Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23009 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/10/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 21/10/2020), n.23009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Mario – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21246/13 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

P.C., rappresentato e difeso, giusta procura a margine

del controricorso, dall’avv. Rodolfo Polchi, con domicilio eletto in

Roma, Viale delle Milizie, n. 138;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 163/1/13 depositata in data 20 marzo 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

P.C., ex dirigente della società Esso s.p.a., ricorreva avverso il silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria in ordine all’istanza di rimborso della somma di Euro 49.783,87, oltre interessi, trattenuta dalla Cassa dei Dirigenti Esso Italiana sulla prestazione erogatagli al momento della cessazione del rapporto di lavoro, che avrebbe dovuto essere tassata con una ritenuta del 12,5 per cento.

La Commissione provinciale accoglieva il ricorso applicando i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13642 del 2011.

L’Agenzia delle entrate proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, deducendo che il contribuente non aveva assolto l’onere della prova in ordine alla esistenza dei presupposti del rimborso, sottolineando che, proprio in base ai principi affermati dalla Corte di Cassazione, la tassazione con aliquota del 12,5 per cento non poteva prescindere dalla dimostrazione, attraverso apposita certificazione rilasciata dal Fondo, del rendimento derivante dall’investimento dei contributi sui mercati finanziari.

La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello dell’Ufficio.

Premetteva che la questione aveva trovato soluzione a seguito della introduzione del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 12, comma 1, come modificato dal D.Lgs. 12 aprile 2001, n. 168, art. 9, comma 1, lett. a), a norma del quale “per i soggetti che risultano iscritti a forme pensionistiche complementari alla data da cui ha effetto il presente decreto, le disposizioni introdotte dall’art. 10 (relativamente al “trattamento tributario delle prestazioni pensionistiche erogate ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124″), si applicano alle prestazioni riferibili agli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001. Per i medesimi soggetti, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente”; affermava che la richiesta di rimborso avanzata dal contribuente meritava accoglimento alla luce del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte con la sentenza n. 13642 del 2011, già tenuto presente dai giudici di primo grado.

Dava atto altresì che, visionando il fascicolo, aveva potuto constatare che il contribuente, già a seguito dell’inoltro della domanda di rimborso all’Agenzia delle entrate, aveva offerto prova dell’importo reclamato e che agli atti di causa era presente idonea documentazione dell’Associazione Cassa Previdenza Dirigenti Esso Italiana dalla quale emergeva che “sull’ammontare complessivo dei rendimenti maturati, pari a Euro 140.632,38”, era stata applicata l’imposta Irpef di Euro 107.689,28, anzichè quella dovuta di Euro 57.905,41, con una differenza a favore del contribuente di Euro 49.783,87, di cui era dovuto il rimborso, con gli interessi maturati.

Ricorre per la cassazione della sentenza d’appello l’Agenzia delle entrate affidandosi a due motivi.

Il contribuente resiste mediante controricorso, ulteriormente illustrato con memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la difesa erariale censura la sentenza per insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Dopo avere evidenziato che, secondo l’assunto difensivo del contribuente, nella prestazione erogata dalla Esso Italiana a titolo di previdenza integrativa era enucleabile una componente costituita dal rendimento, il cui ammontare era comprovato dalla documentazione allegata al ricorso introduttivo del giudizio, e che tale componente era stata assoggettata a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta del 12,5 per cento, per cui non poteva essere nuovamente tassata, la ricorrente lamenta che, proprio alla stregua dei principi affermati da questa Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 13642/11 e da successive pronunce, fatto decisivo e controverso per il giudizio era proprio se il contribuente avesse o meno fornito prova che il fondo di previdenza integrativa per i dirigenti Esso fosse un fondo a capitalizzazione e se nella prestazione corrisposta dal fondo al contribuente sussistesse o meno un componente costituito dal rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, assoggettabile all’aliquota del 12,5 per cento.

La motivazione della decisione impugnata sul punto era insufficiente in quanto l’affermazione secondo cui la documentazione era idonea a comprovare la sussistenza e la quantificazione del rendimento era contraddetta dal contenuto della certificazione rilasciata dalla Associazione Cassa Previdenza Dirigenti Exxonmobil; di conseguenza, le conclusioni cui era pervenuta la Commissione regionale risultavano generiche e non sorrette da una adeguata analisi della fattispecie concreta.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Osservando, preliminarmente, che la disposizione con la quale il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, aveva modificato l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non era applicabile al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze emesse dalle Commissioni tributarie, la ricorrente sostiene che i giudici regionali avrebbero del tutto omesso di esaminare il contenuto dei documenti e di verificare se dagli stessi risultasse effettivamente la sussistenza di un rendimento netto imputabile alla gestione sui mercati finanziari dei contributi via via accantonati.

