Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23029 del 16/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/09/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 16/09/2019), n.23029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35129-2018 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCA ZUPPELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 18664/2017 del TRIBUNALE di BRESCIA,

depositato il 28/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa IOFRIDA

GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Brescia, con decreto n. cronol. 4356/2018, ha respinto la richiesta di B.L., cittadino del Gambia, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, il Tribunale, all’esito della disposta udienza, con audizione del richiedente, ha osservato che la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per fuggire alle aggressioni dei famigliari di una ragazza, che egli frequentava dal 2012 e che era rimasta incinta) era del tutto inverosimile, confuso ed incoerente; quanto poi alla protezione sussidiaria, la regione di provenienza del richiedente non era interessata da conflitti armati interni (come riferito dai numerosi COI Report consultati); infine, quanto alla protezione umanitaria, il richiedente non aveva dedotto nulla in merito alla propria condizione personale e sociale in Italia ed in merito a situazioni ulteriori di vulnerabilità, oltre a quelle giudicate inattendibili, al fine di consentire un giudizio comparativo tra le attali condizioni di vita in Italia e quelle lasciate nel Paese d’origine.

Avverso il suddetto decreto, B.L. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi (oltre ad un quarto motivo nel quale sono dedotte questioni di legittimità costituzionali della nuova normative) nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti sussistenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.II ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione ed errata applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 e del T.U.I., art. 5, comma 6, deducendo che il Tribunale aveva basato la decisione sull’inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, senza un effettivo approfondimento della vicenda. Con il secondo motivo, si lamenta poi l’omessa, contraddittoria e/o insufficiente motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5 sulla situazione socio-politica del Paese d’origine del richiedente. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta poi la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 1997, art. 3, comma 3, lett. b), contestandosi la valutazione fatta dal Tribunale in ordine al rischio dedotto di subire persecuzioni o danni gravi ad opera dei famigliari della ragazza.

Il ricorrente solleva inoltre, con il quarto motivo, questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., per mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza per l’emanazione del decreto legge e quindi per quanto concerne il differimento dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale.

2. Preliminarmente, in ordine alle questioni di legittimità costituzionali sollevate dal ricorrente, va richiamato quanto chiarito da questa Corte, con la pronuncia n. 17717/2018 (coni. Cass. 32029/2018), secondo la quale “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte”, nonchè “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza, poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime” ed “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento”. Questa Corte, con la successiva pronuncia n. 27700/2018, ha poi chiarito che “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione” (conf. Cass. 28119/2018).

3. Tanto premesso, le censure articolate nei primi tre motivi, che possono essere trattati unitariamente in quanto connessi, sono, in parte, inammissibile ed, in parte, infondati.

Il Tribunale ha ritenuto del tutto generico il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine.

Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Trbunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr.Cass. 27503/2018 e Cass.29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (si parla, genericamente, del rischio di subire pene corporali ad opera di tribunali islamici in conseguenza di comportamenti sessuali ritenuti irresponsabili).

Anche in relazione alla protezione umanitaria, il ricorrente deduce essenzialmente che non vi sarebbe stata attivazione da parte del giudice dei poteri istruttori. Ora, questa Corte ha di recente ribadito (Cass. 33096/2019) che “nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento. In relazione alla protezione sussidiaria, essa ha ad oggetto sul piano dell’onere di allegazione tutto ciò che è contenuto nel paradigma dell’art. 14, trattandosi di norma tesa a distinguere il concetto di “danno grave” secondo i diversi profili di cui alle lett. a), b) e c). Ne consegue che, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi”.

Nella specie, il racconto del richiedente, cui anche nel presente ricorso si fa richiamo al fine dell’individuazione delle condizioni di vulnerabilità, è stato ritenuto non credibile.

4. Il vizio motivazionale è inammissibile in quanto non viene neppure allegato quale sarebbe il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso, ex art. 360 c.p.c., n. 5, nuova formulazione, e si denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in base alla pregressa formulazione del vizio motivazionale.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Essendo stata la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 16 settembre 2019

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