Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23033 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. I, 07/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 07/11/2011), n.23033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.L. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DUILIO 13, presso l’avvocato PIZZUTO PIERPAOLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato SCORDO PAOLO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

DEUTSCHE BANK s.p.a.;

– intimata –

sul ricorso 19268-2006 proposto da:

DEUTSCHE BANK S.P.A. (C.F./P.I. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE TRE MADONNE 16, presso l’avvocato RICCIO GIANFRANCO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATERA GIUSEPPE, giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

L.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DUILIO 13,

presso l’avvocato PIZZUTO PIERPAOLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato SCORDO PAOLO, giusta procura a margine del ricorso

principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 940/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/03/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 22 novembre 2002 la sig.ra L.L. citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli la Deutsche Bank s.p.a., che le aveva accordato un mutuo per l’acquisto di un paio di occhiali. L’attrice riferì che per il rimborso rateale della somma mutuata era stato pattuito un sistema di addebito automatico sul conto corrente bancario a lei intestato presso la Banca Commerciale Italiana. Sennonchè, tempo dopo, quantunque su detto conto corrente vi fosse sempre stata la corrispondente copertura, la sig.ra L. aveva appreso che l’addebito non era stato eseguito, poichè alla Banca Commerciale non risultava pervenuta comunicazione alcuna, e che, tuttavia, la Deutsche Bank aveva segnalato il nominativo della debitrice ad un sistema d’informazione commerciale (denominato CRIF), con la conseguenza che la stessa sig.ra L. si era vista negare credito da altri fornitori. Donde la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della banca convenuta.

Quest’ultima resistette e chiese, in via riconvenzionale, che l’attrice fosse condannata alla restituzione della somma datale in mutuo, pari ad Euro 372,18, maggiorata di interessi.

Il tribunale ritenne che la causa del mancato pagamento di cui si discute fosse imputabile alla Deutsche Bank, la quale non aveva segnalato alla Banca Commerciale la disposizione di addebito, ma che la pretesa risarcitoria avanzata dalla sig.ra L. non fosse accoglibile per difetto di prova del danno. La medesima sig.ra L., in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla Deutsche Bank, fu condannata alla restituzione della somma ricevuta a mutuo, oltre agli interessi ed alla metà delle spese di causa, con compensazione della restante metà.

Chiamata a pronunciarsi sul gravame proposto dalla sig.ra L., la Corte d’appello di Napoli, con sentenza resa pubblica il 24 marzo 2006, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarò la Deutsche Bank responsabile del danno alla reputazione subito dall’appellante per l’indebita iscrizione del suo nominativo nell’archivio dei debitori inadempienti sopra menzionato e condannò pertanto l’istituto di credito al risarcimento, liquidato in Euro 350,00. Confermò la condanna della sig.ra L. alla restituzione dell’importo di Euro 372,18, escludendo però che fossero dovuti interessi moratori, e rigettò la domanda di compensazione. La Deutsche Bank venne altresì condannata al pagamento delle spese del giudizio di gravame, mentre fu tenuta ferma la regolazione di quelle del primo grado disposta dal tribunale.

Per la cassazione di tale sentenza la sig.ra L. ha proposto ricorso, articolato in sei motivi.

La Deutsche Bank ha resistito con controricorso ed ha formulato un ricorso incidentale, anch’esso articolato in sei motivi, al quale la sig.ra L. ha replicato depositando a propria volta un controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente esser riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c..

2. Per ragioni di ordine logico è opportuno esaminare anzitutto il ricorso incidentale, che, come già ricordato, consta di sei motivi, ma di cui è stata preliminarmente eccepita l’inammissibilità per difetto di prova dei necessari poteri rappresentativi in capo al “condirettore dirigente” della Deutsche Bank, dr. D. M., che ha sottoscritto la procura speciale in margine al controricorso.

L’eccezione non è meritevole di accoglimento in base al principio per cui, in tema di rappresentanza processuale, la persona fisica che riveste la qualità di organo della persona giuridica non ha l’onere di dimostrare tale veste, spettando invece alla parte che ne contesta la sussistenza l’onere di formulare tempestiva eccezione e fornire la relativa prova negativa; principio applicabile anche nel caso in cui la persona giuridica si sia costituita in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante, se tale potestà deriva dall’atto costitutivo o dallo statuto (Cass. 13 settembre 2007, n. 19162; e Cass. 13 giugno 2006, n. 13669). Aggiungasi che il direttore generale di una società di capitali può assumere la rappresentanza, anche processuale, della società medesima, in forza di disposizione statutaria o per delega (che sia ammessa dallo statuto sociale) da parte degli amministratori; pertanto, qualora a seguito di proposizione di ricorso per cassazione, la controparte si limiti a rilevare che non risulta la fonte del potere esercitato dal direttore generale conferente la procura speciale ad litem, deducendo al riguardo una carenza di prova, deve escludersi che l’ammissibilità dell’impugnazione esiga la specificazione od allegazione della fonte del relativo potere, spettando alla controparte medesima, che sostenga l’apposizione di limiti al potere stesso nell’atto di delega, di fornire la relativa dimostrazione (Cass. 18 maggio 2006, n. 11661).