3. Occorre rammentare che, dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alla sentenza in questa sede impugnata in quanto pubblicata successivamente alla data del 11 settembre 2012 di entrata in vigore della norma modificativa, non trova più accesso al sindacato di legittimità il vizio di mera “insufficienza” o di incompletezza logica dell’impianto motivazionale, qualora dalla sentenza sia comunque desumibile una regula iuris che, prendendo le mosse da determinate premesse, sia idonea a giustificare il decisum.

Risulta pertanto estranea al vizio di legittimità riformato sia la censura di “contraddittorietà” della motivazione, quanto la censura che, anteriormente alla modifica della norma processuale, integrava il vizio di “insufficienza” dello svolgimento argomentativo, con il quale si imputava al giudice di merito di avere tratto dalle risultanze probatorie soltanto alcune conseguenze logiche o di non avere considerato elementi costituenti “fatti secondari”, comunque decisivi, da soli idonei ad offrire prova contraria favorevole alla parte ricorrente.

Per effetto della nuova formulazione del vizio di legittimità, la impugnazione delle sentenze di appello è, dunque, limitata alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori di tale omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale”, richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass., sez. 3, n. 23940 del 12/10/2017).

Ne discende che il primo mezzo di ricorso, con il quale si lamenta che la motivazione resa dai giudici regionale sarebbe insufficiente è inammissibile.

4. Il secondo motivo di ricorso è infondato e va rigettato.

4.1. Va, in primo luogo, rilevato che la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, non si applica, agli effetti del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. dalla L. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti come nel caso di specie – con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente al 11 settembre 2012 (Cass., sez. 5, ordinanza n. 11439 del 11/05/2018).

4.2. Le Sezioni Unite, intervenendo sulla complessa questione del Fondo previdenziale (Fondenel/PIA) dei dirigenti dell’Enel s.p.a., hanno anzitutto evidenziato che occorre distinguere la situazione dei soggetti già iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (28 aprile 1993) e quella dei soggetti iscritti a forme analoghe in epoca successiva all’entrata in vigore del predetto provvedimento legislativo, discrimine che discende dalla norma interpretativa di cui al D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 1, comma 5 (convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 1997 n. 30), il quale prevede che “la disposizione contenuta nel D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 13, comma 9 e quella contenuta nel t.u.i.r., art. 42, comma 4, ultimo periodo introdotta dalla L. 8 agosto 1995 n. 335, art. 11, comma 3,… devono intendersi riferite esclusivamente ai destinatari iscritti alle forme pensionistiche complementari successivamente alla data di entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 124 del 1993”.

4.3. A fronte di questa situazione “binaria”, che distingueva tra “vecchi iscritti” e “nuovi iscritti” a forme pensionistiche complementari, a cui pose fine il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 12, comma 1 (come modificato dal D.Lgs. 12 aprile 2001, n. 168, art. 9, comma 1, lett. a)), con riferimento ai capitali maturati in data antecedente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, le Sezioni Unite hanno evidenziato che “il trattamento tributario delle prestazioni erogate non è, e non può essere, indipendente dalla composizione strutturale delle prestazioni stesse”, le quali “nel caso concreto, trattandosi di un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono composte di una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da “un rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato”, sicchè “possono essere tassate in modo analogo al T.F.R. esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie P.I.A.), si applica la tassazione nella misura del 12,5 per cento, ai sensi della L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6”.

Hanno, quindi, deciso la questione relativa alla disciplina impositiva applicabile in materia di prestazioni erogate in forma di capitale da fondi previdenziali integrativi (Fondenel e P.I.A.) con l’affermazione del seguente principio di diritto: “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 t.u.i.r., solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 t.u.i.r.”.

