Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23032 del 16/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/09/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 16/09/2019), n.23032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35730-2018 proposto da:

A.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MASSIMILIANO VIVENZIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore,

– COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI MILANO – MONZA presso la PREFETTURA UTG DI MONZA E

BRIANZA;

– intimati –

avverso il decreto n. R.G. 8722/2018 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 04/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa IOFRIDA

GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, con decreto n. 6118/2018, ha respinto la richiesta di A.I., cittadino del Ghana, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, il Tribunale, all’esito della disposta udienza, ha osservato che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, in quanto cristiano, per sfuggire alle pressioni del padre perchè aderisse alle pratiche tradizionali di adorazione del woodoo) era del tutto inverosimile, confusa ed incoerente; quanto poi alla protezione sussidiaria, la regione di provenienza del richiedente non era interessata da conflitti armati interni (come riferito dall’ultimo rapporto di Amnesty International); infine, quanto alla protezione umanitaria, il richiedente non aveva dedotto nulla in merito alla propria condizione personale e sociale in Italia (avendo prodotto solo un certificato di frequenza di un corso di lingua italiana e documentazione medica attestante, in particolare, contusione lombare), al fine di consentire un giudizio comparativo tra le attali condizioni di vita in Italia e quelle lasciate nel Paese d’origine.

Avverso il suddetto decreto, A.I. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti sussistenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione ed errata applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,4 e 8, deducendo che il Tribunale aveva basato la decisione sull’inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, senza un effettivo approfondimento della vicenda, anche mediante l’audizione personale del medesimo, stante la mancata disponibilità della videoregistrazione dell’audizione svoltasi in sede di commissione territoriale. Con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in relazione all’errata valutazione del principio di vulnerabilità, non avendo il Tribunale dato giusto rilievo alle circostanze evidenziate nel corso dell’istruttoria (condizione di cristiano in un contesto caratterizzato da una religione tradizionale legata alla stregoneria, in particolare), senza svolgere peraltro adeguata istruttoria al fine di comparare le due differenti realtà di vita, nel Paese d’origine ed in Italia.

2. La prima censura è, in parte, inammissibile ed, in parte, infondata.

Il Tribunale ha ritenuto del tutto generico il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine.

Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate”. Si è poi precisato (Cass. 27503/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati” (conf. Cass. 29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; cfr. anche Cass. 29358/2018).

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso.

In merito poi alla doglianza relativa alla mancata audizione personale della richiedente di fronte ai giudici, la censura è infondata.

Questa Corte, nella recente pronuncia n. 17717/2018, dopo avere affermato che, in mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve ineluttabilmente disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti nullità del decreto pronunciato all’esito del ricorso per inidoneità del procedimento così adottato a realizzare lo scopo del pieno dispiegamento del già richiamato principio del contraddittorio, ha chiarito che ciò non implica “automaticamente… che si debba anche necessariamente dar corso all’audizione del richiedente (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49)”, a fronte di una “domanda di protezione internazionale manifestamente infondata”. Il che comporta che l’audizione personale del richiedente non sia necessaria quando la Commissione territoriale (la procedura di primo grado, secondo la Corte di Giustizia UE) abbia respinto la richiesta di protezione per manifesta infondatezza ed il giudice abbia ritenuto non necessario richiedere chiarimenti al cittadino straniero.

Al riguardo, questa Corte ha di recente affermato (Cass. 5973/2019) che “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorchè non obbligatoria in base alla normativa vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017 conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero”.

3. La seconda censura è inammissibile.

Anche in relazione alla protezione umanitaria, il ricorrente deduce essenzialmente che non vi sarebbe stata attivazione da parte del giudice dei poteri istruttori. Ora, questa Corte ha di recente ribadito (Cass. 33096/2019) che “nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento. In relazione alla protezione sussidiaria, essa ha ad oggetto sul piano dell’onere di allegazione tutto ciò che è contenuto nel paradigma dell’art. 14, trattandosi di norma tesa a distinguere il concetto di “danno grave” secondo i diversi profili di cui alle lett. a), b) e c). Ne consegue che, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi”. Nella specie, il racconto del richiedente, cui anche nel presente ricorso si fa richiamo al fine dell’individuazione delle condizioni di vulnerabilità, è stato ritenuto non credibile.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Essendo stata la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 16 settembre 2019

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