Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23032 del 02/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 02/10/2017, (ud. 20/07/2017, dep.02/10/2017),  n. 23032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18175-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STAIO che la rappresenta e

difende ope lcgis;

– ricorrente –

contro

ETNA ALLUMINIO S.p.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2566/18/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALI DI PALERMO – SEZIONE DISTACCATA DI CATANIA, depositata il

12/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/07/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

Con sentenza in data 9 ottobre 2014 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 837/1/10 della Commissione tributaria provinciale di Catania che aveva accolto il ricorso della Etna Alluminio spa contro la cartella di pagamento IRAP, IRES ed altro, IVA ed altro 1998. La C’FR osservava che la pronuncia appellata era immune da censure, ribadendo in particolare la sussistenza della eccepita carenza motivazionale della cartella esattoriale impugnata con riguardo alla specificazione del criterio di calcolo delle sanzioni.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

La società contribuente intimata non si è difesa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, lett. d), D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, lett. d), poichè la CFR ha omesso di pronunciarsi sui propri rilievi inerenti la determinazione delle sanzioni oggetto della cartella di pagamento impugnata, in quanto derivante dall’attuazione di un giudicato inter partes, così comunque incorrendo in un vizio motivazionale radicale.

La censura è fondata.

Va infatti ribadito che “Il giudizio tributario non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensì come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente” (ex multis -, v. Sez. 5, Sentenza n. 21759 del 20/10/2011, Rv. 619743 – 01). In base a tale principio di diritto il giudice tributario di appello non poteva quindi limitarsi, come ha fatto, a rilevare l’insufficienza motivazionale della cartella esattoriale impugnata particolarmente circa la determinazione delle sanzioni, bensì doveva, appunto nella “logica” del giudizio di “impugnazione merito”, procedere alla verifica in concreto del quantum debeatur esposto nell’atto riscossivo, tenendo necessariamente conto che lo stesso si basava su una sentenza passata in giudicato.

Peraltro, come giustamente osservato dalla ricorrente, il titolo esecutivo giudiziale de quo consentiva di effettuare tale accertamento meritale, posto che, essendosi parzialmente accolta la pretesa erariale in ordine alle imposte, le correlative sanzioni ben potevano essere calcolate sulla base dei criteri esposti nell’avviso di accertamento originario, in quanto non intaccati dalla pronuncia giudiziale posta in esecuzione.

Ne consegue che la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.p., è effettivamente sussistente, secondo il consolidato principio che “Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà. di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto” (Sez. 5, Sentenza n. 7653 del 16/05/2012, Rv. 622441 – 01).

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2017

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