Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23026 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. I, 07/11/2011, (ud. 19/09/2011, dep. 07/11/2011), n.23026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Grazia – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G.S., c.f. (OMISSIS), rappresentato e

difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv.

Contini Lazzaro ed elett.te dom.to in Roma, Via Toscana n. 10, presso

lo studio legale associato Persiani Rizzo;

– ricorrente –

contro

B.V., C.F. (OMISSIS), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale a margine del controricorso, dall’avv. De

Matteis Ruggero ed elett.te dom.to in Roma, Via Costantino Morin n.

45, presso lo studio dell’avv. Michele Arditi di Castelvetere;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 589/05,

depositata il 29 settembre 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

settembre 2011 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA;

udito per il ricorrente l’avv. Lazzaro CONTINI;

udito per il controricorrente l’avv. Michele ARDITI DI CASTELVETERE,

per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Sabrase & C. s.n.c., in persona del liquidatore sig. B. V., convenne davanti al Tribunale di Lecce il socio sig. S.G. per ottenere il pagamento del corrispettivo della costruzione di un immobile, pari a L. 18.413.795.

Il S. resistette deducendo di essere a sua volta creditore verso la società del pagamento di utili per una somma assai superiore.

Pertanto chiese che, compensato il proprio debito, l’attrice fosse condannata alla differenza, pari a L. 20.000.000, o a diversa somma da accertarsi in giudizio.

All’esito dell’istruttoria, con interrogatorio formale del convenuto, mancata comparizione del B. al proprio interrogatorio e dichiarazione di decadenza di entrambe le parti dalla prova testimoniale richiesta, il S. deferì alla controparte giuramento decisorio. Il B. non si presentò all’udienza all’uopo fissata e più volte rinviata.

Il Tribunale, respinta l’eccezione di omessa notifica personale al B. dell’ordinanza ammissiva del giuramento sul rilievo che lo stesso B. aveva dichiarato di aver ricevuto la notifica in mani proprie, ritenne provati i fatti di cui ai capitoli di prova, e cioè che il S. aveva versato alla società L. 37.000.000, che il B. non aveva versato alla società il prezzo di appartamenti per complessivi 3.000 mq e che la società non aveva mai ripartito gli utili. Condannò quindi la società al pagamento del suo debito residuo nei confronti del S., che liquidò, effettuata la richiesta compensazione, in L. 33.193.103 oltre accessori.

La società appellò la decisione riproponendo la questione dell’omessa notifica personale dell’ordinanza di ammissione del giuramento e dei successivi provvedimenti di rinvio dell’udienza fissata per l’assunzione, nonchè deducendo che, in ogni caso, il complessivo credito del S. ammontava a sole L. 16.069.524, onde il residuo eventualmente dovutogli era semmai di L. 2.344.201 oltre accessori.

La Corte di Lecce ha accolto il gravame osservando:

che nell’ordinanza di ammissione del giuramento la prestazione del medesimo era stata fissata per l’udienza del 17 dicembre 1992, alla quale il B. non comparve e il procuratore del S. chiese ed ottenne rinvio al 18 marzo 1993 “al fine di notificare per avere la contezza che l’attore ne abbia preso conoscenza”;

che per la nuova udienza la notifica non era stata eseguita al B. personalmente, come dovuto, bensì nel domicilio dal medesimo eletto presso il suo procuratore;

che, non essendo il B. comparso nè a quella udienza nè alle successive udienze di rinvio, il 13 luglio 1995 il giudice istruttore aveva infine dichiarato non prestato il giuramento;

che non vi era dunque la prova della notifica personale al B. dell’ordinanza ammissiva del giuramento, non essendo idonea quella eseguita nel domicilio eletto presso il suo procuratore; e tuttavia tale notificazione doveva ritenersi avvenuta, avendo lo stesso B. – comparso personalmente dinanzi al giudice istruttore per un tentativo di conciliazione – richiesto termine per definire la controversia “anche per evitare gli effetti del mancato giuramento decisorio del quale è stata notificata copia personalmente, anzi a mani proprie”;

che però i successivi provvedimenti di rinvio dell’udienza per l’assunzione del giuramento non erano mai stati notificati al B., e ciò impediva di considerare non prestato il giuramento medesimo;

che conseguentemente la domanda riconvenzionale, basata sui fatti di cui al giuramento deferito, andava rigettata, mentre la domanda principale della società andava parzialmente accolta per la somma di L. 9.026.897 (pari ad Euro 4.754,97), oltre interessi legali, in conformità di quanto già ritenuto dal Tribunale senza ammissibili censure del S..

