Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23010 del 11/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/11/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 11/11/2016), n.23010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18235-2015 proposto da:

G.G., GR.GI., G.E., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA UGO DI CAROLIS 31, presso lo studio

dell’avvocato VITO SOLA, che li rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE PISTOIA, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

portoghesi 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 76/17/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALI FIRFNZE dell’1/12/2014, depositata il 12/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA VELLA;

udito l’Avvocato Sola Vito difensore dei ricorrenti che si riporta

alla memoria.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

1. In fattispecie relative ad avviso di accertamento per Irpef, Irap, Iva ed Ires degli anni di imposta 2004-2007, la società ed i soci con unico motivo di ricorso deducono la “violazione di legge, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo del vizio di motivazione, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, ossia la nullità della sentenza “mancanza della motivazione”, nella forma della “motivazione apparente” e/o della “motivazione perplessa ed obbiettivamente incomprensibile”, stante “l’assenza di ogni e qualunque verifica della rilevanza della sentenza penale di assoluzione” dei sigg.ri G.G. e Z.A. dal reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 “perchè il fatto non sussiste”.

2. Il motivo, per come formulato, è manifestamente infondato, poichè dalla semplice lettura della sentenza impugnata emerge chiaramente che la motivazione adottata dai giudici regionali non è affatto apparente, nè perplessa o incomprensibile – al punto da integrare il radicale vizio di nullità invocato in ricorso ma semmai non condivisa da parte ricorrente, peraltro consapevole di non poter sollevare censure di insufficienza o contraddittorietà della motivazione ai sensi del previgente art. 360 c.p.c., n. 5).

3. Invero la C.T.R., dopo aver riportato ampiamente le ragioni in base alle duali il giudice di prime cure aveva condiviso la sentenza penale di assoluzione del Tribunale di Pistoia del 28 marzo 2012, ritenendola produttiva di effetti “anche ai fini del presente procedimento, sia nei confronti del Solettifico G. Srl che delle persone fisiche G.G., Gr.Gi. e G.E.”, ha motivatamente ritenuto che le diverse – e pacificamente non vincolanti conclusioni raggiunte in sede penale (sulla base di regole e principi diversi dal processo tributario), fossero ampiamente superate dalle “prove documentali (contabilità nera) reperite dalla Guardia di Finanza, le quali, integrale dai chiarimenti forniti oralmente da Z.A.”, non avrebbero lasciato “alcun dubbio circa la commissione delle violazioni contestate”, per poi procedere ad una puntuale disamina critica delle difese svolte dai contribuenti, quali la “mancanza di prova documentale delle restituzioni dei corrispettivi” (ritenuta giustificabile “con la cautela che gli autori degli illeciti di questo tipo debbono necessariamente utilizzare per portare a compimento i loro intenti illeciti”), l’eventuale uso di lavoro nero da parte dello Z.” (che “non potrebbe porre comunque rimedio all’obbiettiva scarsità di attrezzature produttive”), nonchè “l’ipotesi che lo Z. abbia apprestato una falsa contabilità nera per precostituirsi, pur a rischio di una severa sanzione penale, la prova di avere percepito il reddito inferiore rispetto a quello reale” (ipotesi ritenuta “irreale”, oltre che tortuosa e poco credibile, “non presentandosi lo Z. come interessato a risparmiare sulle imposte”).

4. A ben vedere il motivo, per come articolato, sarebbe risultato inammissibile anche se proposto sub specie di censura motivazionale ai sensi del previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), poichè la “preferenza” sostanzialmente espressa per la diversa motivazione del giudice penale, integrando una contestazione sul merito della decisione, avrebbe tradito l’intento di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e del materiale probatorio acquisito, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non può costituire uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio, nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata; di qui l’inammissibilità del ricorso che tenda a sollecitare una nuova valutazione di risultanze di fatto sulle quali il giudice d’appello abbia espresso opzioni “non condivise e per ciò solo censurate, al fine di ottenerne la sostituzione con altre pii consone ai propri desiderata”, spettando in via esclusiva al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (ex plurimis, Cass. s.u. n. 7931/13; Cass. nn. 12264/14, 26860/1-1 959/15, 961/15, 962/15, 3396/15, 1-1233/15).

5. Il ricorso va quindi rigettato con condanna dei ricorrenti alle spese ed al raddoppio del contributo unificato, sussistendone i presupposti di legge.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, co. 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pan a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2016

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