Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23027 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. I, 07/11/2011, (ud. 19/09/2011, dep. 07/11/2011), n.23027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Grazia – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

BANCA INTESA s.p.a., cf. (OMISSIS) in persona del dirigente avv.

C.G. come da procura conferitale con atto del 20

giugno 2006 autenticato dal notaio dott. Renata Mariella di Milano n.

17317 rep. e n. 4803 racc., rappresentata e difesa, giusta procura

speciale a margine del ricorso, dagli avv.ti Lazzerini Renato e

Benedetto Gargani ed elett.te dom.ta presso lo studio del secondo in

Roma, Via Bissolati n. 76;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ROMA DI ANNA MARIA GOVONI & C. s.a.s. e di

G.A.

M., in persona del curatore rag. B.S., cf.

(OMISSIS) rappresentato e difeso, giusta procura speciale a

margine del controricorso, dall’avv. Pettini Andrea e dom.to in Roma

presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 219

depositata il 14 febbraio 2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

settembre 2011 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA;

udito per la ricorrente l’avv. Renato LAZZERINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso

con condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il curatore del fallimento della s.a.s. R.O.M.A. di Anna Maria Covoni & C., nonchè della G. in proprio, dichiarato con sentenza del 10 luglio 1991, convenne davanti al Tribunale di Firenze la Banca Commerciale Italiana s.p.a. – oggi Banca Intesa s.p.a. – per sentir revocare la costituzione in pegno di titoli eseguita il 20 marzo 1990 dalla società fallita a garanzia di debiti preesistenti non scaduti della Modameeting s.p.a. per passivo di conto corrente.

La banca resistette, negando la preesistenza e comunque la mancata scadenza dei crediti garantiti alla data dell’atto da revocare, nonchè la scientia decoctionis. Il Tribunale, però, accolse la domanda.

Adita con appello della s.p.a. Intesa Gestione Crediti, mandataria della soccombente, la Corte di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado osservando fra l’altro:

che la fattispecie rientrava nella previsione dell’art. 67, comma 1, n. 3, L. Fall., perchè alla data in cui la società poi fallita aveva costituito in pegno titoli per complessive L. 250.000.000, il conto corrente della Modameeting presso la Banca Commerciale recava un saldo passivo di L. 121.511.261, non compensato dall’attivo di altro conto o da altro credito della società, nè garantito in alcun modo, nè giustificato dalla formale concessione di una linea di credito;

che infatti l’unico documento in proposito invocato dall’appellante – un “verbale decisioni creditizie in autonomia” in data 30 aprile 1990 – era stato prodotto in copia fotostatica e consisteva, nella prima parte, di un elenco di numeri in forma di appunti e, nella seconda parte, in appunti inconferenti; inoltre il documento era privo di valore probatorio perchè non risultava vidimato o registrato e quindi difettava di data certa, e comunque le annotazioni in esso contenute non consentivano di desumere che alla data del 20 marzo 1990 la banca aveva concesso alla Modameeting un’apertura di credito per almeno L. 121.511.261;

che pertanto doveva concludersi che il credito della banca, ancorchè di importo inferiore al valore dei titoli dati in garanzia, era sicuramente preesistente alla concessione del pegno, mentre nessuna cen-sura era stata dedotta dall’appellante in merito al secondo presupposto di cui all’art. 67, comma 1, n. 3, L. Fall., ossia che il credito garantito non era scaduto;

che l’appellante non aveva fornito la prova della inscientia decoctionis, di cui era onerata, mentre d’altra parte l’istruttoria svolta forniva plurimi indizi della sua consapevolezza dello stato d’insolvenza della garante al momento della costituzione della garanzia.

La Banca Intesa s.p.a., incorporante della Intesa Gestione Crediti s.p.a., ha quindi proposto ricorso per cassazione per due motivi, illustrati anche con memoria. Il curatore fallimentare si è difeso con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Va anzitutto respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente sul rilievo dell’omessa formulazione dei quesiti ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., comma 1.

Detta norma, introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 non si applica nella specie, a mente dell’art. 27, comma 2, D.Lgs. cit., risalendo la pubblicazione della sentenza impugnata a epoca anteriore al 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del medesimo decreto.

2. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 67, L. fall. e vizio di motivazione, si censura l’accertamento della preesistenza del credito garantito alla costituzione del pegno. La ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto nè di due lettere, agli atti, indirizzate il 20 marzo 1990 alla banca dalla R.O.M.A. s.a.s., dalle quali risulterebbe la volontà di quest’ultima di costituire il pegno al fine della concessione, da parte della banca, di una nuova linea di credito alla Modameeting, senza fare alcun cenno al preesistente debito di conto corrente, nè della convergente dichiarazione del teste P.. Peraltro era illegittima anche la pretermissione del “verbale decisioni creditizie in autonomia”, motivata con il difetto di data certa mai eccepito dalla curatela, e da tale verbale risultava, appunto, che l’affidamento in favore della Modameeting era stato portato da L. 250 a 530 milioni in quanto “la linea di credito (…) è totalmente garantita da pegno”.

2.1. – Il motivo è inammissibile perchè propone una tesi in fatto del tutto nuova: che, cioè, il credito garantito dal pegno fosse quello derivante da una nuova linea di credito, da concedersi alla Modameeting, e non dal già sussistente passivo di conto corrente. La sentenza impugnata, invero, non contiene alcun cenno a tale tesi, nè è precisato nel ricorso per cassazione se e in quale atto la medesima tesi sia stata effettivamente prospettata al giudice di appello.

3. – Con il secondo motivo, sempre denunciando violazione dell’art. 67, L. Fall., e vizio di motivazione, si censura l’accertamento della sussistenza della scientia decoctionis, (a) diffusamente argomentando la inidoneità degli elementi posti dalla Corte d’appello a dimostrazione di essa; (b) lamentando la omessa considerazione di prove testimoniali dalle quali sarebbe emersa la inscientia decoctionis; (c) deducendo che comunque, trattandosi di atto da ricondurre alla previsione dell’art. 67, comma 2, L. Fall., l’onere della prova dell’elemento psicologico gravava sul curatore, che non l’aveva assolto.

3.1. – Anche questo motivo è inammissibile.

Al fine di vincere la presunzione semplice di conoscenza dello stato di insolvenza posta dall’art. 67, comma 1, L. Fall. l’onere della prova contraria gravante sul convenuto in revocatoria non ha contenuto meramente negativo, equivalente alla mancanza della prova positiva della conoscenza, e non può quindi essere assolto con la mera dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee a evidenziare lo stato di insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che nel momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile sussistessero circostanze tali da far ritenere che l’imprenditore si trovava in una situazione normale di esercizio dell’impresa (e pluribus, Cass. 17998/2009, 10432/2005, 6864/2004, 11594/2001, 5440/1997).

E’ dunque irrilevante la parte (a) del motivo dedicata alla contestazione della sussistenza di dati (esecuzioni individuali, decreti ingiuntivi) rivelatori dell’insolvenza della R.O.M.A. s.a.s..

Non meno inammissibile, però, è la censura (b) di omessa considerazione di dichiarazioni testimoniali che avrebbero dovuto fornire la prova positiva della solvibilità della medesima. Si tratta, invero, delle dichiarazioni del teste B. (“La chiusura del conto corrente avvenne senz’altro in epoca anteriore alla dichiarazione del fallimento R.O.M.A.”), del teste P. (“Poichè la Modameeting voleva un ampliamento del fido che non ritenevamo di poter concedere poichè non vi erano i presupposti, la R.O.M.A. si offrì, in qualità di soda della Modameeting, di prestare idonea garanzia reale costituendo in pegno titoli di stato onde permettere la concessione del maggior fido alla Modameeting”) e del teste S. (“Il conto di cui sopra ho detto aperto presso la filiale di (OMISSIS) venne chiuso su accordo delle parti e non mi risulta che all’epoca la R.O.M.A. fosse insolvente”) il cui contenuto è tutt’altro che decisivo.

Nè, infine, può prendersi in considerazione la censura (e) sulla distribuzione dell’onere della prova, essendo confermato, a seguito dell’inammissibilità della censura svolta con il primo motivo di ricorso, che la fattispecie per cui è causa consiste nella costituzione di garanzia per debito pregresso non scaduto, disciplinata dal comma 3, n. 3, e non dall’art. 67, comma 2, L. Fall..

4. – Il ricorso va in conclusione respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 3.200,00, di cui 3.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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