Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23008 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 04/11/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 04/11/2011), n.23008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21557-2010 proposto da:

EUROPESCA SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del Consiglio

di Amministrazione e legale rappresentante, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA A. GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato GIGLIO

ANTONELLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEONE

MAURIZIO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 14425/2009 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA del 20/05/09, depositata il 19/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito l’Avvocato Giglio Antonella, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti e chiede la trattazione in P.U.;

è presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA che nulla

osserva.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29 settembre 2011, dal Relatore Cons. Maria Giovanna Sambito.

Fatto

LA CORTE

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la relazione, con cui si è esposto:

“1. La CTR della Lombardia, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della Società Europesca S.p.A., ha confermato l’avviso di accertamento per IRPEF ed ILOR 1996, fondato sulla ripresa di corrispettivi su fatture, emesse dalla Maris S.r.L., e ritenute relative ad operazioni inesistenti.

2. Il ricorso per cassazione, per vizio di motivazione, proposto dalla Società contribuente, è stato rigettato dalla Corte di Cassazione, con ordinanza in data 19.5.2009 n. 14425, con la quale è stata esclusa la sussistenza di vizi dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito, tenuto conto che: a) la richiesta di autorizzazione di vendita all’ingrosso nel giugno 1996 faceva presumere che l’attività della Maris non era ancora iniziata all’epoca delle ingenti fatturazioni alla contribuente, come confermato dalla mancanza di merce nei locali della Maris; b) la circostanza che le deposizioni raccolte si riferivano ad operazioni successive confermava, come riconosciuto in ricorso, la prassi di fatturazione di operazioni inesistenti, che costituiva un ulteriore elemento presuntivo; c) le bolle di accompagnamento e le fatture di trasporto non deponevano per il contrario, in mancanza di elementi di prova circa la loro effettività. In conseguenza, data l’assenza di vizi logici o giuridici della motivazione, la valutazione delle prove compiuta dal giudice del merito è stata ritenuta incensurabile.

3. La Europesca S.p.A. ha proposto ricorso per la revocazione della predetta sentenza, ex art. 391 bis c.p.c., deducendo la sussistenza dei seguenti errori di fatto: 1) la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto – esser state emesse tutte le fatture evidenziate dalla G.d.F. come relative ad acquisti fittizi nella prima metà dell’anno 1996 – la cui verità è incontrastabilmente esclusa, dal pvc. della G.d.F., prodotto come documento n. 3 innanzi alla CTP; 2) la decisione è fondata sulla supposta inesistenza di un fatto – il regolare esercizio dell’attività, da parte della Maris S.r.L., ante giugno 1996 – la cui verità è, invece, positivamente stabilita, risultando da documenti prodotti in causa (pvc. G.d.F.);

3) la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto – ammissione nel ricorso della prassi di fatturazione di operazioni inesistenti – la cui verità è incontrastabilmente esclusa non essendovene traccia, nè nel ricorso in cassazione, nè nel ricorso innanzi alla CTP nè ad abundantiam in alcun altro atto o documento di causa; 4) la decisione è fondata sulla supposta inesistenza di un fatto – produzione di documentazione bancaria costituente elemento di prova dell’effettività delle operazioni descritte nelle fatture – la cui verità è invece positivamente stabilita risultando da documenti prodotti in causa (documento n. 5 del ricorso alla CTP; 5) la decisione è fondata sulla supposta inesistenza di un fatto – l’evidenziazione dei vizi logici nella motivazione della sentenza della CTR da parte del ricorrente- la cui verità è invece positivamente stabilita, risultando dal ricorso e dal rinvio, contenuto nel ricorso, alle precise conclusioni sui due punti della G di F cui la sentenza della CTR ha preteso di attribuire contenuto esattamente opposto a quello reale.

L’intimata resiste con controricorso.

4. Rilevato che l’assolvimento dell’onere di specifica indicazione dei motivi di revocazione risulta assolto dalla ricorrente, essendo, specificamente, indicate nei termini sopra sintetizzati, le circostanze che si assume avere costituito oggetto di errore revocatorio (per la revocazione non occorre, invece, la formulazione del quesito di diritto, nei casi indicati nella prima parte dell’art. 366 bis c.p.c., Cass. n. 4640 del 2007; n. 5075 del 2008) le questioni dedotte non sembrano configurare l’errore di fatto, che costituisce il presupposto per l’ammissibilità del ricorso per revocazione avverso le sentenze di questa Corte, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., qui in rilievo. Ed invero tale errore – per quanto interessa nell’ipotesi in esame, d’impugnazione di una sentenza che ha ritenuto infondati i motivi di ricorso – presuppone che la valutazione del giudice sia inficiata da una distorta percezione, risultante in modo incontrovertibile dalla realtà del processo, di un fatto, che, ove esattamente inteso, avrebbe determinato una diversa valutazione, sempre che dalla stessa decisione non risulti che quello stesso fatto – denunciato come erroneamente percepito- sia stato oggetto di giudizio. E’ appena il caso di precisare che la realtà del processo cui va fatto riferimento è quella propria del giudizio di cassazione: l’errore deve riguardare gli atti interni di tale giudizio, quelli cioè che la Corte esamina direttamente con una propria ed autonoma indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio (Cass, n. 17110/2010).

Tali presupposti sono carenti nel caso in esame. Relativamente ai motivi sub n. 1, 2, e 4 l’asserito contrasto fra le diverse rappresentazioni dello stesso fatto, una emergente dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, viene prospettato in riferimento a documenti prodotti nel corso del giudizio di merito, l’esame dei quali è preclusa alla Corte; la doglianza sub 3 non tiene conto che l’affermata ammissione di una prassi di fatturazioni inesistenti (riferita alla Società Maris e non alla contribuente) esprime una valutazione sul contenuto del ricorso; il motivo sub 5) denuncia tipici “errores in iudicando”, sotto il profilo della asserita erroneità del giudizio sul fatto quale ricostruito in base alla valutazione dei documenti prodotti nel giudizio di merito, e non l’affermazione o negazione di un fatto risultante inesistente o esistente dalle risultanze processuali. In concreto il motivo sub 5 – volto a ribaltare la negazione dell’esistenza di vizi logici nella motivazione della sentenza della CTR, assunta con l’ordinanza impugnata – deduce non un errore di fatto, ma un supposto errore di giudizio.

5. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio, ex art. 391 bis c.p.c., comma 3.” che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata al ricorrente;

che la ricorrente ha depositato memoria, mentre non sono state depositate conclusioni scritte;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, dovendosi ribadire che il vizio di motivazione – denunciato in seno al ricorso definito con il provvedimento di cui è chiesta la revocazione – non comporta, per il giudice di legittimità, il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, nè, dunque, di procedere al diretto esame dei documenti prodotti nel corso del giudizio di merito;

che il ricorso va dichiarato inammissibile, e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condanna la ricorrente a pagare all’intimata le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.000,00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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