Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23008 del 16/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/09/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 16/09/2019), n.23008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4304-2018 proposto da:

M.P., M.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI,

rappresentati e difesi dall’avvocato FILIPPO TOCCAFONDI;

– ricorrente –

contro

DIRPA SCARL IN AMMINISTRAZIONE, STRAORDINARIA, in persona del

Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA JACOPO DA PONTE 49, presso lo studio dell’avvocato

VINCENZO DONATIVI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 48616/14 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma respinse l’opposizione promossa dagli ingegneri M.M. e M.P., in proprio e quali soci e titolari dello Studio Ingegneri M. Associati, contro la mancata ammissione al passivo della DIRPA soc. coop. a r.l. in amministrazione straordinaria del proprio complessivo credito di Euro 786.632,00 in via privilegiata ex art. 2751-bis c.c., n. 2, oltre 2.563,04 in chirografo.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale ritenne indimostrato, alla stregua della sola documentazione prodotta contestualmente all’opposizione, il credito invocato.

2. Avverso tale decisione, ricorrono M.M. e M.P., in proprio e nelle indicate qualità, affidandosi a due motivi, resistiti, con controricorso, dalla DIRPA soc. coop. a r.l. in amministrazione straordinaria, la quale ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso lamenta “violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della norma di legge di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, comma 2, n. 4) (L.Fall.), e dell’art. 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, laddove il tribunale aveva affermato che, “Nel caso in esame, gli opponenti non hanno espressamente indicato i documenti prodotti in sede di domanda di ammissione al passivo e conseguentemente nessun documento può essere acquisito d’ufficio”, mentre, invece, tutta la documentazione prodotta in sede di domanda di ammissione al passivo era stata espressamente indicata nel ricorso per opposizione, esplicitamente chiedendosene l’acquisizione.

1.1. La doglianza è infondata.

1.2. Infatti, il tribunale capitolino ha correttamente applicato il più recente orientamento di questa Corte (nuovamente ribadito da Cass. n. 29615 del 2018), cui in questa sede si intende dare continuità, a tenore del quale: i) nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l’opponente, a pena di decadenza ex art. 99 L.Fall., comma 2, n. 4), deve soltanto indicare specificatamente i documenti di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato, sicchè, in difetto della produzione di uno o di alcuni di essi, il tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo d’ufficio della procedura fallimentare ove esso è custodito (cfr. Cass. n. 12549 del 2017; Cass. n. 5094 del 2018; Cass. n. 15267 del 2018); in tema di verifica dello stato passivo, i documenti trasmessi dal creditore al curatore tramite posta elettronica certificata e da questo inviati telematicamente alla cancelleria del giudice delegato entrano a fare parte del fascicolo d’ufficio informatico della procedura, ai sensi del D.M. n. 44 del 2011, art. 9, comma 1, sicchè, proposta opposizione allo stato passivo, il tribunale deve disporre l’acquisizione dei documenti specificatamente indicati nel ricorso dall’opponente, ex art. 99 L.Fall., comma 2, n. 4), che siano custoditi nel detto fascicolo informatico (cfr. Cass. n. 5570 del 2018; Cass. n. 12548 del 2017).

1.3. Nella specie, invero, come riportato nell’odierno ricorso (cfr. pag. 3 e pag. 14), M.M. e M.P., con la spiegata opposizione ex art. 98 L.Fall., oltre a produrre la specifica documentazione ad essa allegata (di cui dà conto anche il decreto impugnato), avevano esclusivamente rimarcato che “Per quanto attiene all’ulteriore documentazione, essa è stata ritualmente depositata nel fascicolo di parte del ricorso per ammissione allo stato passivo di DIRPA s. c. a r.l. già conservato proprio presso la Cancelleria dell’intestato Tribunale – Sezione Fallimentare e del quale, per quanto occorrer possa, fin d’ora si chiede sia disposta l’acquisizione agli atti del presente procedimento”.