Quest’ultimo ha quindi proposto ricorso per cassazione per tre motivi, illustrati anche con memoria.

Il B. ha presentato controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3, art. 157 c.p.c., commi 1, 2 e 3, e art. 160 c.p.c.. Il ricorrente osserva che la dichiarazione riportata nella sentenza impugnata era stata resa dal B. all’udienza del 14 gennaio 1999, successiva sia alla notifica dell’ordinanza di ammissione del giuramento sia ai provvedimenti di rinvio dell’atto istruttorio, mentre la Corte d’appello ha ritenuto che quella dichiarazione fosse successiva solo alla prima e non anche ai secondi. Dal tenore della medesima dichiarazione, che escludeva che il B. non avesse avuto conoscenza anche dei provvedimenti di rinvio, non poteva non derivare la sanatoria per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3. “In ogni caso”, conclude il ricorrente, “la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa nè da quella che vi ha rinunciato e, comunque, doveva essere sollevata nella prima istanza o difesa successiva all’atto”.

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 237 e 232 c.p.c. e vizio di motivazione, si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’eccezione dell’appellante, dato che l’art. 237 cit., rimette al collegio la risoluzione delle contestazioni sull’ammissibilità del giuramento decisorio; dal che “discende come la controparte che peraltro non si era nemmeno presentata a rendere l’interrogatorio formale deferitole abbia riconosciuto la fondatezza delle pretese dell’altro ed unico socio senza nulla osservare in ordine alla decadenza a rendere l’interrogatorio”.

3. – Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 239 e 342 c.p.c. e vizio di motivazione, si deduce:

a) che la società appellante aveva “chiesto la revoca della sentenza senza chiederne la riforma”, e tale omissione comportava l’inammissibilità del gravame o, in subordine, ritenuta nuova la domanda, l’assoggettamento della medesima al nuovo rito societario; e comunque erano state violate le norme sulla specificità e ammissibilità dei motivi d’appello, dato che quelli articolati in concreto non avevano alcuna relazione con la richiesta di revoca della sentenza di primo grado;

b) che la motivazione della sentenza di appello è contraddittoria, non essendo dato comprendere se la Corte abbia ritenuto nulla la notificazione perchè fatta alla parte nel domicilio eletto ai sensi dell’art. 43 c.p.c. ovvero perchè i provvedimenti di rinvio non risultavano notificati.

4. – Seguendo l’ordine logico-giuridico vanno esaminati anzitutto il secondo e il terzo motivo, lett. a), che pongono questioni di ammissibilità dell’appello.

4.1. – Il secondo motivo è inammissibile perchè non se ne riesce a cogliere il senso, dato che non si discute, nè si è mai discusso nel giudizio di merito, dell’ammissibilità del giuramento, nè si comprende il riferimento all’interrogatorio del convenuto quando si parla, invece, di giuramento.

4.2. – Inammissibile è anche la censura a) del terzo motivo, della quale parimenti sfugge il senso in mancanza di riproduzione del testo dell’atto di appello e dei motivi asseritamente generici, considerato anche che la richiesta di “revoca”, anzichè di “riforma”, della sentenza è un’imprecisione lessicale non foriera, di per sè, di inammissibilità del gravame sotto nessuno dei profili invocati.

5. – Segue nell’ordine logico-giuridico la censura b) del terzo motivo, che pone una questione di nullità della sentenza per incomprensibilità della ratio decidendi.

5.1. – Neppure tale censura si sottrae alla sanzione di inammissibilità, atteso che la ratio della decisione impugnata è invece chiara, e consiste nella mancanza di notifica non già dell’ordinanza ammissiva del giuramento, bensì dei successivi provvedimenti di rinvio dell’udienza fissata per l’assunzione del medesimo.

6. – Da quanto appena precisato deriva l’inammissibilità anche del primo motivo di ricorso, con il quale si invocano norme e principi riguardanti la nullità (sanatoria, legittimazione a sollevare l’eccezione, rinunzia e decadenza dalla stessa), mentre la Corte d’appello, come si è visto, ha basato la propria decisione non sulla nullità, bensì sulla inesistenza – nel senso di totale mancanza – di notifica dei provvedimenti di rinvio dell’udienza fissata per l’assunzione del giuramento.

7. – Il ricorso va in conclusione respinto.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali perchè il controricorrente B.V. non è legittimato.

Nel controricorso, invero, egli non spende il nome della società per la quale aveva agito nei due gradi del giudizio di merito (anche in grado di appello: nonostante nell’intestazione della sentenza non risulti la sua qualità di liquidatore della Sabrase & C. s.n.c., detta qualità risulta espressamente nel dispositivo) e a nome della quale è stato intimato nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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