Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23016 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 21/10/2020), n.23016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12351/2019 r.g. proposto da:

C.B., (c.f. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura

speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Valentina

Sassano, presso il cui studio elettivamente domicilia in Torino, al

Corso Brunelleschi n. 129;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI BRESCIA depositato in data

05/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.B., nativo del (OMISSIS), ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, avverso il “decreto” del Tribunale di Brescia del 5 marzo 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne inattendibile il racconto del richiedente protezione, e, comunque, che i motivi da lui addotti a sostegno delle sue richieste non ne consentissero l’accoglimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso, rubricato “violazione o falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 TUI”, contesta le argomentazione utilizzate dal tribunale bresciano per disattendere la richiesta del B. di permesso di soggiorno per motivi umanitari. Lo stesso si rivela inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

1.1. Giva ricordare che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra invece violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

1.2. La doglianza in esame si risolve, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione o falsa applicazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è appena detto non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

1.3. Il tribunale bresciano, invero, con accertamenti evidentemente di natura fattuale, peraltro ampiamente motivati, ha innanzitutto considerato inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente (cfr. amplius, pag. 4-6 del decreto impugnato), ed il ricorso di quest’ultimo in nessun modo censura tale convincimento.

1.3.1. Il medesimo tribunale, poi, ha negato il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria assumendo (cfr. amplius, pag. 7 del menzionato decreto) che: i) “il richiedente è un giovane uomo con piena capacità lavorativa, e non sono state dedotte significative problematiche di salute, nè altro che possano renderlo “persona vulnerabile”; ii) dalla documentazione sanitaria prodotta (ed analiticamente valutata) non emergevano patologie che potessero condurre a conclusioni opposte; iii) “per quanto riguarda i fattori oggettivi, (…), se è vero che la situazione del (OMISSIS) può presentare delle criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona – le quali, peraltro, sono comuni a molti Paesi dell’Africa occidentale – è anche vero che tali criticità non sono tali da dare luogo a una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata”.

1.3.2. Posto, allora, che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 27336 del 2018), a fronte dell’accertamento compiuto dal giudice di merito sarebbe stato onere del ricorrente – rimasto, invece, inosservato – addurre quali fattori di vulnerabilità, diversi da quelli specificamente ponderati dal tribunale, aveva specificamente allegato al fine di circostanziare la propria domanda volta al riconoscimento della protezione umanitaria.

1.4. In definitiva, quanto oggi esposto dal B., argomentando la censura in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettata come vizio di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal già menzionato tribunale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).

2. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

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