2.1. Il primo motivo è volto a denunciare, oltre a vizi di motivazione dell’impugnata sentenza, la violazione degli artt. 1175, 1176, 1182, 1218 e 2697 c.c.. La banca ricorrente focalizza la propria attenzione sulle circostanze e sulle cause che hanno determinato il mancato pagamento delle rate di restituzione del mutuo alle scadenza previste, che a suo giudizio dovrebbero essere imputate alla debitrice, e chiede a questa corte di affermare che la scelta della forma di pagamento mediante autorizzazione di addebito in conto corrente non ha di per sè valenza liberatoria per il debitore, nè lo esonera dal dovere di accertarsi diligentemente dell’avvenuto pagamento e di fornire in giudizio la prova dell’esatto adempimento dell’obbligazione, non bastando ad escludere la responsabilità il suo soggettivo convincimento di essersi comportato correttamente.

2.1.1. Le riferite doglianze non colgono nel segno.

Premesso che – a norma dell’art. 366-bis c.p.c. (applicabile ratione termporis al presente ricorso) – non può tenersi conto della denuncia di vizi di motivazione non corredata da un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., tra le altre, Sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603), va detto che sono condivisibili le considerazioni svolte dalla difesa della banca ricorrente in ordine alla sussistenza dell’obbligazione debitoria del mutuatario fin quando il pagamento non sia effettivamente avvenuto, indipendentemente dalle specifiche modalità di pagamento in questo caso pattuite, così come in ordine alla persistenza dei doveri di correttezza e diligenza inerenti alla posizione debitoria. Ma siffatti rilievi non sono decisivi nella presente causa, in cui non si discute della responsabilità per inadempimento della mutuataria, la cui condanna a restituire l’importo mutuato non è stata impugnata, bensì della liceità della segnalazione del suo nominativo all’archivio dei debitori inadempienti da parte dell’istituto di credito.

2.2. Il secondo motivo del ricorso incidentale, facendo riferimento agli artt. 1372, e 1469-bis e ter, in relazione agli artt. 1175, 1176 e 1182 c.c., si appunta contro un passaggio dell’impugnata sentenza in cui è stata adombrata la nullità per difetto di specifica sottoscrizione della clausola contrattuale che prevedeva il permanere dell’obbligo di restituzione del mutuo a carico della mutuataria anche nel caso di mancato buon fine del pattuito meccanismo di addebito automatico delle rate in conto corrente.

2.2.1. Neppure tale motivo di ricorso è accoglibile, per le medesime ragioni già evidenziate al punto precedente, essendo del resto il criticato passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza del tutto marginale nell’economia della decisione.

2.3. La violazione degli artt. 1175 e 1206 c.c. forma oggetto della doglianza contenuta nel terzo motivo del ricorso incidentale, che censura l’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui si sarebbe verificato nella specie un caso di mora del creditore.

2.3.1. Sulla possibilità di ricondurre la descritta fattispecie all’istituto della mora credendi si possono in effetti nutrire delle perplessità, ma neppure questo appare essere un punto decisivo della controversia. Decisivo è solo l’accertamento compiuto dal giudice di merito accertamento di fatto, come tale non censurabile in sede di legittimità – secondo il quale le parti avevano previsto fosse l’istituto mutuante a comunicare l’autorizzazione al prelievo automatico delle rate da restituire alla banca presso cui la mutuataria aveva acceso il contro corrente; e che, in concreto, tale comunicazione non fu eseguita a causa di un disguido. E’ in conseguenze di queste circostanze – non già in applicazione dei principi sulla mora del creditore – che è stato considerato illecito il comportamento della Deutsche Bank. consistente nella segnalazione del nominativo della mutuataria al sistema di registrazione commerciale delle insolvenze, non apparendo a tal fine sufficiente il mero dato oggettivo della mancata effettuazione dell’addebito in conto.

2.4. Col quarto motivo di ricorso la banca mutuante, lamentando la violazione degli artt. 1219, 1224, 1284 e 1382 c.c., si duole del mancato riconoscimento degli interessi di mora maturati a seguito della mancata spontanea restituzione della somma concessa a mutuo.

