Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23022 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 21/10/2020), n.23022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9159/2019 proposto da:

S.S., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Migliaccio Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 14/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal cons. Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato il 14.12.2019, respingeva il ricorso proposto da S.S., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento di protezione sussidiaria, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

Il Tribunale di Napoli riteneva l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e umanitaria. Il richiedente aveva raccontato di aver lasciato il (OMISSIS) nel febbraio 2016 quando era ancora minorenne dopo aver contratto un debito pari a 2.500,00 Euro che, se non restituito, lo esponeva al rischio di trattamenti inumani, essendo prassi nel suo Paese di origine la riduzione in schiavitù dei debitori insolventi, prassi tollerata dalle autorità; che raggiungeva la Libia ove si stabiliva e lavorava allontanandosi per raggiungere poi l’Italia ancora minorenne, perchè in Libia era sottopagato; di non poter ritornare nel suo paese di origine finchè non sarà in grado di estinguere il debito.

Il tribunale partenopeo respingeva la domanda di protezione evidenziando l’assenza dei presupposti della richiesta protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria.

S.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi dirmi, illustrati nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2. Con il primo motivo si lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e relativi al rischio di danno grave rilevante ai fini del riconoscimento, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il tribunale dato atto del debito contratto dal richiedente per pagare il passaporto falso, ma non anche delle altre allegazioni esposte nel ricorso, nella parte in cui si evidenziava l’esistenza della prassi di ridurre in schiavitù o esporre a maltrattamenti e torture i debitori insolventi, con la conseguente impossibilità per il ragazzo, impossibilitato ad estinguere il debito, di rientrare nel paese di origine senza essere esposto al rischio di danni gravi.

Si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) assumendo che sotto il primo profilo, il Tribunale pur ritenendo credibili le dichiarazioni rese dal ricorrente, ha omesso di esaminare il rischio del S. di subire trattamenti inumani e degradanti; sotto il profilo di cui all’art. 144, lett. C), il Tribunale ha omesso di indicare le fonti dalle quali avrebbe attinto le informazioni sulla situazione socio-politica del paese al fine di rendere riscontrabile la decisione; mentre, al contrario, l’esercizio dei poteri officiosi avrebbe reso evidente una diffusa violazione dei diritti umani in (OMISSIS).

3.Con la seconda censura, si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3, 4 e 5; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 32, art. 5, comma 3, ex art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il decidente omesso di valutare, ai fini della concessione della protezione umanitaria, la situazione di vulnerabilità in cui verserebbe il richiedente se facesse rientro in (OMISSIS), limitandosi a valutare la situazione del giovane al momento dell’espatrio ma non anche quella in cui si troverebbe al rientro. Si deduce inoltre che in sede di audizione, il richiedente aveva raccontato che la sua casa era stata distrutta dai monsoni (ricorrenti in quella regione) e che viveva con altre famiglie in una scuola.

4. La prima censura è fondata, assorbiti gli altri motivi.

Il ricorrente, invero, ha dato atto di aver interamente adempiuto nei gradi di merito all’onere su di esso incombente di presentare, unitamente alla domanda di protezione internazionale, tutti gli elementi necessari a motivare la domanda stessa. L’autorità amministrativa e giudiziaria erano a quel punto tenute a rispettare l’obbligo di cooperazione ad esse imposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34 e segnatamente a valutare tutti i fatti pertinenti riguardanti il Paese d’origine. Per poter legittimamente escludere la sussistenza di rischi in caso di rientro, il Collegio avrebbe quindi dovuto procedere ad ulteriori accertamenti relativamente ai motivi di pericolo dedotti e alla situazione della città di provenienza rispetto a cui, invece, non vengono in alcun modo menzionati i rapporti informativi prodotti nel ricorso (Cass. n. 11312 del 26/04/2019) per smentire le risultanze in merito alla prassi di schiavizzare o torturare i debitori. E una volta accertata l’esistenza di un pericolo di subire danni gravi seppur provenienti da privati, avrebbe dovuto accertare se l’autorità statale era in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali.

In particolare, poi, avrebbe dovuto accertare se le condizioni di isolamento in cui aveva vissuto il ricorrente gli avevano reso “impossibile”, come dedotto, rivolgersi alle autorità statali, presumibilmente perchè ignorava di avere diritti tutelabili.

Questa Corte ha più volte chiarito che, ai fini dell’accertamento della fondatezza o meno di una simile domanda di protezione internazionale, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, a un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, peraltro derivanti anche dall’adozione del rito camerale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente; ciò in particolare quando lo straniero, che richieda il riconoscimento della protezione sussidiaria, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto; onde potersi affermare adempiuto l’onere di cooperazione è essenziale che il giudice del merito rifugga peraltro da formule generiche e stereotipate, e specifichi soprattutto sulla scorta di quali fonti abbia provveduto a svolgere l’accertamento richiesto; invero senza una simile specificazione sarebbe vano discettare di avvenuto concreto esercizio di un potere di indagine aggiornato. (per tutte Cass. n. 17069-18).

Nel caso di specie l’accertamento non può ritenersi adeguatamente svolto, essendosi il tribunale limitato all’apodittica considerazione che ” il (OMISSIS) non risulta attualmente interessato da fenomeni di violenza diffusa”. Invero, non può negarsi il riconoscimento delle predette misure di protezione unicamente per la ragione che il richiedente ha lasciato il proprio Paese per cercare in Italia migliori condizioni di vita, dovendo il giudice, a fronte delle allegazioni di parte, esaminare la domanda “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine” (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3), anche facendo uso, ove occorra, dei propri poteri istruttori officiosi (D.Lgs. n. 25, art. 27, comma 1 bis cit.). Ai sensi del D.Lgs. n. 251 cit., art. 44 il bisogno di protezione internazionale, infatti, può sorgere anche in un momento successivo rispetto alla partenza del richiedente dal proprio Paese, tanto per ragioni oggettive (“avvenimenti”) quanto per ragioni soggettive (“attività svolte dal richiedente”). La normativa in esame, pertanto, impedisce che la sussistenza di un “rischio effettivo di subire un danno grave” (presupposto della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, lett. g) venga accertata esclusivamente alla stregua della situazione oggettiva e della condizione personale del richiedente come cristallizzate al momento della sua partenza.

5. Le censure rivolte al diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari sono assorbite dall’accoglimento della censura relativa alla forma di protezione maggiore quale la protezione sussidiaria.

In conclusione, accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al tribunale di Napoli, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al tribunale di Napoli, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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