Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23012 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 21/10/2020), n.23012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13782/2019 proposto da:

D.S., difeso e rappresentato dall’avv. Tartini Francesco,

elettivamente domiciliato in Roma Via Del Casale Strozzi, 32 presso

lo studio dell’avvocato Barberio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

29/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 da Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con decreto depositato in data 26.11.2018, ha rigettato la domanda di D.S., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero in capo al ricorrente i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, essendo le sue dichiarazioni state ritenute non credibili (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal paese d’origine per il timore di essere arrestato e incarcerato, essendo stato coinvolto in un contrabbando di legname, per il quale nel (OMISSIS) è prevista una pena molto severa).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione D.S. affidandolo a cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha preliminarmente sollevato l’eccezione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 13, come modificato dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6 in relazione agli artt. 14 CEDU, all’art. 21 della Carta di Nizza e all’art. 117 Cost. (che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) con riferimento alla soppressione come mezzo di impugnazione dell’appello.

2. La sollevata questione di legittimità Costituzionale è infondata.

Va osservato che questa Corte, con ordinanza n. 27700 del 30/10/2018 (conf. ord. n. 28119 del 05/11/2018) – la cui esaustiva motivazione deve essere richiamata integralmente – ha già statuito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost. sul rilievo che è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.

Parimenti infondata è la dedotta violazione, in questa sede, dell’art. 14 CEDU, dell’art. 21 della Carta di Nizza e dell’art. 117 Cost..

In proposito, va preliminarmente osservato che il richiamo del ricorrente all’art. 14 CEDU (come del resto all’art. 21 della Corta di Nizza) è verosimilmente il frutto di un errore materiale, atteso che le norme in oggetto sanciscono il divieto di discriminazione (tema estraneo a quello oggetto della doglianza). Verosimilmente, il ricorrente intendeva far riferimento, quantomeno con riferimento alla CEDU, agli artt. 6 e 13, che disciplinano l’accesso alla giustizia, sancendo rispettivamente il diritto all’equo processo e ad un ricorso effettivo.

Orbene, va osservato che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, con riferimento al procedimento civile, ha sempre negato che l’art. 6 o l’art. 13 CEDU possano essere considerati come parametri per invocare un secondo grado di giurisdizione (vedi sul punto, Corte EDU 17.1.1970, Delcourt c. Belgio, Recueil Serie A, 11 S25 e Corte EDU, 5 luglio 2016, A.M. c Paesi Bassi, CE:ECHR:2016:0705JUD002909409, punto 70).

A diverse conclusioni si deve, invece, pervenire allorquando la procedura assuma il carattere “penale”, atteso che in questo caso il diritto all’appello, ovvero ad un secondo grado di giurisdizione, trova la propria fonte nell’art. 2 del Protocollo n. 7 CEDU, che accorda al condannato il “diritto ad un doppio grado del giudizio in materia penale”.

Infine, manifestamente infondata è la dedotta violazione dell’art. 117 Cost., atteso che sia la legislazione comunitaria, sia l’interpretazione che di essa ha fatto la Corte di Giustizia UE (vedi recentemente sentenze C3EU del 26 settembre 2018 nei procedimenti C-175/17 e C-180/17) non hanno affatto riconosciuto il diritto del richiedente la protezione ad un secondo grado di giudizio.

In proposito, nell’ultima sentenza sopra citata, ai punti 24 e 25, la Corte di Giustizia EU ha evidenziato che dalle direttive 2013/32 e 2008/115 (e, segnatamente, dai loro “considerando”) non è dato evincere un obbligo degli Stati membri di istituire il grado d’appello. In particolare, per quanto riguarda la direttiva 2013/32, è stato osservato che “l’obbligo di effettività del ricorso si riferisce espressamente, come risulta dall’art. 46, paragrafo 3, ai “procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado”. Tale obbligo, richiedendo l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, si riferisce unicamente allo svolgimento del procedimento giurisdizionale di primo grado. Di conseguenza, tale obbligo non può, alla luce dell’obiettivo di detta direttiva, essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di istituire un secondo grado di giudizio, nè di prevedere una determina modalità di svolgimento del medesimo”.

3. Con il primo motivo ed il secondo motivo, illustrati dal ricorrente unitariamente, è stata dedotta rispettivamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, per la mancata cooperazione istruttoria.

Lamenta, il ricorrente, in primo luogo, che il Tribunale di Venezia ha ignorato l’esistenza di due documenti dallo stesso prodotti nel primo grado di giudizio, consistenti in un “Certificat de Convocation” a firma del Sindaco del Comune di (OMISSIS), datato 7.3.2015, e una lettera scritta a mano del Capo del Villaggio riassuntiva della vicenda per il quale il ricorrente è ricercato dalla locale Gendarmeria.

Evidenzia che ove il Tribunale avesse ritenuto di dubitare della veridicità del suo racconto, avrebbe dovuto comunque assumere ulteriori informazioni direttamente o attraverso i canali diplomatici dalle Pubbliche Autorità del (OMISSIS) che si sono occupate della vicenda.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3, 4, 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dei criteri normativi stabiliti dalla legge per la valutazione delle istanze di protezione internazionale nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 bis per il mancato assolvimento dell’onere di collaborazione istruttoria.

Inoltre, lamenta che l’acritica conferma da parte del giudice di merito del giudizio di non credibilità (già espresso dalla Commissione Territoriale) in assenza di qualsiasi approfondimento si è risolta nella violazione del dovere di cooperazione.

5. Con il quarto ed il quinto motivo, illustrati congiuntamente, è stata dedotta rispettivamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nonchè la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria.

6. Il primo ed il secondo motivo sono fondati.

Va osservato che il Tribunale di Venezia, nel valutare l’attendibilità delle dichiarazioni del richiedente, ha effettivamente omesso di esaminare, anche per escluderne l’attendibilità o la rilevanza, i documenti prodotti nel giudizio di primo grado da quest’ultimo (lettere del Sindaco e del Capo del suo Villaggio riassuntive della vicenda per la quale il S., a suo dire, risulta ricercato dalla Polizia).

Trattandosi di documenti che il ricorrente aveva prodotto per corroborare la credibilità del suo racconto, dei quali può fondatamente delibarsi la decisività, provenendo da soggetti che ben conoscevano la storia dello stesso richiedente, non vi è dubbio che il giudice di merito, nell’ometterne totalmente l’esame in sede di valutazione della veridicità del narrato, sia incorso nella violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ne consegue che il decreto impugnato va cassato con rinvio al Tribunale di Venezia, in diversa composizione per nuovo esame.

7. I motivi residui sono assorbiti.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbiti i residui, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

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