2.4.1. La doglianza è solo in parte fondata.

Non lo è laddove vorrebbe considerare l’obbligazione restitutoria di cui trattasi come da eseguirsi al domicilio del creditore e quindi idonea a far decorrere gli interessi dal giorno della scadenza, trascurando però che le parti avevano previsto il già descritto meccanismo di addebito automatico in conto corrente, destinato evidentemente ad esonerare la debitore dal dovere di provvedere direttamente al pagamento, e che è stata accertata la non imputabilità alla mutuataria del disguido per cui quel meccanismo non ha funzionato.

Non lo è neppure laddove vorrebbe far decorrere gli interessi dalla data di una lettera di messa in mora, la cui esistenza ed il cui contenuto non è però possibile accertare per la prima volta in sede di legittimità.

La doglianza appare invece fondata nella parte in cui pone in evidenza come sia priva di base giuridica la negazione assoluta degli interessi operata dalla corte d’appello in forza dell’asserita nullità della già citata clausola contrattuale, che prevedeva il permanere in vigore dell’obbligazione restitutoria anche in caso di mancato funzionamento del sistema di addebito automatico in conto corrente. Non si comprende invero la ragione per cui l’invalidità di una tal clausola (ove pure davvero ravvisabile) dovrebbe precludere la decorrenza di interessi dopo la messa in mora. Ma, poichè la messa in mora è sicuramente insita nella proposizione della domanda giudiziale di restituzione della somma mutuata, a partire dalla data di tale domanda gli interessi moratori non possono essere negati.

2.5. Col quinto mezzo, denunciando vizi di motivazione e la violazione dell’art. 2043 c.c., la difesa della Deutsche Bank affronta il tema della responsabilità addebitata alla stessa banca per aver segnalato il nominativo della sig.ra L. ai gestori dell’archivio degli inadempienti denominato CRIF. Secondo la ricorrente, non si tratterebbe di un archivio destinato a rendere noti in ambito commerciale i nomi dei debitori insolventi, bensì soltanto a fornire informazioni sull’andamento dei rapporti di credito, a prescindere da ogni indagine circa le cause di eventuali inadempimenti o ritardi di pagamento. Nonchè illecita, la segnalazione della mancata restituzione del mutuo da parte della sig.ra L., sarebbe stata perciò doverosa; in ogni caso, sarebbe contraddittorio l’aver ritenuto che tale segnalazione non dovesse aver luogo, quando poi la stessa sig.ra L. è stata condannata al pagamento del debito non spontaneamente adempiuto.

2.5.1. Anche con riguardo a questo motivo di ricorso va premesso che la doglianza concernente pretesi vizi di motivazione dell’impugnata sentenza non è stata formulata in modo ammissibile, perchè non risulta corredata dall’indispensabile momento di sintesi che valga a circoscriverne puntualmente i limiti, come prescritto dal citato art. 366-bis.

Per il resto, le censure della banca ricorrente non consentono d’individuare veri e propri errori di diritto in cui la corte territoriale sarebbe incorsa. L’assunto della banca, invero, si fonda su un presupposto – relativo alle caratteristiche ed alle finalità operative dell’archivio (privato) dei nomi dei debitori inadempienti – che evidentemente è diverso da quanto ricostruito in punto di fatto dal giudice di merito, il quale ha ritenuto che l’inserimento in detto archivio del nominativo di un debitore presupponga almeno l’apparenza di un’insolvenza imputabile al debitore medesimo (come del resto è logico, perchè questo è il dato che serve allo scopo informativo commerciale di un simile archivio), ed il relativo accertamento esorbita dai limiti del giudizio di legittimità.

Pertanto, pur dovendosi in tal senso integrare e parzialmente correggere la motivazione della sentenza impugnata, la responsabilità dell’istituto di credito mutuante per aver operato una siffatta segnalazione in presenza di un inadempimento che, al momento della segnalazione stessa, si è accertato essere conseguenza di un disguido non imputabile alla debitrice, integra la violazione (non tanto del dovere del neminem laedere, quanto) del fondamentale dovere di solidarietà inerente al rapporto contrattuale, in forza del quale ciascun contraente è tenuto a non pregiudicare ingiustificatamente le ragioni dell’altro.

2.6. L’ultimo motivo del ricorso incidentale, tornando a lamentare la violazione del citato art. 2043, oltre che degli artt. 2057 e 2697 c.c., nonchè nuovamente vizi di motivazione del provvedimento impugnato, sposta l’attenzione sulla prova del danno che, secondo la banca ricorrente, sarebbe stato liquidato dalla corte d’appello dando per acquisite circostanze di fatto – il rifiuto di altri commercianti di far credito alla sig.ra L. – che erano state contestate e non provate, ed ingiustificatamente reputando che tale danno sia in re ipsa.

