Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23017 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 21/10/2020), n.23017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23/2019 proposto da:

I.B., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Migliaccio Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 08/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal cons. Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato il 15.11.2018 respingeva il ricorso proposto da I.B., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Salerno, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria). Il richiedente aveva raccontato di essere stato schiavizzato da uno zio paterno che gli aveva impedito di frequentare la scuola per sfruttarlo nei campi; che lo aveva maltrattato senza fornirgli sufficienti mezzi di sostentamento, affermando che la situazione era peggiorata dopo aver rivendicato le proprietà ereditate dal padre.

Il Tribunale di Napoli pur riconoscendo la credibilità della narrazione del richiedente, respingeva le domande escludendo i presupposti della richiesta protezione, sia perchè il persecutore non era un organo statale, sia perchè nell’ipotesi reimpatrio, egli, alla sua età (anni 30), avrebbe potuto tranquillamente sottrarsi alle violenze dello zio paterno. Dalle quali, peraltro, avrebbe potuto tutelarsi ricorrendo alle autorità statali.

Aggiungeva il Collegio che l’area di provenienza del richiedente non era interessata da conflitti armati, da violenza generalizzata e che anzi dalle fonti internazionali attinte risultava che era la regione più sicura del (OMISSIS); mentre il conflitto in atto nella zona nord del paese dista centinaia di chilometri dalla (OMISSIS).

I.B. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di quattro motivi.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2. Con il primo motivo, si deduce error in iudicando e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g, art. 3, comma 3, 4, 5, art. 6, comma 2, art. 14, lett. b), nonchè degli artt. 3 e 4 della Cedu, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ex art. 360 c.p.c., n. 3; per avere i giudici di merito omesso di valutare la condizione socio-politica del (OMISSIS) dove la schiavitù è una prassi diffusa ed accertare attraverso l’attivazione dei poteri officiosi la possibilità di una tutela statuale, tenuto conto che anche la violenza domestica rientra pienamente nelle previsioni della Convenzione di Ginevra, riconducibile nell’ambito dei trattamenti inumani e degradanti di cui all’art. 14, lett. b), cit.

3.Con la seconda censura, si deduce error in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, per avere il collegio escluso la sussistenza di condizioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotti a fondamento della protezione internazionale, trascurando di considerare che il richiedente aveva attraversato la Libia dove era stato detenuto per cinque mesi subendo torture e trattamenti inumani.

4. Con il terzo mezzo si censura il decreto del tribunale di Napoli sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 3, art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 e 2, nonchè degli artt. 2, 3, 4 e 5 CEDU e artt. 3 e 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo ex art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che il tribunale avrebbe dovuto verificare la situazione di vulnerabilità del ricorrente accertando la possibilità che il reimpatrio avrebbe potuto deprivarlo dei diritti umani che ne avevano giustificato l’allontanamento, operando il bilanciamento tra integrazione sociale acquisita in Italia e situazione oggettiva del pese di origine, correlata alla condizione personale del richiedente asilo.

5. Il primo motivo è fondato, assorbiti il secondo ed il terzo mezzo.

Il tribunale ha violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. C), atteso che non ha valutato adeguatamente la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente, “in particolare, la condizione sociale, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave”. Ha altresì disatteso il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, considerato che il fatto che il richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di persecuzione o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi, atteso che l’argomentare del Tribunale in merito alla circostanza che l’età anagrafica del ricorrente lo avrebbe tutelato dalla possibilità di subire nuovamente trattamenti disumani (riduzione in schiavitù), lascia margini di dubbi alla luce della pregressa lunga situazione di maltrattamenti subiti sin dalla infanzia, che potrebbero aver impedito al ricorrente di raggiungere quell’autonomia intellettuale e psico- fisica tale da consentirgli di potersi sottrarre ad analoghe situazioni di schiavitù.

Al riguardo va richiamato l’orientamento di questa Corte che annovera nel concetto di violenza domestica di cui all’art. 3 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 le limitazioni al godimento dei diritti umani fondamentali nella specie attuati ai danni di una donna di religione (OMISSIS) (Cass. 28152/2018). Nell’occasione questa Corte ha precisato che simili atti, anche se posti in essere da autorità non statali, integrano ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c), i presupposti della persecuzione di cui al successivo art. 7, se – ciò che va accertato – le autorità statali non le contrastino o non forniscano protezione, in quanto frutto di regole consuetudinarie locali (Cass. nn. 6573 e 6879 del 2020).

Ne consegue che, all’esito della doverosa acquisizione di specifiche COI, finalizzate all’accertamento dell’aspetto in discussione, la fattispecie potrebbe ricorrendone le condizioni – essere ricostruita in termini di “danno grave” per “trattamento inumano o degradante” ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b).

7.L’ultima censura è inammissibile.

Con riguardo alle violenze subite nel Paese di tansito (la Libia), prima dell’arrivo in Italia, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, deve ribadirsi, come di recente chiarito da questa Corte (Cass. n. 31676/2018; n. 2861/2018) che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al paese di origine o alla dimora abituale, ove si tratti di un apolide”.

Il Paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi umanitari o bilaterali di ammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese. La doglianza sul punto è inammissibile per difetto di specificità (Cass. n. 13096/2019).

6. Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, dichiarato inammissibile l’ultimo, il decreto impugnato va cassato con rinvio, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, assorbiti il secondo ed il terzo, dichiarato inammissibile l’ultimo mezzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

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