cui il ricorrente che denunci l’omessa o inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio in procedendo o di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti di cui lamenta l’omessa o inesatta valutazione (cfr. fra le tante Cass. nn. 14107 del 2017, 11738 del 2016, 19410 del 2015);
che contrari argomenti non sono desumibili da Cass. n. 2848 del 2015, cit. nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c., rinvenendosi anzi (anche) in tale pronuncia l’affermazione secondo cui, ai fini del rispetto dell’art. 366 c.p.c., è necessario che il riferimento del ricorso per cassazione ad atti e documenti del giudizio di merito, oltre ad essere corredato dei dati necessari al relativo reperimento in atti, menzioni i profili che di essi sono rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso, che altrimenti finirebbero per risolversi in censure astratte e prive di supporto storico;
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 2 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2019