Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23015 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 21/10/2020), n.23015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12309/2019 r.g. proposto da:

K.I., (c.f. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Massimo

Gilardoni, con cui elettivamente domicilia presso la cancelleria

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia

in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI BRESCIA depositato il 22/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.I., nativo della (OMISSIS), ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo di merito, preceduto dalla preliminare richiesta a questa Corte di sollevare una questione di legittimità costituzionale, avverso il “decreto” del Tribunale di Brescia del 22 febbraio 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale, pur considerando attendibile il racconto del richiedente protezione, ritenne, comunque, che i motivi da lui addotti a sostegno delle sue richieste non ne consentissero l’accoglimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La prospettata questione di costituzionalità riguarda l’asserita illegittimità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3-septies, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui prevede che il procedimento è definito con decreto non reclamabile entro sessanta giorni dal ricorso.

1.1. L’unico motivo di ricorso denuncia “violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, con particolare riferimento al mancato riconoscimento dell’autonoma rilevanza giuridica, ai fini del rilascio del permesso umanitario, alla condizione di estrema povertà dello straniero nel Paese di origine, poichè tale condizione compromette, in modo radicale, il “raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa” alla luce delle enunciazioni di cui alla sentenza della Corte di cassazione n. 4455 del 2018″.

2. La descritta eccezione di illegittimità costituzionale è manifestamente infondata, avendo, questa Corte ha già ripetutamente affermato che “non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado” di merito, tanto più che il procedimento giurisdizionale è qui preceduto da una fase amministrativa avanti alle Commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (cfr. Cass. n. 27700 del 2018, e, successivamente, ex aliis, Cass. n. 30756 del 2019; Cass. n. 32433 del 2019; Cass. nn. 33503-33506 del 2019; Cass. nn. 46-49 del 2020).

3. La doglianza di cui al formulato motivo di merito è, invece, inammissibile.

3.1. Invero, – anche a volersi sottacere la circostanza che la conclusioni dell’odierno ricorso (nell’invocare la cassazione del decreto impugnato “con rinvio per un nuovo esame nel merito, (…), ovvero, qualora si ritenga di disporre di elementi sufficienti per decidere nel merito circa le questioni prospettate, (…), accogliendo la richiesta del ricorrente di ottenere il riconoscimento dello status della protezione sussidiaria, con ogni consequenziale statuizione”), non appaiono allineate al tenore dell’unica censura formulata, che investe, come si è visto, il diniego della sola protezione umanitaria – la semplice lettura del provvedimento oggi impugnato, nella parte in cui, con motivazione affatto esaustiva, ha negato al ricorrente il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), consente agevolmente di escludere che il Tribunale di Brescia sia incorso nel vizio ascrittogli, dovendosi qui solo ricordare che le ragioni di vulnerabilità idonee giustificare il rilascio del permesso suddetto devono riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente venendo in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti. E’ chiarissimo, del resto, sul punto, anche l’opinione delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 13.11.2019), secondo cui “Non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072). Si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304)”.

3.2. Nella specie, il tribunale bresciano, con accertamenti evidentemente di natura fattuale, ha negato il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria assumendo (cfr. amplius, pag. 6 del decreto impugnato) che il K. non aveva allegato, come sarebbe stato suo preciso onere D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 nè erano emersi “fattori meritevoli di protezione diversi da quelli esaminato per il riconoscimento della protezione internazionale e per i quali il Collegio ha espresso un giudizio di infondatezza. Quanto ai fattori soggettivi, deve evidenziarsi che il richiedente è persona adulta, con piena capacità lavorativa, anche specifica, avendo svolto l’attività di agricoltore giardiniere; inoltre, dalla documentazione sanitaria prodotta, risulta che ha risolto i problemi di salute lamentati (…). Nè, infine, può ritenersi idonea a tale riconoscimento la fattiva volontà di inserimento nel contesto sociale del Paese ospitante, effettuato nei mesi compresi tra la richiesta di protezione internazionale ed il suo rigetto (…), non potendo detto elemento essere da solo idoneo a giustificare il diritto al rilascio del permesso di soggiorno in oggetto (…). Pertanto, sulla base di una valutazione comparativa tra l’attuale situazione del ricorrente e quella precedentemente vissuta dal medesimo nel proprio Paese di origine, non può sostenersi che il medesimo si vedrebbe sottratta la titolarità e/o l’esercizio di diritti umani fondamentali, al di sotto di un nucleo minimo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale. Quanto, poi, ai fattori oggettivi, si osserva che la situazione della (OMISSIS) (come quella di molti Paesi, africani e non) presenta certamente delle criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona, tuttavia queste criticità non sembrano tali da dare luogo a una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata”.

3.2.1. Posto, allora, che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 27336 del 2018), a fronte dell’accertamento compiuto dal giudice di merito sarebbe stato onere del ricorrente addurre quali fattori di vulnerabilità, diversi da quelli specificamente ponderati dal tribunale, aveva specificamente allegato al fine di circostanziare la propria domanda volta al riconoscimento della protezione umanitaria, rivelandosi, per contro, affatto insufficiente il mero richiamo (cfr. pag. 9-10 del ricorso) all’asserito omesso esame “di documentazione prodotta nel ricorso introduttivo e nel corso del giudizio avuto riguardo al percorso di inclusione e di inserimento scolastico” o dei “profili emersi nel corso dell’audizione che danno conto dell’incolmabile sproporzione tra la condizione di provenienza e quella conseguita nel Paese ospitante” (di entrambi, peraltro, in questa sede nemmeno è stato riprodotto il relativo contenuto, con evidente violazione del disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.. Cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019).

3.2.2. In definitiva, quanto oggi esposto dal K., argomentando la censura in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettata come vizio di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal già menzionato tribunale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).

4. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna K.I. al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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