Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23015 del 17/08/2021

Cassazione civile sez. I, 17/08/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 17/08/2021), n.23015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15736/2020 proposto da:

I.C., rappresentato e difeso dall’avvocato Verlato Davide,

giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 5735/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 5735/2019 depositata il 30-12-2019, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da I.C., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese per timore di essere costretto a sottoporsi ai riti di iniziazione della (OMISSIS), essendosi egli rifiutato di subentrare al suo defunto padre, appartenente a detta setta. La Corte territoriale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione della (OMISSIS), descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27, lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, non avendo la Corte d’appello acquisito informazioni sul funzionamento del sistema giudiziario e carcerario e sulla corruzione delle Forze di Polizia, erroneamente attribuendo rilievo alla ritenuta inattendibilità della vicenda personale narrata in violazione dei principi in tema di onere probatorio e dei parametri di legge sui criteri di credibilità, senza considerare la positive integrazione del ricorrente in Italia e a situazione precaria ed instabile del suo Paese; (h) con il secondo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al diniego della protezione umanitaria, nonché la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in relazioneal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, nonché la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a) e c), del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e art. 8 CEDU, per avere la Corte territoriale negato la protezione umanitaria, senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi a prescindere dalla effettiva credibilità della vicenda personale, e senza operare la comparazione tra la sua positiva integrazione in Italia e la situazione alquanto deficitaria nel suo Paese in ordine alla tutela dei diritti umani.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1. Le censure difettano di specificità e non si confrontano con il decisum. Il ricorrente, nel dolersi del mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi in ordine al sistema giudiziario e carcerario, nonché in ordine alla precarietà ed insicurezza duffusa del suo Paese, non svolge argomentazioni correlate alle ragioni della decisione e critica in modo generico il giudizio di non credibilità, motivatamente espresso dalla Corte di merito (pag. n. 6 sentenza impugnata), che ha in dettaglio esaminato i fatti allegati rilevando plurime incongruenze e contraddizioni. In base all’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, una volta accertata dai Giudici di merito l’inattendibilità della vicenda dedotta come ragione causativa del rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), non vi è ragione di attivare il dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa, neppure in ordine alla protezione delle Autorità statali (tra le tante Cass. n. 3310/2019 e Cass. n. 27333/2013).

Inoltre l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed indicando plurime fonti di conoscenza (da pag. 11 a pag. 13 della sentenza impugnata), ha diffusamente descritto ed analizzato la situazione della (OMISSIS), escludendo l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata, e il ricorrente non svolge specifiche censure al riguardo.

3. E’ inammissibile anche il secondo motivo.

3.1. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge e motivazionale, afferma di essere soggetto vulnerabile e di essere integrato in Italia, senza dedurre di aver allegato nei giudizi di merito elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tre le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019). In particolare, a fronte dell’affermazione della Corte di merito secondo cui non era stata allegata l’integrazione sociale – pag. 16 sentenza impugnata – il ricorrente non critica specificamente detto assunto, né precisa sulla base di quali elementi concreti, allegati nel giudizio di merito, sia configurabile la sua dedotta integrazione nel territorio italiano, ma si limita affermare che conosce la lingua italiana ed ha conseguito il diploma di terza media, nonché a svolgere astratte considerazioni sulle violazioni dei diritti umani nel suo Paese e in quello di transito, richiamando il dettato dell’art. 8 CEDU. La situazione del Paese di origine prospettata in termini generali ed astratti, come nel caso di specie, è di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

4. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

 

 

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