1.3.1. E’ palese, dunque, che, gli opponenti non avevano correttamente assolto il descritto onere sui medesimi gravante ex art. 99 L.Fall., comma 2, n. 4, rivelandosi l’appena riportata loro richiesta assolutamente generica (al punto da apparire quasi una clausola di stile) e priva proprio di quella “specifica indicazione” (individuata dalla menzionata giurisprudenza della Suprema Corte come elemento imprescindibile per l’esame, da parte del giudice della opposizione, della invocata documentazione già depositata dal creditore in sede di insinuazione) della ulteriore documentazione che il tribunale avrebbe dovuto acquisire. Quest’ultimo, dunque, affatto correttamente ha affermato che “gli opponenti non hanno espressamente indicato i documenti prodotti in sede di domanda di ammissione e conseguentemente nessun documento può essere acquisito di ufficio” (cfr. pag. 5 del menzionato decreto), provvedendo, poi, alla decisione della controversia sottopostagli utilizzando la sola documentazione innanzi ad esso depositata dagli odierni ricorrenti.

2. Il secondo motivo di ricorso – che denuncia “violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della norma di legge di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, comma 2, n. 4) (L. Fall.), e dell’art. 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, avendo il Tribunale omesso di prendere in esame alcune delle prove documentali già versate in atti unitamente al deposito del ricorso per opposizione allo stato passivo (i documenti ivi indicati sub nn. 20 e 27), asseritamente sufficienti, quali atti asseverativi e ricognitivi, a dimostrare il credito vantato – deve considerarsi inammissibile.

2.1. E’ utile ricordare che questa Corte ha, ancora recentemente (Cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la notizia della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra invece violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimina tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle nonne di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

2.2. La doglianza in esame si risolve, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui i ricorrenti intenderebbero opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è appena detto – non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotte, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione; dall’altro, che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto pubblicato il 21 dicembre 2017), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).

2.2.1. Non solo, dunque, non è più denunciabile, in sede di legittimità, la motivazione insufficiente e/o contraddittoria, ma oggetto del vizio di cui alla norma da ultimo citata è, oggi, esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio” che è stato oggetto di discussione tra le parti”, e cioè: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr: Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: a) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.2.2. Inoltre, il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale decisività, in quanto correlata all’interesse all’impugnazione, si addice innanzitutto a quel fatto che, se scrutinato, avrebbe condotto il giudice ad una decisione favorevole al ricorrente, rimasto soccombente nel giudizio di merito. Poichè l’attributo si riferisce al “fatto” in sè, la “decisività” asserisce, inoltre, al nesso di causalità tra la circostanza non esaminata e la decisione: essa deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015).

2.3. In applicazione dei suesposti principi, allora, va rimarcato che il tribunale capitolino – con una motivazione che non integra affatto violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e di prova presuntiva, oltre che priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – è giunto alla conclusione (esaminando i seguenti documenti prodotti in sede di opposizione: copia integrale del fascicolo di parte dello Studio Ingegneri M. Associati nel procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo r.g. 1714/20001, avanti il Tribunale di Prato, contenente gli atti di parte ed i documenti numerati da 1) a 21); documenti numerati da 221 a 27). Cfr. pag. 5 del decreto impugnato) che, “…In tali atti sono presenti, oltre al contratto del 26.6.2009, fatture missive e riepiloghi provenienti dalla stessa parte opponente, inidonea a supportare la pretesa di un compenso superiore a quello già percepito”, e che, a fronte di quanto specificamente pattuito agli artt. 4 e 12 del menzionato contratto, non era stata fornita la prova, necessaria al fine di invocare un compenso maggiore di quello già percepito, della “approvazione della progettazione costruttiva da parte della Direzione dei lavori, presupposto necessario per quantificare il compenso dovuto allo Studio M. secondo le previsioni dell’art. 12 del contratto”.

2.3.1. In altri termini, quel tribunale, ha giudicato il menzionato quadro istruttorio documentale, valutato in ciascun elemento e nel suo complesso, come inidoneo a far ritenere raggiunta la prova del credito di cui gli opponenti avevano chiesto l’insinuazione; nè potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare di quel giudice abbia trascurato alcuni dati dedotti dagli odierni ricorrenti, per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente, o implicitamente, irrilevanti.

2.3.2. Il riportato accertamento effettuato dal tribunale integra una valutazione fattuale, a fronte della quale M.M. e M.P., in proprio e nella indicata qualità, tentano sostanzialmente, con il motivo in esame, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3. Il ricorso va, pertanto, respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità a carico dei ricorrenti, in solido tra loro, giusta il principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, a carico, solidalmente, dei medesimi ricorrenti, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna M.M. e M.P., in proprio e nella indicata qualità, al pagamento in solido tra loro, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, in via solidale, da parte dei medesimi ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2019

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