2.6.1. Neppure in questo caso le censure inerenti a pretesi vizi di motivazione sono state formulate in conformità al disposto del citato art. 366-bis, e ciò impedisce di tenerne conto.

Quanto al resto, se può convenirsi che il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione del diritto alla reputazione, non può di regola ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (cfr. Cass. n. 7211 del 2009), occorre osservare che, nel presente caso, la corte territoriale ha per l’appunto accertato in punto di fatto l’esistenza di elementi significativo in tal senso, consistenti nel rifiuto di credito opposto da altri commercianti, e la valutazione del modo in cui è stato fatto governo a questo riguardo delle risultanze processuali nuovamente esula dai limiti del giudizio di legittimità.

3. Anche il ricorso principale, come già ricordato, consta di sei motivi.

3.1. Il primo motivo è volto a segnalare un difetto di motivazione della sentenza impugnata, nella quale, pur dopo essersi escluso che la ricorrente sia tenuta al pagamento di interessi di mora, la stessa ricorrente risulterebbe esser stata condannata al pagamento di una somma comprensiva anche del calcolo degli interessi.

3.1.1. La doglianza è da ritenersi inammissibile: sia perchè priva del momento di sintesi che valga a circoscriverne puntualmente i limiti, come prescritto dal citato art. 366-bis, sia perchè quanto denunciato si risolve in un errore materiale di percezione del giudice (il quale non si sarebbe accorto del fatto che la somma per cui è stata pronunciata la condanna è comprensiva degli interessi e non limitata al solo capitale) ed avrebbe perciò dovuto formare oggetto di ricorso per revocazione e non per cassazione.

3.2. Col secondo motivo, nel denunciare la violazione dell’art. 1243 c.c., la ricorrente principale si duole della mancata compensazione del proprio debito di rimborso del mutuo con il credito per risarcimento del danno da essa vantato nei confronti della banca mutuataria.

3.2.1. La doglianza (pur cogliendo un effettivo errore di diritto della corte d’appello, che ha negato la compensazione per l’infondata ragione che i due crediti contrapporti dipendono da titoli diversi) non appare sorretta da adeguato interesse. Escluso, infatti, che si possa parlare di compensazione legale e tenuto conto dell’efficacia costitutiva della sentenza che, dopo aver liquidato i contrapposti crediti delle parti, determina la compensazione giudiziale, non si vede quale interesse concreto ed attuale possa sorreggere la censura formulata dalla ricorrente, trattandosi solo, in definitiva, di operare la somma algebrica tra gli importi delle due contrapposte condanne.

3.3. Il rilievo che precede può senz’altro estendersi anche al terzo motivo di ricorso, che si ricollega ancora al tema della compensazione lamentando l’insufficienza delle motivazione dell’impugnata sentenza in punto di pronta e facile liquidazione del credito risarcitorio opposto in compensazione.

3.4. Gli ulteriori motivi del ricorso principale si riferiscono tutti al regime delle spese processuali e sono perciò assorbiti dal parziale accoglimento del ricorso incidentale, giacchè da ciò deriva la necessità di cassare l’impugnata sentenza e di rinnovare quindi anche le statuizioni in tema di spese di lite.

4. La cassazione dell’impugnata sentenza, per effetto dell’accoglimento del quarto motivo del ricorso incidentale, non implica però la necessità di rinviare la causa alla corte d’appello, non essendo da compiere ulteriori accertamenti di merito.

Può esser infatti già in questa sede integrata la condanna della sig.ra L. con l’aggiunta del pagamento degli interessi legali sulla somma da lei dovuta (quale già accertata nei precedenti gradi), a far tempo dalla data della domanda giudiziale, ferme nel resto tutte le altre statuizioni di merito già contenute nella sentenza d’appello (salvo quanto appresso in tema di spese processuali).

5. L’esito complessivo della lite e la reciproca soccombenza delle parti suggeriscono di compensare integralmente tra le stesse le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi, accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale, rigettando gli altri motivi del medesimo ricorso incidentale, nonchè il ricorso principale; cassa l’impugnata sentenza in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la sig.ra L.L. a corrispondere alla controparte anche gli interessi legali sulla somma capitale dovuta in restituzione, a far tempo dalla data della domanda, ferme restando tutte le altre statuizioni della sentenza impugnata, ma con compensazione delle spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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