4.4. Essendo emerse contrapposte interpretazioni circa il concetto di “rendimento netto”, ammesso alla tassazione con aliquota del 12,5 per cento, la successiva giurisprudenza di questa Corte, con numerose pronunce (tra le quali, Cass. n. 10285 del 26 aprile 2017; Cass. n. 24525 del 18 ottobre 2017; Cass. n. 4941 del 2 marzo 2018; Cass. n. 5436 del 7 marzo 2018) hanno chiarito che il principio affermato dalle Sezioni Unite deve essere interpretato nel senso che il più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rinvenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, o comunque di riferimento, del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento.

5. Non è in discussione tra le parti che anche nella fattispecie in esame, analogamente a quanto previsto per i dirigenti Enel, debba confermarsi che sono tassabili con l’aliquota del 12,5 per cento i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, posto che il requisito dell’essere il rendimento imputabile alla “gestione sul mercato” del capitale accantonato identifica la ragione stessa della più favorevole tassazione di tale reddito rappresentata dall’essere questo il risultato degli investimenti effettuati dall’ente di gestione della somma versata, investimenti che, se certamente saranno per lo più indirizzati verso i vari prodotti del mercato finanziario, nulla esclude possano esserlo anche verso altri tipi di mercato (Cass. n. 10285 del 2017, cit.).

6. La Commissione regionale, uniformandosi al principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13642/11, come specificato alla luce delle considerazioni sopra svolte, ha ritenuto fondata la domanda di rimborso affermando che il contribuente, quale dirigente della società Esso Italiana s.p.a., avesse fornito adeguata prova dell’importo di cui chiedeva la restituzione mediante la produzione di idonea certificazione rilasciata dall’Associazione Cassa Previdenza Dirigenti Exxonmobili, dalla quale emergeva il “rendimento” suscettibile di imposizione agevolata del 12,5 per cento.

Così argomentando, non ha mancato di effettuare un esame degli investimenti effettuati dal medesimo Fondo sul mercato e, quindi, sul “rendimento” così come inteso dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 13642 del del 22/6/2011 ed ulteriormente chiarito da questa Corte con le successive sentenze nn. 10285 del 26/4/2017, 4941 del 2/3/2018 e 16116 del 19/6/2018, ma, affrontando il fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, ha ritenuto pienamente raggiunta la prova della sussistenza e dell’ammontare del “rendimento” imputabile alla “gestione sul mercato”, da parte del Fondo previdenziale, del capitale accantonato, avendo posto in rilievo di avere constatato, all’esito dell’esame della documentazione prodotta dal contribuente, che questi avesse assolto l’onere probatorio sullo stesso incombente.

Anche se nella decisione impugnata si fa solo riferimento alla “idonea documentazione dell’Associazione Cassa Previdenza Dirigenti Esso Italiana”, risulta evidente, sulla base del contenuto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, ritrascritto nel ricorso per cassazione, che l’apprezzamento svolto dai giudici di appello si fonda non solo sulla certificazione rilasciata dall’Associazione Cassa Previdenza Dirigenti (allegato n. 2 del fascicolo di parte ricorrente), richiamato dall’Agenzia delle entrate e ritrascritto a pag. 9 bis del ricorso per cassazione, ma anche sull’ulteriore documentazione allegata in primo grado dal contribuente -certificazione rilasciata dalla Esso Italiana s.r.l. (allegato n. 3 del fascicolo di parte ricorrente) ed estratti conto annuali dei contributi e dei rendimenti maturati dal 1981 al 31 dicembre 2000 (allegato n. 4 del fascicolo di parte ricorrente) – comprovante che i rendimenti maturati dal 1981 sino al 31 dicembre 2000 ammontavano complessivamente ad Euro 140.6321,38, somma comprensiva dell’importo dei rendimenti derivanti dagli investimenti dei contributi versati dal datore di lavoro (sottoconto A risultante dall’allegato 2), pari a Euro 99.106,03, e dell’importo dei rendimenti derivanti dagli investimenti dei contributi versati dal lavoratore (sottoconto B risultante dall’allegato 2), pari a Euro 41.526,35.

Ne discende che non è ravvisabile nè omesso esame del contenuto di documenti, nè tanto meno l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio secondo la formulazione novellata dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Quanto all’obbligo legale del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato a carico del ricorrente soccombente (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis e comma 1-quater), si osserva che esso non opera nei confronti di quelle parti, come le Amministrazioni dello Stato, che sono istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. Sez. U, n. 26280 del 25/11/2013, in motivazione; Cass. n. 9974 del 15/5/2015).

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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